“Sono passati 8 anni dal nostro ritrovarci, quasi per gioco, nella scuola Gulliver, rimangono sempre vive le 5 parole che legano le nostre azioni insieme: solidarietà, sussidiarietà, partecipazione, gratuità, fraternità. Sono gli strumenti della nostra rivoluzione gentile.” Continua a leggere “Andrea e un piccolo gigante di generosità”
Il diritto al tepore
Da lunedì tornerò a raccontare le tracce belle di speranza, gioia, e prospettiva che sto raccogliendo, ma oggi non riesco a tacere: ci sono esseri umani che stanno morendo di freddo e altri che non stanno facendo nulla per salvarli. Bisogna utilizzare ogni spazio per ribadire che non è normale accada e che si deve trovare una soluzione immediata. Ognuno, senza distinzione di nessun tipo, ha il diritto al tepore.
Fa freddo, è gennaio, è giusto sia così, per questo motivo abbiamo case dotate di riscaldamento, vestiamo con giacche, sciarpe e cappelli, siamo meno in strada, in determinate ore non usciamo proprio. Preveniamo malanni che comunque arriveranno per cui avremo medicine e coperte a curarci.
Ieri ho passeggiato con i bambini, hanno iniziato a lamentarsi perché la temperatura stava scendendo troppo e non era compensata dal calore prodotto da corse e passi: siamo entrati in un bel bar ci siamo presi la cioccolata, io mi sono persino regalata un giubbotto nuovo che non ne avevo bisogno (vittima del marketing stagionale); tornati a casa abbiamo aumentato i gradi sul termostato e caricato il camino. Di notte Luca ha fatto ancora un po’ i capricci e gli abbiamo messo la coperta di Frozen in più.
Un po’ viziati sì, ma è normale quando fa freddo pensare a scaldare in tutti i modi le persone che ami.
Un pensiero elementare, può apparire stucchevole e romantico, per me naturale.
Non riesce per fortuna a diventare in nessun modo comprensibile, il ragionamento contrario, quello per il quale si lascia che ci siano bambini, donne e uomini costretti a patire le conseguenze del freddo.
E’ fuori dalla mia capacità di intendere l’umanità anche il motivo per cui si pensa ci siano corpi che ne soffrono di più e corpi meno, in base alla provenienza, alla religione, alla sfortuna, al destino. Riconosco le necessità sanitarie di chi è malato, ma che si possa imbastire una contesa dell’inverno tra italiani e stranieri, lo trovo aberrante.
Il calo termico, l’ipotermia, l’assideramento attaccano, democratici, il bambino abbracciato alla sua mamma,nell’estremo tentativo di trasmettere calore,su una nave in mezzo al mare alla ricerca di salvezza, davanti a coste di indifferenza e disumanità; una donna che tenta di riparare gli spifferi di un container senza riscaldamento in una situazione di degrado, abbandonata da anni,a Foggia, città dagli amministratori distratti nel nostro italico paese; un uomo che vuole salvare la sua azienda agricola nelle zone dove la terra trema da due anni e si lascia alla forza del singolo,la volontà di difendere la propria dignità di anni di lavoro e di fatica; donne e uomini che nella capitale d’Italia non trovano riparo nella notte e presto finiranno in un trafiletto della cronaca, letti nella più odiosa consapevolezza che si poteva evitare.
E’ gennaio, fa freddo, non sorprendiamoci, ma agiamo, ognuno per come gli è possibile:io posso solo scrivere e avrei potuto evitare di comprarmi un’ennesima giacca. Non facciamoci ghiacciare il cuore dal principio, dall’egoismo, dalla superficialità.
C’è un ministro che indossa pesanti giubbotti delle forze di polizia,ma non ne incarna lo spirito volto a salvare chi ne ha bisogno:più intento a ribadire una posizione che a confrontarla con la sua presunta umanità. C’è un’amministrazione che non risponde alle richieste pressanti e disperate di 52 famiglie per avere una sistemazione dignitosa. C’è l’improvvisazione a gestire piani di emergenza. C’è il vice sindaco di una grande città come Trieste che si è vantato di aver raccolto e buttato le coperte e i cartoni dei senza tetto, senza avere la vergogna di aggiungere di essersi lavato le mani subito dopo.
Davanti a tanto gelo resistono le persone: chi sta protestando nelle piazze perché si vada contro una legge che è un’imposizione senza giustizia; chi vuole amministrare obbedendo ad una coscienza che si oppone a regole senza morale; chi sta aprendo le proprie case a chi ne ha bisogno; chi continua a denunciare,mostrando non solo solidarietà ma appoggio reale a chi soffre; e c’è Giada, una ragazza che,alla stazione di Trieste,ha lasciato una busta con cibo buono per chi ne avesse bisogno.
Si coprano il volto ipocriti e crudeli, lo scoprirà il calore di chi non si arrende al gelo dell’anima.
La traccia fondamentale
Una delle mie prime foto ritrae la mia manina piccolissima sfiorare quella curatissima di mia mamma: un particolare a dare il senso di quell’incontro unico da cui ogni emozione e scoperta avrebbe preso forma. Onore al merito: la scattò mio padre nel suo periodo Newton. Le mie mani sono cresciute uguali a quelle di mia madre: il pollice termina con lo stesso arrotondamento finale dell’unghia. A dispetto di chi mi ha sempre detto essere la copia di papà, i più aggraziati aggiungono “senza baffi”, le dita sono plasmate su quelle materne. Comune anche il modo di gesticolare, di muoverle come mimi francesi per amplificare e rendere ancora più diretto il senso delle nostre parole. E’ una delle sue tracce nel primo passaggio che mi rapporta con gli altri. Nelle carezze, come nelle espressioni di disappunto, forgiata ad essere il più possibile chiara per comprendere, a non aver timore di incontrare le mani degli altri, anzi a ricercarle come veicolo di conoscenza. Ricordo le prove di stretta che facevo da piccola con lei e con mia sorella: mi è rimasta la diffidenza verso quelle mosce, rapide e distratte. Dalla forma delle mani è passata, quindi, la costituzione dei sentimenti e delle idee.

Mamma ha tracciato e continua ad imprimere, leggera, segni fondamentali nella mia personalità. Si è sempre considerata una donna fragile ed è sempre stata la mia forza. Lucia, Luce, Maminè, Sora Lucì, i mille e più soprannomi con cui la chiamo, ha negli occhi le stelle dei meravigliosi anni 60, di cui ha assaporato, nel bene e nel male, ogni minuto. Della sua terrazza di Viale Angelico sui cui giocava insieme a zia Rita, zio Primo e all’inseparabile amico di infanzia, Giancarlo Sollecchia, conosciamo angoli e nascondigli come tra le pagine di un racconto di Moravia. Le passeggiate infinite con nonna fino allo stadio o a piazza del Popolo, attraversando viale Mazzini che era giardino e non traffico, le abbiamo ripercorse negli anni, cercando di trovare i suoi dettagli.

Del suo passato non ci ha risparmiato memoria, trasmettendo l’importanza di conservarla. A volte per questo suo narrare continuo la prendiamo in giro, ma non avremmo amato così tanto Prati e Roma senza i suoi ricordi e non avrei mai scelto con tanta emozione di varcare il portone del Liceo Virgilio dove il suo professor Di Giovanni le ha dispensato massime di filosofia e di saggezza. Dei suoi anni di formazione conosciamo gli ideali e le lotte con quegli amici che si sono persi e con quelli che non ha mai smesso di avere, in qualche modo, vicino.
Bella Ciao come ninna nanna e come primo testo da sapere a memoria, capendo il senso dell’amore per la libertà, racchiuso nelle parole.
Gambe lunghe, capelli biondi platino, minigonne cucite a mano da nonna Mena e quella somiglianza a Mina: nelle foto da ragazza, mamma è obiettivamente una modella di Carnaby Street e, pensarla così che va a fare lezione di italiano nelle periferie della città, la consegna al mito.
Di quelle giornate ci ha raccontato anche i momenti di paura quando è stata male: le storie di un lungo mese in ospedale e tutte le conseguenze che ne seguirono.
Quando ancora non era di modo il termine, mia madre era già una donna resiliente. Ripartì da un periodo buio, affrontandolo con la passione per il prossimo e la voglia di esserci nei momenti importanti per quegli anni che lei non rinnegherà mai.
Nella convinzione della necessità di impegnarsi e soprattutto di non essere mai indifferenti, ci ha cresciuto.
Prima manifestazione insieme: un 8 marzo nel quale abbiamo sfilato dietro lo striscione di un gruppo di “sfrattati” che protestavano per la casa. “Noi siamo tranquilli, ma potrebbe capitare anche a noi e poi si manifesta per i diritti e questo è fondamentale.” Penso che rispose in questo modo alle mie lamentele per la scelta del posto nel corteo. Ha sempre provato ad impedirci di giudicare i compagni di scuola, come le maestre e i professori, ma ci spronava a farci rispettare, intervenendo, a volte, discreta ma determinata. Non è stato casuale che fosse considerata la confidente e il porto sicuro dove sono approdate amiche e amici in crisi.
Nelle foto di noi bambine, il suo sguardo si fingeva sereno, tradendo a volte l’inquietudine passata, ora che sono madre e urlo ogni mio risentimento, non so come abbia fatto a nascondere. Ha scritto con calligrafia chiara, in agende e quadernini, la sua angoscia e l’ha letta nella letteratura che mi ha insegnato ad amare. Sibilla, Alba, Anais, Colette, i suoi specchi dell’anima, sono diventati anche i miei.
C’è stata e c’è nei trionfi, ma di più nei dubbi o nelle follie che rintracciava e ancora sa intuire da un guizzo nello sguardo. Apprensiva e dura nel rispetto degli orari e di alcune regole base, ha derogato quando ha capito che alla trasgressione era abbinato un attimo di pura felicità. Segni di sberle quasi nessuno, ma qualche senso di colpa per la sua agitazione riusciva e riesce a tracciarlo.
Da madre se penso a quello che abbiamo fatto io e mia sorella da figlie, un po’ tremo, anche perché so che lei aveva comunque tutto sotto controllo, e chi ce la farebbe, invece, senza l’imposizione di minacce e divieti!
Maniaca della pulizia e dell’ordine, non ha mai voluto che imparassimo a stirare, ma so che quando viene a casa mia, sogna di avere il pulmino della Fulgida a seguito: si limita a piegare qualche panno, se proprio non resiste, riordina i giochi dei bambini ma poi chiosa: “vabbè, tu devi scrivere, e poi non c’è proprio il disastro…”
“Prima di tutto abbiate rispetto di voi stesse poi trasferitelo agli altri.” Il suo mantra.
Il giudizio non fa per lei, preferisce l’intervento. In borsa un rimedio per tutto, anche per qualsiasi disturbo o malattia, con una laurea in medicina assegnata dalle sue stesse disavventure di salute e da una passione per la chimica applicata. E’ una delle altre tracce fondamentali che passa dalla nostra condivisione di boccette, blister e dall’alzata di spalle immediata di fronte al consiglio altrui di rimedi naturali o omeopatici.
Senza mai dimenticare la ricetta del lexotan, è sempre andata avanti con quel cuore matto che ci ha fatto tanto preoccupare, pieno di ansie e di gioie per chiunque sia entrato o si crei un varco, anche solo per un breve saluto.

Il terrore per il mare, ma ci tiene sempre a galla tutti, anzi ci sprona a guardare l’orizzonte che il blu schiude.
Non avevo dubbi quindi che diventasse anche la nonna più complice che potesse esistere senza far mancare, a me a mia sorella, inevitabili critiche.
Le mani passano alla nipote e mi sembra di vedere anche in quelle di Viola l’istinto ad afferrare la vita senza dimenticare di portarci chi ama.
Ci si litiga, perché è permalosa, forse è un altro tratto comune. Quando si discute passano almeno tre telefonate prima che si faccia pace. Il vero dilemma si apre per il suo compleanno: non si capisce mai se lo voglia festeggiare o meno, e poi il regalo.
Non riusciamo mai ad indovinarlo: quel dannato maglione color petrolio che non esiste della tonalità giusta; il cd di De Gregori o De Andrè (educazione musicale ferrea dalla versione originale di Rimmel a Don Raffaè) “grazie, ma non riesco mai a sentirli con calma”; i libri che si compra in quantità bibliotecaria insieme a papà e non c’è mai il titolo che le manca; quei gioiellini che passa in automatico alle nipoti.
Forse non ce ne sono doni per ringraziarla di quanto abbia e continui a dare a noi e a chi le sta intorno, senza bisogno di ricorrenze.
Oggi compie 68 anni, ed io vorrei chiudere la mia mano nella sua, dalle unghie sempre perfettamente smaltate, sedermi per pochi minuti a sentirle raccontare, riuscendo a non interromperla e a non fare battute: della dolcissima zia Enza e della sua mitica torta paradiso; delle corse sempre laterali nelle manifestazioni; delle feste negli ambienti chic di papà, dove faceva sfigurare le altre per bellezza e naturale eleganza; e di tutti quei dettagli dalla mia nascita a quella di Luca che io non ricordo, ma lei documenta senza bisogno di foto e di social.
Sono fortunata perché io ho la mia traccia fondamentale da cui parte tutto: mia madre, mani che tengono stretta la memoria e mi aiutano a portarla nel futuro.