“Scrivi Vale! Devi fare un blog!”
D’accordo, ci provo. Non sono una esperta di ricette, cucino per la sopravvivenza e nei momenti di estro vado ad occhio con gli ingredienti; ho uno stile nel vestirmi tutto mio che non segue linee precise, se non la comodità poco sensuale delle converse che stanno bene sotto a tutto; se vivessi in una farmacia sarei la donna più felice nel mondo, rivelando una mia innata sfiducia verso omeopatia e fitoterapia, agli infusi preferisco la meno bucolica efficacia di dieci gocce di lexotan. Fatti fuori gli argomenti che maggiormente richiamano nei blog, ho solo una carta da giocare: io amo raccontare, di me, e degli altri.
Da quando ho imparato a dare un senso alle parole e a comprendere i collegamenti tra esse non ho mai smesso di riempire, con la mia indecifrabile calligrafia, blocchi, agende, post it, scontrini, di pensieri, idee da approfondire, bozze di racconti, domande per interviste, poesie decadenti e persino testi per canzoni pop.
Ricordo la tenera isteria della mia maestra delle elementari, Beatrice Del Buono, una figura disegnata sull’immagine di una insegnante dei sussidiario: “per i pensierini bastano anche meno righe, Valeria!”. Già in seconda elementare dedicavo frasi corpose a parole poco ispiranti come l’imbuto e il cancellino. Tutti i vocaboli avevano diritto ad una vita sulla carta che non si esaurisse in verbo ed aggettivo. Venne il tempo dei temi, nei quali i dettagli potevano diventare imbarazzanti per la reputazione di amici e parenti, raccontati, senza omissioni, a professoresse più o meno entusiaste.
E poi fogli word, cartelle su cartelle nella memoria dei vari computer che ho utilizzato e puntualmente rotto.
E’ la seconda parte del mio respiro: quando fermo i pensieri e le sensazioni, trasformandole in parole e punteggiatura, posso ammettere di aver realmente vissuto.
I particolari sono, per me, fondamentali: è da lì che la prospettiva complessiva può farsi più nitida.
Questa mia ansia di raccontare e di condividere ha trovato un argine nella decisione di provare a fare la giornalista. Percorso con fortune alterne: da giovane talento a promessa non mantenuta, senza perdere o farsi togliere, mai, la voglia di trovare il modo, con verbi, vocaboli e aggettivi, per descrivere le emozioni, anche le più dolorose.
Dall’articolo all’editoriale per tornare al diario e sconfinare nei post di facebook ora verso il blog: il passo, pare, si debba compiere.
Peccato per quella mia ansia da hastag, li considero una presunzione ed una megalomania, ma li accetterò come pure gli emoticon che preferisco aggirare con affettuose perifrasi esaurienti.
Ho scelto di non essere al centro e di non essere sola. Proverò ad alternare ironia e sentito approfondimento. Alle note con cui lascerò segno delle mie disavventure quotidiane, per sano edonismo e sincera volontà di condivisione, affiancherò il racconto serio di chi imprime, offre, dimentica tracce di sé, non accontentandosi di passare, ma volendo lasciare il segno.
I protagonisti delle storie che troverete, illustrate da quel genio del disegno che è mia sorella Annelise Scafetta, potrebbero essere quei dettagli per tentare di capire e magari accettare, con uno stato d’animo diverso, la realtà.
Io ci provo, scrivo!
#ecchecevò! Faccetta che ride.
Rispondi