Una delle mie prime foto ritrae la mia manina piccolissima sfiorare quella curatissima di mia mamma: un particolare a dare il senso di quell’incontro unico da cui ogni emozione e scoperta avrebbe preso forma. Onore al merito: la scattò mio padre nel suo periodo Newton. Le mie mani sono cresciute uguali a quelle di mia madre: il pollice termina con lo stesso arrotondamento finale dell’unghia. A dispetto di chi mi ha sempre detto essere la copia di papà, i più aggraziati aggiungono “senza baffi”, le dita sono plasmate su quelle materne. Comune anche il modo di gesticolare, di muoverle come mimi francesi per amplificare e rendere ancora più diretto il senso delle nostre parole. E’ una delle sue tracce nel primo passaggio che mi rapporta con gli altri. Nelle carezze, come nelle espressioni di disappunto, forgiata ad essere il più possibile chiara per comprendere, a non aver timore di incontrare le mani degli altri, anzi a ricercarle come veicolo di conoscenza. Ricordo le prove di stretta che facevo da piccola con lei e con mia sorella: mi è rimasta la diffidenza verso quelle mosce, rapide e distratte. Dalla forma delle mani è passata, quindi, la costituzione dei sentimenti e delle idee.
Mamma ha tracciato e continua ad imprimere, leggera, segni fondamentali nella mia personalità. Si è sempre considerata una donna fragile ed è sempre stata la mia forza. Lucia, Luce, Maminè, Sora Lucì, i mille e più soprannomi con cui la chiamo, ha negli occhi le stelle dei meravigliosi anni 60, di cui ha assaporato, nel bene e nel male, ogni minuto. Della sua terrazza di Viale Angelico sui cui giocava insieme a zia Rita, zio Primo e all’inseparabile amico di infanzia, Giancarlo Sollecchia, conosciamo angoli e nascondigli come tra le pagine di un racconto di Moravia. Le passeggiate infinite con nonna fino allo stadio o a piazza del Popolo, attraversando viale Mazzini che era giardino e non traffico, le abbiamo ripercorse negli anni, cercando di trovare i suoi dettagli.
Del suo passato non ci ha risparmiato memoria, trasmettendo l’importanza di conservarla. A volte per questo suo narrare continuo la prendiamo in giro, ma non avremmo amato così tanto Prati e Roma senza i suoi ricordi e non avrei mai scelto con tanta emozione di varcare il portone del Liceo Virgilio dove il suo professor Di Giovanni le ha dispensato massime di filosofia e di saggezza. Dei suoi anni di formazione conosciamo gli ideali e le lotte con quegli amici che si sono persi e con quelli che non ha mai smesso di avere, in qualche modo, vicino.
Bella Ciao come ninna nanna e come primo testo da sapere a memoria, capendo il senso dell’amore per la libertà, racchiuso nelle parole.
Gambe lunghe, capelli biondi platino, minigonne cucite a mano da nonna Mena e quella somiglianza a Mina: nelle foto da ragazza, mamma è obiettivamente una modella di Carnaby Street e, pensarla così che va a fare lezione di italiano nelle periferie della città, la consegna al mito.
Di quelle giornate ci ha raccontato anche i momenti di paura quando è stata male: le storie di un lungo mese in ospedale e tutte le conseguenze che ne seguirono.
Quando ancora non era di modo il termine, mia madre era già una donna resiliente. Ripartì da un periodo buio, affrontandolo con la passione per il prossimo e la voglia di esserci nei momenti importanti per quegli anni che lei non rinnegherà mai.
Nella convinzione della necessità di impegnarsi e soprattutto di non essere mai indifferenti, ci ha cresciuto.
Prima manifestazione insieme: un 8 marzo nel quale abbiamo sfilato dietro lo striscione di un gruppo di “sfrattati” che protestavano per la casa. “Noi siamo tranquilli, ma potrebbe capitare anche a noi e poi si manifesta per i diritti e questo è fondamentale.” Penso che rispose in questo modo alle mie lamentele per la scelta del posto nel corteo. Ha sempre provato ad impedirci di giudicare i compagni di scuola, come le maestre e i professori, ma ci spronava a farci rispettare, intervenendo, a volte, discreta ma determinata. Non è stato casuale che fosse considerata la confidente e il porto sicuro dove sono approdate amiche e amici in crisi.
Nelle foto di noi bambine, il suo sguardo si fingeva sereno, tradendo a volte l’inquietudine passata, ora che sono madre e urlo ogni mio risentimento, non so come abbia fatto a nascondere. Ha scritto con calligrafia chiara, in agende e quadernini, la sua angoscia e l’ha letta nella letteratura che mi ha insegnato ad amare. Sibilla, Alba, Anais, Colette, i suoi specchi dell’anima, sono diventati anche i miei.
C’è stata e c’è nei trionfi, ma di più nei dubbi o nelle follie che rintracciava e ancora sa intuire da un guizzo nello sguardo. Apprensiva e dura nel rispetto degli orari e di alcune regole base, ha derogato quando ha capito che alla trasgressione era abbinato un attimo di pura felicità. Segni di sberle quasi nessuno, ma qualche senso di colpa per la sua agitazione riusciva e riesce a tracciarlo.
Da madre se penso a quello che abbiamo fatto io e mia sorella da figlie, un po’ tremo, anche perché so che lei aveva comunque tutto sotto controllo, e chi ce la farebbe, invece, senza l’imposizione di minacce e divieti!
Maniaca della pulizia e dell’ordine, non ha mai voluto che imparassimo a stirare, ma so che quando viene a casa mia, sogna di avere il pulmino della Fulgida a seguito: si limita a piegare qualche panno, se proprio non resiste, riordina i giochi dei bambini ma poi chiosa: “vabbè, tu devi scrivere, e poi non c’è proprio il disastro…”
“Prima di tutto abbiate rispetto di voi stesse poi trasferitelo agli altri.” Il suo mantra.
Il giudizio non fa per lei, preferisce l’intervento. In borsa un rimedio per tutto, anche per qualsiasi disturbo o malattia, con una laurea in medicina assegnata dalle sue stesse disavventure di salute e da una passione per la chimica applicata. E’ una delle altre tracce fondamentali che passa dalla nostra condivisione di boccette, blister e dall’alzata di spalle immediata di fronte al consiglio altrui di rimedi naturali o omeopatici.
Senza mai dimenticare la ricetta del lexotan, è sempre andata avanti con quel cuore matto che ci ha fatto tanto preoccupare, pieno di ansie e di gioie per chiunque sia entrato o si crei un varco, anche solo per un breve saluto.
Il terrore per il mare, ma ci tiene sempre a galla tutti, anzi ci sprona a guardare l’orizzonte che il blu schiude.
Non avevo dubbi quindi che diventasse anche la nonna più complice che potesse esistere senza far mancare, a me a mia sorella, inevitabili critiche.
Le mani passano alla nipote e mi sembra di vedere anche in quelle di Viola l’istinto ad afferrare la vita senza dimenticare di portarci chi ama.
Ci si litiga, perché è permalosa, forse è un altro tratto comune. Quando si discute passano almeno tre telefonate prima che si faccia pace. Il vero dilemma si apre per il suo compleanno: non si capisce mai se lo voglia festeggiare o meno, e poi il regalo.
Non riusciamo mai ad indovinarlo: quel dannato maglione color petrolio che non esiste della tonalità giusta; il cd di De Gregori o De Andrè (educazione musicale ferrea dalla versione originale di Rimmel a Don Raffaè) “grazie, ma non riesco mai a sentirli con calma”; i libri che si compra in quantità bibliotecaria insieme a papà e non c’è mai il titolo che le manca; quei gioiellini che passa in automatico alle nipoti.
Forse non ce ne sono doni per ringraziarla di quanto abbia e continui a dare a noi e a chi le sta intorno, senza bisogno di ricorrenze.
Oggi compie 68 anni, ed io vorrei chiudere la mia mano nella sua, dalle unghie sempre perfettamente smaltate, sedermi per pochi minuti a sentirle raccontare, riuscendo a non interromperla e a non fare battute: della dolcissima zia Enza e della sua mitica torta paradiso; delle corse sempre laterali nelle manifestazioni; delle feste negli ambienti chic di papà, dove faceva sfigurare le altre per bellezza e naturale eleganza; e di tutti quei dettagli dalla mia nascita a quella di Luca che io non ricordo, ma lei documenta senza bisogno di foto e di social.
Sono fortunata perché io ho la mia traccia fondamentale da cui parte tutto: mia madre, mani che tengono stretta la memoria e mi aiutano a portarla nel futuro.
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