Bambini

I bambini continuano ad essere, loro malgrado, la traccia delle infinite sconfitte dell’umanità.

Il loro dolore è una morsa e una molla. Ferma il cuore, ma spinge a trovare energie per supportarlo e sconfiggerlo.

E’ una sfida continua contro l’inaccettabilità che possa esistere.



Ti lascio il pupazzo di mio figlio per giocare e dormire con lui”

Una mamma di Stresa ha consegnato all’ingresso dell’ospedale di Torino, dove è ricoverato Eitan, un pensiero che sa di calore e di normalità. Sensazioni che il bambino di 5 anni,rimasto orfano e senza il fratellino, dopo la tragedia dell’incidente della funivia di domenica scorsa, lotterà per ritrovare. Era in gita con la sua famiglia, felice, vicino al suo papà altissimo. Nel momento dello schianto, pare sia stato proprio quell’uomo giovane e sorridente a salvarlo, abbracciandolo, nell’istintivo ed estremo gesto di protezione.

Si sveglierà Eitan, grazie all’amore in cui è cresciuto che lo ha difeso e che ora sembra diffondersi tra chi, incredulo vuole manifestarglielo, attraverso gesti semplici e necessari come quello della mamma che ha donato l’orsetto del figlio.

Il dolore del bambini è una morsa e una molla. Ferma il cuore, ma spinge a trovare energie per supportarlo e sconfiggerlo. E’ una sfida continua, posta dal destino, contro l’inaccettabilità che possa esistere.

Purtroppo c’è, è continuo, ancora più presente nell’era dell’anarchia mediatica in cui porta più consensi l’immagine di un piccolo corpo straziato, al posto del rispetto e dell’impegno costante a dare ogni possibile contributo perché non si dimentichino e siano sempre meno.

I bambini continuano ad essere, loro malgrado, la traccia delle infinite sconfitte dell’umanità.

Sulla loro pelle passano gli orrori di guerre, carestie, violenze, la furia degli eventi umani e di quelli naturali. Troppo piccoli per difendersi, per scegliere, per esprimersi, fino ad esserlo per vivere.

Semi di futuro in balia del vento.

Domenica due bambini sono volati via durante una gita a Stresa; sabato mattina, altri due erano perduti nella sabbia sulla spiaggia di Zuwara in Libia.

Lo racconta, senza bisogno di foto, Cecilia Strada. Le sue parole sono scatti nitidi di una tragedia senza fine, a cui non si può continuare ad assistere impotenti.

Sulla spiaggia di Zuwara, Libia, ci sono dei corpi. Un bambino. Una donna avvolta in una coperta. Sono stati riportati dal mare, dopo l’ultimo naufragio. La sabbia sulla faccia, che quasi non si vede più. Un bambino ha una camicetta, un po’ verde, un po’ blu. Uno è avvolto in una coperta con i fiori, o forse è una tutina, di quelle con i piedi. Difficile distinguere che cosa è stoffa e cosa bagnasciuga. Non la pubblicherò, perché mi dà la nausea. Perché se fosse mio figlio, morto, non lo vorrei in pasto al mondo. Non la pubblicherò perché ho già passato del tempo, nella mia vita, a rispondere a quelli che “Eh ma è una foto finta, un bambolotto, guarda com’è bianco!”, spiegando che è quello che l’acqua fa a un corpo, quando ci anneghi dentro. L’ho già fatto, e non lo voglio fare più. Non la pubblicherò perché io non lo so, sinceramente non lo so, se ha senso pubblicare queste foto: colpiscono chi vorrebbe affondare i barconi, fanno cambiare idea? O forse colpiscono solo – e fanno male – chi è già sensibile? Non la pubblico, ma è successo. Succede. Succederà.”

Tutti i bambini hanno bisogno del calore e della normalità di un pupazzo con cui addormentarsi la notte per sognare il sorriso della mattina successiva.

Lara: vento, pioggia e parole belle

“Oggi abito questo corpo che mi porta a spasso, domani chissà, magari sarò vento, o pioggia o terra, o acqua. Mentre scrivo, mi accorgo che tutto questo non mi spaventa più”

Lara Facondi

Sabato 22 maggio nei locali dell’Accademia Popolare dell’Antimafia e dei diritti, l’Associazione daSud insieme ai familiari, al compagno e alcune delle persone a lei più care, presenterà due iniziative dedicate alla memoria di Lara Facondi: il Fondo di Libri e l’Officina, una scuola di riflessione e di scrittura dedicata alla formazione di dieci ragazze e ragazzi neodiplomati.

Quante tracce preziose lascia una giovane donna appassionata di cultura e di vita?

Sono nell’impegno quotidiano per gli altri in cui ha investito il suo tempo, nella costruzione di percorsi di conoscenza, nell’apertura di prospettive verso il futuro, nitide, donate a chi decide di portarle avanti. Lara Facondi, giornalista, attivista, dottoressa in psicologia, in 41 anni ha impresso tutto questo e altro nel cuore e nella volontà di chi ha avuto la fortuna di starle accanto.

Nel comunicato con cui i suoi amici dell’Associazione daSud annunciano l’appuntamento di sabato la descrivono, dando ancora più significato alla modalità di rinnovarne il sorriso, la gioia, l’intelligenza.

“Da sempre nostra compagna di viaggio, grande amante della lettura e della scrittura, Lara ha sempre raccontato la realtà che la circondava con profondità e ironia, senza semplificazioni, dimostrando un sincero amore per la parola e credendo nella forza del linguaggio. Lara ci ha lasciato una grande eredità di pensiero, professionalità, dedizione, cura e passione di cui vogliamo fare memoria ogni giorno.”

Grazie alle donazioni di quanti hanno contribuito alla raccolta avviata in suo nome, è stato creato un fondo di libri. Sarà uno spazio all’interno di #BiblioÀP in cui poter riflettere, attraverso una preziosa selezione di testi letterari, filosofici, politici e scientifici, sul racconto della vita e della realtà. Gli scaffali della biblioteca, nei locali dell’Istituto Enzo Ferrari, periferia est di Roma, custodiranno cento volumi capaci di restituire ai lettori e ai visitatori la sensibilità che contraddistingueva Lara, una giornalista che si è dedicata al racconto di chi è ai margini della vita sociale.

Parole, libri, formazione e riflessioni in nome di chi ha contribuito a fondare l’Accademia Popolare dell’Antimafia e dei Diritti, nata proprio per riattivare le migliori energie sociali del territorio, trasformare la periferia, cambiare l’immaginario sulle mafie e l’antimafia, fornire servizi utili alle cittadine e ai cittadini, costruire un punto di vista critico sulla città.

Chi lascia queste tracce, continuerà a vivere per sempre.

Sarà possibile seguire l’evento in diretta streaming dalla pagina di ÀP, Accademia Popolare dell’Antimafia e dei Diritti a partire dalle ore 17.00.

Piccola grande Emma

“Volevo fare i complimenti a mio padre che è riuscito a vincere questo premio anche se non c’è più”

Emma Torre 

E’ salita sul palco con la forza dell’emozione contagiosa dei suoi dodici anni, seppur avvolta dalla struggente disperazione che pochi potevano comprendere. Emma Torre, figlia di Mattia e di Francesca, ha ritirato insieme a sua mamma il David di Donatello, assegnato a suo padre per la migliore sceneggiatura originale del film  “Figli”.

Ha preso fiato, quasi chiesto il permesso, prima di accostarsi al microfono e dare un senso diverso, reale alla cerimonia, al cinema celebrato, ai talenti premiati, alla genetica stupefacente dell’arte.

I ringraziamenti non hanno saltato nessuno di quelli che devono essere stati abbracci, supporti, sguardi presenti e vivi da quando il suo papà l’ha lasciata per sempre.

Da tutta via Beccari ai suoi amici, nome per nome: un appello di sentimenti non retorico.

Non c’è stato bisogno del foglietto, stritolato nelle mani di sua madre, neanche per pronunciare, nitida, la dedica di quella statuetta che è sembrata illuminare la sala più di tutte le altre fino a quel momento consegnate.

“Dedico questo premio al mio fratellino Nico, che mi fa ammazzare dalle risate, e a mia mamma che non si arrende mai. “Figli” parla di famiglia sole e di bambini che nascono, per questo ringrazio anche le ostetriche che fanno nascere nuove vite e i medici che si impegnano a non far volare via le persone. Bravo papà». 

Emma Torre, a cui è stata tributata una necessaria standing ovation, ha dimostrato con i suoi dodici teneri e temerari anni, quanto valore abbia la traccia che solo l’amore puro sa imprimere.

Se il cinema italiano avesse bisogno di energie da cui ripartire, sono negli occhi e nelle parole di questa ragazza, figlia di una donna che fa venire alla luce i bambini e di un uomo che ha reso immortale il sentimento che si prova per loro.

“I figli ti fanno ripiombare, con una forza che neanche l’ipnosi, nel tuo passato più doloroso e remoto: l’odore degli alberi alle otto del mattino prima di entrare a scuola, la simmetrica precisione dell’astuccio, la catena sporca della bici, le merendine, la ghiaia, le ginocchia sbucciate. Questi ricordi, non so dire perché, sono la mazzata finale. La vita stessa, che credevi di aver incasellato in categorie discutibili ma tutto sommato valide, o comunque tue, sfugge via. Sei una piccola parte di un tutto più complesso e i gin-tonic hanno smesso di darti l’illusione dell’eternità. Sei un pezzo di un grande ingranaggio, e siccome siamo in Italia, l’ingranaggio è vecchio, arruginito e si muove a fatica. D’altra parte, il tuo cuore non è mai stato così grande. “

Dal monologo “I figli ti invecchiano” di Mattia Torre

Luana

Non se ne è accorto nemmeno il collega che era alle sue spalle, forse neanche lei se ne è resa conto. Inghiottita dal rullo di un macchinario con il quale lavorava ogni giorno da un anno in una fabbrica tessile della provincia di Prato.

Così è morta, ieri mattina, 3 maggio 2021, alle 11,  Luana D’Orazio, 22 anni, mamma di una bambina piccola.

Hanno trovato solo foto sorridenti per illustrare la tragica notizia: bastano questi scatti ad imprimere nell’anima l’assurdità della tragedia.

Oste di Montemurlo è un paesino di case basse, in passato era conosciuto per l’artigianato: quasi in ogni famiglia si respirava la tradizione di filati, stoffe e orditi. Una delle eccellenze del centro Italia produttivo, sviluppata con garbo e rispetto: l’industria sembrava essersi incastonata nella grazia dei panorami e non aver condizionato nemmeno i rapporti sociali. Il romanzo si è fermato già da parecchio, omologandosi al resto delle cronache occupazionali che purtroppo dipingono la realtà attuale. Se si è fortunati, si riesce a strappare un contratto in una delle aziende, attive in capannoni sorti lungo le strade, dove la qualità delega alla quantità: si deve produrre tanto e in fretta, forse, tralasciando anche i diritti minimi alla sicurezza.

Eppure Luana sorrideva: i colleghi e i parenti intervistati, dicono fosse felice di aver trovato il modo per garantire un presente ed un futuro al suo piccolo amore. Era bella, tanto che l’imperfetto apre un’altra ferita profonda. Viene da immaginarsi le sue giornate, per molti una alienante monotonia di gesti e abitudini faticose: la sveglia presto; il tempo di lasciare la figlia all’asilo o da una nonna; la corsa in fabbrica; il turno; la chiacchiera con i vicini di posto; la pausa pranzo magari saltata per staccare prima e tornare dalla sua bambina di cui prendersi cura, poi, forse, finalmente, qualche piccolo svago e il meritato riposo. Luana è cittadina, anzi, era, onoraria di quel popolo silenzioso che non si rassegna: va avanti nella vita come può, trovando tesori nascosti nell’inatteso che non fanno mai spengere la luce nello sguardo.

Il 1 maggio non hanno palchi da cui parlare, non li cercano, non hanno voglia di ascoltare parole: le energie le tengono semmai per un ultimo ballo felice prima di crollare stanchi.

Qualcuno, nella stessa assenza di clamore, cercherà giustizia per Luana, proverà a spiegare a sua figlia che è accaduto perché non succeda più in futuro ad altri. Nessuno riuscirà a farglielo accettare.

“Gli eroi sono tutti giovani e belli” cantava Guccini. La vita non è un romanzo, non è una canzone, non è ballo: dovrebbe essere tutto insieme, ma rimane solo un filo di stoffa che non asciuga le lacrime.

Luana non è una eroina, i suoi occhi troppo allegri per piangere.

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