Laura protegge le montagne

“Siamo montanari, persone riservate, non ho visto nessuno piangere e inveire contro chissà chi. Sappiamo che il clima è cambiato, sappiamo che vivere in montagna è più duro, meno comodo, anche in questo caso. Ho visto più dispiacere per le foreste ferite che per i disagi personali che tutti stanno subendo”

 

Nella notte del 29 ottobre un evento meteo previsto, ma non nella violenza e nell’intensità, si è abbattuto sulle Dolomiti, abbattendo alberi, divellendo tetti, distruggendo strade. Foreste millenarie spazzate vie, aziende locali in ginocchio, panorami meravigliosi cancellati. Il giorno dopo oltre all’eco dell’emergenza che è durata per diversi giorni, anche purtroppo con alcune vittime, è arrivata però l’immagine di un popolo fiero: le donne e gli uomini delle montagne. Grati dell’aiuto esterno che per fortuna è arrivato, non lo hanno atteso inermi e rassegnati, ma subito si sono messi al lavoro per recuperare, sistemare, predisporre. Io che ho il terrore del vento di mare che sbatte sulla persiana, annovero tra gli incubi quello di perdermi in un bosco in una notte di pioggia, ho cercato di capire da dove si generi questo coraggio e se, in qualche modo, si possa diffonderne il contagio. Grazie alla mia amica Debora Coradazzi, cadorina doc, donna forte, conosciuta per altre battaglie che presto racconteremo, sono entrata in contatto con Laura Paludetti,  responsabile operativo dell’associazione di protezione civile Antelao, insegnante di matematica e scienze nella scuola media a Pieve di Cadore. Quella notte e nei giorni successivi, Laura non si è fermata un minuto: il suo racconto, intenso e coinvolgente, è una dichiarazione d’amore alle sue montagne ed un richiamo diretto a rispettare l’ambiente che ci circonda. Il messaggio che lancia, arriva e scuote. Per la trasmissione del coraggio, non lo so, io solo ad ascoltarla ho sentito freddo, ma sono cittadina, altra tempra. Per le foto ringrazio l’obiettivo sensibile di Debora nel riprendere il prima e il dopo di un albero, nella speranza che presto tornino a crescere tutti quelli che sono stati abbattuti dalla tempesta.

La traccia: l’amore e la cura del territorio

laura paludetti 3“Da sempre ho avuto il desiderio di rendermi disponibile ad aiutare la mia comunità, di esserne parte attiva. Me lo ha insegnato mio padre, che si è prodigato per dare una mano come poteva: era in prima fila se c’era da fare qualcosa nel paese, senza mai però farlo notare. Non ha mai parlato dell’importanza di essere utili, ma l’esempio vale più di mille parole. Ho abitato lontano per molti anni, per studio prima e per lavoro poi, ma quando è nata la mia prima figlia ho deciso che era importante farla crescere in montagna: in un paese che rappresentava una comunità, in cui ci si conosce tutti, in cui ancora ci si poteva sentire sicuri. E così sono tornata nella mia casa e appena ne ho trovato il modo ho deciso di provare a rendere più significativa la mia vita: sarà anche una visione un po’ egoistica del volontariato, ma mi fa sentire bene. Ho scelto il settore della Protezione Civile perché sono un geologo, i fenomeni naturali mi affascinano, ma conosco la forza della natura e mitigarne il rischio è il campo che prediligo. Non ho iniziato questa attività per gestire un’associazione, desideravo operare con le attrezzature, fare il “lavoro sporco”, aiutare le persone. Ma nelle squadre ci sono tanti ruoli da ricoprire e in modo spontaneo ognuno ha trovato una propria collocazione in base alle proprie propensioni, a me è toccato un ruolo di coordinamento delle attività formative e delle attività di emergenza. Ricopro il ruolo di Responsabile Operativo, il Presidente è Giuseppe Frescura.”

“Ho un dottorato di Ricerca in Scienze della Terra, ma fin dai tempi della ricerca universitaria amavo in particolar modo il settore della didattica e della divulgazione scientifica. Ho scelto quindi il lavoro di insegnante e da 11 anni sono professore di matematica e scienze alla scuola media. “

In una collana di cime

“La mia quotidianità è scandita dai ritmi delle montagne come lo era quando ero piccola. Se devo pensare all’infanzia e all’adolescenza nei miei luoghi, ho ricordi per tantissimi di essi. Tutti legati alla maestosità delle rocce, alla tranquillità e il fascino delle sorgenti.”

“Le montagne sono la mia casa, sono un abbraccio naturale, ci sono nata. Ma amo tutti gli ambienti naturali. Ho due figlie di 12 e 14 anni. Credo di aver insegnato loro ad amare la natura in generale. Cerco di trasmettere la considerazione per ogni essere vivente e per il loro habitat, facendo capire loro le conseguenze della mancanza nel rispetto degli ambienti naturali, ma anche dell’assenza di manutenzione di questi. Non sempre infatti l’opera dell’uomo è dannosa: a volte è necessaria la pulizia del bosco e la manutenzione degli alvei dei fiumi.”

“Ho vissuto con le mie figlie alcuni mesi in una malga di montagna, con gli animali e “una collana di cime”, come diceva mia figlia che all’epoca aveva 4 anni. Credo sia stato uno dei momenti più significativi della nostra vita.”

La notte in cui si è scatenato il vento

“Pari significato credo che avrà quanto è accaduto nelle scorse settimane. Alla fine di ottobre, ed in particolare durante la notte del 29 ottobre, è avvenuto un evento meteo inconsueto, particolarmente intenso. Ad una precipitazione con quantitativi di pioggia superiore a quelle cadute nel 1966, si è aggiunto un vento violentissimo, che in alcune zone ha raggiunto quasi i 200 Km/h. Eravamo tutti concentrati ad affrontare il rischio idrogeologico, ma i danni maggiori e la paura sono stati soprattutto causati dal vento. Ci aspettavamo le problematiche idrogeologiche, già da sabato sono state fatte riunioni in tutti i Comuni, e subito si sono attivati i monitoraggi e la sistemazione di tutti i punti critici per questo rischio. Le previsioni indicavano quantità di pioggia superiori a quelle della grande alluvione e il rischio idrogeologico soprattutto sulla rete torrentizia. Inoltre erano controllate a vista tutte le frane che in questi anni ci hanno preoccupato. Però non ci aspettavamo che si sarebbero innescati centinaia di smottamenti, in particolare lungo le strade e soprattutto nessuno si aspettava la furia del vento.”

“Già da sabato, visti gli allarmi sono state organizzate riunioni con i Sindaci del territorio, e sono stati individuati i punti critici da monitorare e anche una lista delle persone più fragili del territorio, per poter controllare durante l’evento le loro situazioni. Il rischio maggiore pareva essere il nodo idraulico della confluenza tra il torrente Boite e il fiume Piave, che avviene proprio nel centro dell’abitato di Perarolo. Subito è stato attivato il monitoraggio a vista del livello dei due corsi d’acqua e lunedì mattina il paese è stato evacuato per il rischio di esondazione.

La notte del 29 ottobre eravamo lì, nel Municipio di Perarolo, ad aspettare la furia del fiume.

laura paludetti” La popolazione era al sicuro, ma era necessario rimanere per poter diramare l’allarme della piena anche ai Comuni più a valle, lungo il corso del Piave. La situazione si è resa critica per l’interruzione della corrente elettrica e di tutti i sistemi di comunicazione, telefonia fissa e mobile e la maggior parte dei ponti radio erano fuori uso. Eravamo isolati. E poi è arrivato improvvisamente, da un secondo all’altro, un vento mai visto, terribile. Nell’isolamento totale nessuno di noi poteva immaginare i danni che quest’ultimo poteva aver fatto. Qualche nostro volontario durante la notte ha provato a raggiungere la propria famiglia, per assicurarsi che tutti stessero bene, ma subito sono dovuti ritornare a causa dei numerosi smottamenti sulle strade che non hanno permesso di raggiungere le proprie abitazioni. Uno dei primi problemi che abbiamo riscontrato nella popolazione è stato quello dell’ansia, per il fatto di non poter mettersi in alcun modo in contatto con i familiari, separati a causa delle frane e impossibilitati a telefonare a causa delle linee interrotte. Non è stato sempre facile tranquillizzare le persone in questa situazione, che ci fermavano per strada per avere conforto in questo senso.“

“Avendo diverse esigenze in molti Comuni, con il Presidente dell’Unione Montana Centro Cadore, Luca De Carlo, abbiamo deciso di aprire un Centro Operativo Intercomunale, in modo da poter inviare i volontari, sia locali, che delle colonne mobili in supporto, di volta in volta dove servissero, mentre la situazione metereologica era ancora in evoluzione. Gli interventi richiesti variavano: dal monitoraggio di frane, alla rimozione di materiale detritico da strade, il taglio di alberi riversi su strade principali e secondarie (anche ai fini di permettere i sopralluoghi degli operatori Enel) e qualche tetto da riparare, quando era possibile. La sala operativa intercomunale è rimasta attiva per 9 giorni, fino alla chiusura di alcuni COC e quindi al ridimensionamento degli interventi da svolgere. Successivamente ci siamo concentrati sui Comuni in cui permangono alcune problematiche, come Perarolo, di cui ricopro la Funzione Volontariato (F4) del COC dal dicembre 2017, a causa del rischio geologico legato ad un’imponente frana. Ad oggi (14 novembre 2018), 14 persone rimangono sfollate ed è necessario il monitoraggio a vista h24 da parte dei volontari per dare un pronto allarme. “

I montanari non si abbattono

“Penso che non riuscirò a dimenticare il suono del vento e gli occhi delle persone spaventate per il fatto di non poter avere notizie dei familiari. Non dimenticherò sicuramente l’immagine di interi tetti riversi sulla strada e di ettari di alberi rasi al suolo. Sicuramente quella notte è stata spaventosa per tutti, nessuno si aspettava un’intensità del genere. Ma i cadorini e i bellunesi in generale, sono persone abituate a lavorare, a non aspettarsi aiuti da altri (che peraltro sono arrivati). Subito hanno cercato di riparare il riparabile, subito tutti, volontari e cittadini comuni, hanno imbracciato le motoseghe e riaperto i sentieri e le strade, anche boschive.

Credo che ci siamo sentiti tutti uniti, più forti nel lavorare insieme.

“Siamo montanari, persone riservate, non ho visto nessuno piangere e inveire contro chissà chi. Le strade sono ancora lesionate e ci vuole più tempo per andare al lavoro o compiere qualsiasi spostamento. L’acquedotto è gravemente danneggiato e l’acqua non è ancora potabile, dobbiamo bollirla per qualsiasi uso. Però nessuno si lamenta, viviamo in mezzo ad una natura fantastica e ne rispettiamo anche i capricci. Sappiamo che il clima è cambiato, sappiamo che vivere in montagna è più duro, meno comodo, anche in questo caso.

 Ho visto più dispiacere per le foreste ferite che per i disagi personali che tutti stanno subendo.

“Cosa accadrà ora? Credo sia importante aiutare l’economia di una zona così fragile. E’ importante incentivare il turismo, comprare i prodotti dei piccoli imprenditori agricoli, che sono i più danneggiati. Questo significherebbe riportare in zona quello che serve per riprendersi, per riparare i danni.

cadore
(foto di Gigi Ciotti )

Venite in vacanza, abbiate pazienza se l’ambiente è un po’ “spettinato” e se la viabilità non è più così comoda, non ve ne pentirete.”

La traccia volante: Userò una frase che l’associazione di cui faccio parte ha adottato: “Sii il cambiamento che vuoi veder venire nel mondo” (Ghandi)

 

 

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