Vincono idee e storie delle donne americane

La storia, come pure la saggezza popolare, insegnerebbero: cosa c’è da stupirsi, quando la situazione sembra precipitare, ci pensano coloro che, anche nell’incertezza e nell’emergenza, trovano un modo per reagire e rilanciare, senza cedere alla rassegnazione.

bandiera americana
( disegno di Annelise Scafetta)

Sto guardando gli occhi, le espressioni delle donne che hanno vinto le elezioni negli Stati Uniti. Non oso fare analisi di politica internazionale, né tantomeno voglio capire se il segreto sia nel mascara di queste rappresentanti democratiche: sul primo punto ci sono già tantissimi editoriali autorevoli, ce ne saranno, purtroppo, diversi, anche sul look, di pari competenza. Mi limito a gioire di quella fierezza e ad arrabbiarmi per il tono di quella apposizione, che in Italia, mira ad aggiungere stupore, nell’ipocrisia : “donne”.

Ho letto rapidamente parte dei programmi ed alcune dichiarazioni di Alexandra Ocasio Cortez, Arianna Presley, Elizabeth Warren ed ho trovato la forza controcorrente, la determinazione, l’improrogabile necessità di occuparsi di diritti, di uguaglianza, di futuro, propria di chi è abituato ogni giorno a battersi per vederli riconosciuti nella propria quotidianità. Idee e parole per i salari, per la sanità garantita, per l’integrazione, in un’America che negli ultimi anni ci ha rimandato principalmente messaggi di chiusura, odio, separazione. Le storie di Rashida Tlaib, Sharice Davids, Sylvia Garcia, Veronica Escobar rappresentano pagine importanti per la democrazia, non solo, ma anche, per il genere specificato nella loro identità.

La storia, come pure la saggezza popolare insegnerebbero: cosa c’è da stupirsi, quando la situazione sembra precipitare, ci pensano coloro che, anche nell’incertezza e nell’emergenza, trovano un modo per reagire e rilanciare senza cedere alla rassegnazione. Le deputate che hanno conquistato il loro posto al congresso, hanno lavorato prima, durante e lo faranno dopo, per questo risultato. Nelle loro parole c’è l’orgoglio di portare avanti idee costruite e non solo proclamate, consapevoli di aver dovuto lottare di più per essere ascoltate, di farlo per tutte e tutti coloro che non ci riescono, ma senza la necessità di considerarlo un merito o una bandiera aggiuntiva. Di certo è femminile la pratica di minimizzare, di valutare la vittoria come un passaggio per raggiungere obiettivi altri e alti.

Eppure in questo paese, così determinato a considerare forte chi ha le palle, serve ribadire, quasi nell’incredulità, forse anche a noi donne stesse. Non riesco però a non arrabbiarmene. A non pensare a quante valide e preparate esponenti politiche, sindacali, manager, scienziate, giornaliste si vedranno ancora aggiungere, nella descrizione dei loro successi, delle loro carriere, delle loro battaglie, quella frase di meraviglia: “ed è donna!” Quasi a sottolineare, al posto delle caratteristiche specifiche per cui il risultato è stato raggiunto, tutta una serie di nonostante: nonostante abbia dovuto imporsi negli studi; nonostante abbia osato avere figli; nonostante si sia continuata a preoccupare della sua famiglia; nonostante abbia superato mari di sensi di colpa; nonostante senta nel profondo tutte le ingiustizie intorno; nonostante non abbia la divisa, la peluria superflua e sorrida; nonostante sia sopravvissuta ad invidie e pregiudizi anche di altre donne.

Dal continente che ha provato ad avere una presidente donna e tenterà nuovamente di candidarne, seppure abbia poi eletto un uomo simbolo di una cultura maschilista; che ha aspettato decenni per smascherare pubblicamente un sistema di ricatti sessuali nel mondo delle professioni, ma poi si è ritrovato unito nella denuncia, arriva un vento di speranza, soffiato dalla bocca di donne. Si infrange sulle nostre debolezze, nel paese nel quale abbiamo applaudito ( io compresa) una vice presidente della Camera, per anni derisa in quanto donna, perché ha avuto il coraggio di redarguire un ministro ignorante, dopo che, nell’indifferenza diffusa, per tutta la durata della sua carica, la presidente della Camera è stata riempita di insulti sessisti e nel quale si è quasi creato un marketing, pro e contro, dietro le denunce pubbliche di abusi sessuali.

Allora, oltre la giusta rivendicazione della resistenza e della determinazione delle donne, oggi leggo anche l’ipocrisia in quell’alzata di sopracciglio lessicale “visto che forza le americane!”. Noto come si tralasci il dettaglio, che tanto dettaglio non è, che a votarle siano stati anche gli uomini, quelli che qui blindano le candidature a qualsiasi scranno di rappresentanza, difendendosi dietro quote minime di garanzia. Forse devo rassegnarmi al fatto che per diversi decenni considereremo ancora l’apposizione una necessità, una giustificazione, un merito acquisito.

 Guardo, però, quegli occhi, quelle espressioni ferie e penso che voglio parlarne ai miei figli. Io che ho letto ad entrambi tutti i racconti delle donne ribelli; io che sin da piccoli li ho portati alle manifestazioni dell’8 marzo: vorrei ribadire loro che Alexandra Ocasio Cortez e Rashida Tlaib sono speciali perché hanno vinto con la forza delle loro idee, delle loro storie e perché portano un messaggio di speranza per tutti.

Chissà perché in questi casi si va a cercare nei riferimenti base della nostra formazione. Io sono cresciuta in una sezione di partito, con la fortuna di conoscere e rapportarmi con donne e uomini che dimostravano la loro grandezza nel passare conoscenze e competenze, senza discriminare età e genere dei destinatari. Ho frequentato quel luogo di meravigliosa memoria e preziosa resistenza, ora a rischio inaccettabile di chiusura, che è la Casa Internazionale a via della Lungara. Ho avuto ed ho riferimenti famigliari che mi hanno insegnato a non considerarmi diversa in quanto donna, senza illudermi, però, sulla ripidità maggiore della salita.

Per spiegare questa pagina della storia del mondo, quegli occhi e quelle espressioni fiere che vorrei si dipingessero in futuro sui volti di Viola e Luca, potrei usare le parole di due donne, chiamandole per nome, senza aggiungere altro.

“La nostra storia ci dovrebbe insegnare che la democrazia è un bene delicato, fragile, deperibile, una pianta che attecchisce solo in certi terreni, precedentemente concimati, attraverso la responsabilità di tutto un popolo. Dovremmo riflettere sul fatto che la democrazia non è solo libere elezioni, non è solo progresso economico. E’ giustizia, è rispetto della dignità umana, dei diritti delle donne. E’ tranquillità per i vecchi e speranza per i figli. E’ pace.” Tina Anselmi.

E, aggiungerei, in un passaggio di testimone ideale, quelle che mi hanno più colpito oggi:

Non sono venuta qua per tenere un discorso di vittoria, lo farò soltanto quando tutti godranno di diritti come equità, giustizia e uguaglianzaAyanna Pressley.

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