“Uscire con Sirio è faticoso: anche il parcheggio personale ti rubano e dobbiamo portarci dietro un sacco di cose, ma l’alternativa di stare tutto il giorno chiusi in casa è molto peggio. Dimostrare che si può fare serve a smuovere gli altri genitori, a portarli anche a vedere che non ci si può annullare nel proprio figlio disabile. Vivere vuol dire essere anche felici o almeno provare ad esserlo. Io sento il dovere di farlo soprattutto per Nilo, ma anche per me.”
Sirio e i Tetrabondi. Quale fosse l’argomento del profilo facebook, l’ho capito dopo un po’, istintivamente ho messo il mio “mi piace, sono nella fase compulsiva del do ut des. L’impulsività mi ha premiato: ho conosciuto una famiglia incredibile, sì, al livello di quella dei supereroi animati che vede Luca. Sono Valentina, Paolo, Nilo e il piccolo Sirio, in arte: i Tetrabondi. Quattro guerrieri che lottano da cinque anni contro le sentenze di chi, per Sirio, nato di 30 settimane, 1300 grammi, arrivato quasi morto in rianimazione, a soli 50 giorni, decretarono la resistenza in vita solo attaccato ad una macchina: un’esistenza che, soprattutto per Valentina e Paolo, non si poteva considerare tale. Dal mondo di parametri standard della rianimazione, passando per il limbo di eccezionali Geppetti del reparto di Neuroriabilitazione del Bambin Gesù, la piccola stella, ha preso luce, grazie alla forza di chi non ha mai smesso di credere e di chiedere un presente e un futuro che alternasse terapie, tutori, macchinari per la respirazione a sorrisi, scuola e perfino bagni al mare. Con una ironia rara e fondamentale, Valentina ha deciso di raccontare la quotidianità di questo firmamento, senza benedirlo, anzi, consapevole che, nella sfiga, serva chi riesce a dirti la verità, ma anche una balla per farti vivere e non solo sopravvivere.
La traccia: giorni e progressi di Sirio
“Sono un’impiegata delle poste. Prima dell’arrivo di Sirio son stata anche tanto altro: ero una blogger, collaboravo con una radio, orbitavo nel mondo del giornalismo precario. Il mio compagno invece ora non lavora, era collaboratore di un giornale che ha chiuso ed ora si occupa h24 di Sirio: bisognava salvare la sola vera busta paga di famiglia. Sono riuscita ad ottenere il telelavoro e così a salvaguardare un full-time senza allontanarmi da casa. Nella richiesta allegai una lettera alle risorse umane dove raccontavo la giornata tipo accanto a Sirio: la conclusione poteva essere solo che o perdevo il lavoro o mi permettevano di lavorare da casa.”
“Sono frettolosa, anche Nilo che ha nove anni è nato un po’ prematuro. Sirio invece è stato proprio un prematuro puro: si definiscono in questo modo quando, pur nascendo molto prima del tempo previsto, hanno tutte le funzioni vitali regolari. Nato alla trentesima settimana, Sirio era considerato la Ferrari del reparto, “come non se ne vedevano da anni” ci dicevano i medici. Dopo 42 giorni, a poco meno di due kg, lo hanno dimesso. Di norma alla 36ima settimana si può fare. Allo scoccare preciso del termine ci hanno mandato via.”
“Dopo 6 giorni, il 2 ottobre, abbiamo fatto la visita di controllo: la prima volta che usciva di casa, piccolissimo, ma andava tutto bene. Il 4 ottobre, invece, non respirava più: si chiama “ALTE”, una quasi morte in culla. Siamo corsi al San Camillo, l’ospedale più vicino a casa. Lo hanno rianimato, stabilizzato e rimandato al Bambin Gesù, l’unico posto a Roma, insieme al Gemelli, dove si pratica l’ipotermia. La stessa terapia a cui è stato sottoposto, proprio nello stesso periodo, Michael Schumacher. 3 giorni, 72 ore, mantenuto ad una temperatura corporea di 33 gradi. Una tecnica conosciuta ed utilizzata per gli adulti, meno diffusa per i neonati. Mesi dopo, in Neuro mi dissero che quella poteva essere stata una grande svolta per la condizione cerebrale di Sirio e che avremmo visto i risultati dopo anni.”
Dalla quasi vita ai Mastro Geppetto
“Ci fidammo, anche se era dura: ci avevano detto che Sirio fosse una Ferrari e ci eravamo ritrovati, dopo solo 8 giorni, in rianimazione, in uno dei 6 letti del Comparto Rosso. Non siamo stati certo fermi, abbiamo studiato tutto quel che potevamo. Era stato dimesso al limite del protocollo: era piccolissimo e nato solo a 30 settimane, ci avrebbero dovuto consigliare l’uso di un saturimetro che gli avrebbe salvato la vita, oltre a farci eseguire una polisonnografia prima delle dimissioni. Dopo in Tin sembrava essere stato inserito un “protocollo Sirio” e le dimissioni divennero molto più scrupolose. Forse non è stata commessa una negligenza, ma di certo una leggerezza. Ho ragionato se rivalermi legalmente, ma nei fatti hanno dimesso un bambino di nemmeno due chili da un reparto di neonatologia potenzialmente pericoloso. Era risultato sano in quel momento.
Abbiamo avuto una grande sfiga, ma Sirio c’è.”
“Ci avevano sentenziato che però non avrebbe ripreso mai coscienza. Ce lo hanno comunicato già 6 giorni dopo, perché non si era svegliato dal coma farmacologico quando avevano calato le sedazioni e provato ad estubarlo. Ci hanno proposto, sarebbe meglio dire imposto la tracheostomia. Funziona così. Avevamo espresso ai medici il nostro desiderio di non accanirsi sul corpicino di Sirio, che in teoria doveva ancora nascere, la prospettiva di una vita incosciente attaccato ad un ventilatore era tremenda, qualora avesse avuto un altro arresto cardiocircolatorio chiedevamo di lasciarlo andare. Quando però ho capito che o accettavo la tracheostomia o mi portavano via Sirio, abbiamo firmato. “
“La rianimazione è un mondo strano, in cui si procede per parametri vitali standard. Quando dicevamo che sembrava aprisse gli occhi o facesse un movimento ci rispondevano che si trattava solo di riflessi. Era tutto un susseguirsi di “battito cardiaco e saturazione”. Quando siamo stati trasferiti in Neuro, il personale della rianimazione nemmeno ci credeva. La Neuroriabilitazione era un mondo molto diverso: dai “parametri vitali” si passava alle terapie con i mastro Geppetto, quelli che tentano di ricostruire bambini da pezzi di legno immobili.
Dopo 2 mesi e mezzo con la tracheostomia, attaccati al ventilatore, finalmente Sirio era libero dai macchinari per respirare. E’ sempre stato ostile alla ventilazione automatica.“
“In Neuro la sfida iniziale era agganciare il suo sguardo. Gli venivano mostrati piccoli giochi bianchi e neri per capire se con gli occhi li seguisse nel movimento. L’altro esercizio era imparare a rotolare.
Noi stavamo lì con lui. Io e Paolo facevamo i turni, in qualche modo li faceva anche Nilo che a 3 anni e mezzo si era ritrovato ad iniziare la scuola materna, ad avere un fratello speciale e purtroppo anche a perdere la nonna. Mia mamma mi ha lasciato proprio quell’anno: non siamo sopravvissuti tutti a questa storia . La mia più grande angoscia è proprio la serenità di Nilo che ha smesso di essere bambino a 3 anni e mezzo. Noi proviamo a far tutto, loro si amano follemente, ma voleva un fratello normale.”
Senza gli alleati non si vince
“Siamo stati 6 mesi in Neuro, poi ci hanno concesso di uscire e fare ricoveri brevi oltre a controlli molto ravvicinati nel tempo. Facciamo settimane di full immersion di riabilitazione. I risultati ci sono stati eccome!
Se a cinque anni ha iniziato a camminare, devo ammettere, che è perché se lo è messo in testa il dott. Stortini, una delle persone a cui dobbiamo di più, e tutte le terapiste che quotidianamente lavorano con lui. Il dottor Stortini è persona rara, che non dà speranze inutili e nemmeno sentenze, e, da vero riabilitatore, ti mette a lavorare sodo. Quando gli ho mandato il video di Sirio che camminava, ha commentato. “Io questo video l’ho visto già anni fa.” Lo sapeva, lui ha sempre creduto in Sirio, ma non poteva certo dircelo!
Nella nostra vita ospedaliera ci sono state altre figure senza le quali non ce l’avremmo fatta a resistere e ad andare avanti. La prima è la fisioterapista che ora è in pensione. Ci ha insegnato a gestire i movimenti di Sirio a giocare con lui: non è facile imparare ad essere mamma di un bambino così piccolo e fragile, serve chi ti suggerisca le giuste tattiche.”
“E poi ci sono le infermiere che sono riuscita ad ottenere in assistenza domiciliare, per 10 ore al giorno. E’ stata una battaglia dura con la ASL, ma l’abbiamo spuntata. Quando ci hanno dimesso, l’ospedale chiedeva alla Asl 12 ore di assistenza: in realtà ne volevano scrivere 24, ma abbiamo una casa piccola, non abbiamo lo spazio per una stanza in più per una infermiera e poi non volevamo che diventasse un ospedale. Peccato che negli uffici della ASL mi dissero che al massimo ci avrebbero dato mezzora. Siamo rimasti un altro mese in ospedale e lottato fino ad ottenere quanto era nostro diritto. E siamo stati fortunati che in questi 4 anni non hanno cambiato le infermiere che ci hanno assegnato: sono diventate figlie, sorelle, zie. Sempre le stesse da maggio 2014: un’aggiunta alla nostra famiglia. Pochi giorni fa ci hanno consentito di andare al cinema dopo 6 anni: una ragazza si è fatta un turno di 16 ore.”
“Nessuno può gestire Sirio oltre noi e le infermiere. E’ un bambino che non parla, non mangia e non beve se non attraverso la gastrostomia o peg ( un bottoncino sulla pancia attraverso cui lo nutriamo), per sicurezza ha la tracheostomia attraverso cui aspiriamo le sue secrezioni. Per stare con lui si devono avere delle conoscenze che solo il personale sanitario può garantire. A chi altro si può chiedere senza che si impressioni! Noi sappiamo gestire tutto, io ormai aspiro anche mentre dormo o guido!.
“Insegnatemi tutto!” ho chiesto. Se il mio “cosino” è fatto di tubi, devo sapere come maneggiarli. La salvezza è legata al fatto che io sappia tutto.”
“Dopo 10 mesi in ospedale, a casa, avremo rianimato Sirio non so quante volte, per un periodo una notte sì ed una non: avevamo il pallone Ambu sul comodino. Non c’è alternativa: o lo sai fare o tuo figlio muore. Noi abbiamo gestito per mesi una terapia intensiva a casa finchè Sirio non è uscito dalle emergenze respiratorie, crescendo. “
Er moviola cammina e va a scuola
“Abbiamo creduto in Sirio, in noi e nelle terapie, certo non nel miracolo. Al compimento dei 5 anni ha cominciato a camminare. Per anni ha lavorato su di una pedana basculante, un brevetto del Bambin Gesù che noi abbiamo anche in casa. Abbiamo iniziato a lavorarci da seduto: doveva mantenere lo sguardo su un oggetto o un filmato mentre la pedana si muoveva sotto di lui. Serviva per imparare a gestire il tronco e la posizione seduta, per poi passare a quella eretta. Sirio ha avuto una grande fortuna, ha tenuto bene la testa presto, ad un anno ha conquistato la posizione seduta e da lì il percorso è stato lento e in salita, ma siamo arrivati ai primi passi. E chi se li sarebbe mai immaginati. Ora ne fa 20, 30, poi si ferma.
All’inizio lo chiamavamo er moviola.”
“Per comunicare usa l’i-pad con un programma di CAA (Comunicazione aumentativa alternativa) che utilizza anche a scuola. Non può accedere nemmeno alla LIS ( lingua italiana dei segni) perché non riesce a coordinare i movimenti delle mani così velocemente e non ha la mimica facciale: Sirio ha la bocca sempre aperta. Abbiamo inventato dei nostri segni: ne abbiamo per la scuola, per la neve, per i giochi, uno per ognuno di noi.
Siamo riusciti a mandarlo a scuola, subito, a tre anni e mezzo: le infermiere rimangono con lui, proprio per la gestione di tracheostomia e gastrostomia. Non è stato così facile. Quando sono andata ad iscriverlo, la prima risposta della segreteria è stata una domanda: “Signora ma chi le ha parlato della scuola materna?”. ”Io ci sono andata, anche mio figlio maggiore. Mi pare esista ancora.” Ho aggirato con una battuta i dubbi e gli ostacoli di chi voleva cominciassimo direttamente dalla scuola dell’obbligo. Invece stare in classe ha cambiato la vita di Sirio, in positivo. E’ tignoso e il confronto con gli altri ha portato dei progressi. Ha smussato le sue frustrazioni, a gestire la rabbia: Siro è sempre sembrato consapevole della sua condizione e non ha mai smesso di provare a superarla. A scuola riesce a stare con gli altri, a farsi capire, si è liberato. Gli altri bambini lo adorano: ha le sue bambine ancelle che giocano a fare le infermierine. Siamo stati anche in questo caso fortunati nel trovare un istituto pubblico che ci ha accolti bene. L’anno prossimo inizierà le elementari e anche il tempo pieno su richiesta di tutti: maestri e neuropsichiatri.”
“Il suo percorso si ampia e noi cerchiamo di non porre troppi limiti. Facciamo piccole gite, la domenica, con la macchina che, anche solo per brevi tragitti, trabocca di macchinari, tutori, siringhe. Andiamo al mare: non ho problemi e non mi vergogno certo di mostrare mio figlio.”
Il diritto di essere felici o almeno provarci
“Ho sempre raccontato di Sirio. Nei mesi al Bambin Gesù scrivevo sul mio profilo facebook : il diario della prigionia. C’è bisogno di raccontare la grave disabilità in un altro modo: costruire vite che siano capaci ancora di farsi una risata. Purtroppo spesso l’unica consolazione è andare a chiedere la grazia a Padre Pio: ho assistito alla conversione di molti non religiosi, che certo non giudico. Ricordo però nei momenti più duri che ho trovato conforto nel racconto di storie simili alla nostra, comunicate senza peli sulla lingua. Mi hanno detto tante volte di scrivere un libro, ma io mi sono sempre occupata di carcere, immigrazione, conflitti, non di me, di noi. Sirio però è un sacco vanitoso, gli piace farsi riprendere e con Nilo scherziamo sempre “facciamo il video al matto!” Per cui abbiamo alla fine abbiamo creato la pagina dei Tetrabondi: non offriamo miracoli, ma la realtà.
In meno di due mesi che siamo su Facebook, mi hanno scritto in tantissimi, ognuno con una sua storia. E’ un mondo enorme quello che viviamo: ho conosciuto decine di bambini e molti non hanno avuto la fortuna di Sirio e non hanno conquistato quello che lui è riuscito in questi anni, in tanta sfiga Sirio ce la sta facendo a strappare autonomia e ci ha aiutato a lottare contro il nostro stesso scetticismo. ”
“Bisogna trovare il modo per salvarci tutti in casa: se io o il padre crolliamo crolla tutto, dobbiamo tutelare la nostra serenità, soprattutto quella di Nilo. Provare a stare bene: a fare un bagno al mare; un pranzo fuori, una giornata normale. Non si può vivere nella solitudine. Uscire con Sirio è faticoso: anche il parcheggio personale ti rubano e dobbiamo portarci dietro un sacco di cose, ma l’alternativa di stare tutto il giorno chiusi in casa è molto peggio. Dimostrare che si può fare serve a smuovere gli altri genitori, a portarli anche a vedere che non ci si può annullare nel proprio figlio disabile. Vivere vuol dire essere anche felici o almeno provare ad esserlo.
Io sento il dovere di farlo soprattutto per Nilo, ma anche per me.
Abbiamo capito come si può persino ridere delle sue disabilità che sono anche le nostre: i tetrabondi, una specie di orgoglio tetraplegico. Combattiamo da cinque anni con la salivazione e non è semplice. Tra tutte le visibili disabilità spesso poi quelle che creano più problemi sociali sono quelle che non ti immagineresti: la bava del nostro lumacone non è stata facile da gestire all’inizio. Ma ci proviamo, a conquistar la normalità di una vita serena! Ora aspettiamo anche un bel concerto rock, magari di Bruce Springsteen, dove portare il piccolo Sirio!”
La traccia volante: “Secondo autorevoli testi di aeronautica, il calabrone non può volare a causa della forma e del peso del proprio corpo in rapporto alla superficie alare. Ma il calabrone non lo sa e perciò continua a volare.” Pare lo abbia detto Igor Sikorsky, russo di origine e americano di adozione, pioniere nella progettazione di elicotteri e aeroplani, a noi ce lo ripetevano in Neuro al Bambin Gesù. Oppure una massima napoletana di una nostra amica: “pilo a pilo facimmo ‘o pennello.”
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