Silvio libera la sua pittura ovunque

“Quando mi ritrovo a creare, è un momento magico. Sono solo con me stesso: c’è come qualcosa di mistico e di soprannaturale.”
silvio studioIn una stradina di Pratola, paese abruzzese custodito e protetto dalla Valle Peligna, c’è il grande studio di Silvio Formichetti, tra i maggiori esponenti della pittura astratta informale, esposto nelle più prestigiose gallerie europee: per i paesani “il maestro”. La casa dove vive con la sua famiglia numerosa, domina il centro dove lo si vede spesso passeggiare, salutando tutti con il sorriso e quella espressione che ricorda il suo mito, Adriano Celentano. Ho avuto l’emozione di entrare a respirare l’aria delle sue grandi tele, graffiate dal colore, quando, circa dieci anni fa, ci contattammo su facebook e decidemmo di non rimanere solo un’amicizia virtuale. Pratola è il paese di mio nonno Manfredo e Silvio è un altro cugino ritrovato. La sua storia meriterebbe un romanzo, sospesa tra le radici, difese con orgoglio e le atmosfere bohemien cercate, poi abbandonate per dedicarsi alla sua adorata moglie Betty, musa e sostegno, ai 4 figli e ad un percorso artistico più lineare che ora insegna persino nelle scuole superiori. Con la sua ironia e la sua vena di mecenate del ventunesimo secolo, racconta la sua avventura con l’arte che non si ferma sulla tela, ma va a decorare corpi di donne, cofani di Ferrari, jeans di marca e, in futuro, anche le mura del suo paese.   

La traccia: colori e tratti dalle tele ai corpi delle donne

silvio ritratto “A scuola disegnavo, ma educazione artistica per me era un’ora libera nella quale rompevo le scatole alle ragazze, tanto in dieci minuti riuscivo a riportare perfettamente sul foglio quello che mi chiedeva il professore. Sentivo che avevo dentro di me questa voglia di esprimermi, ma la trascuravo. Ricordo la prima volta, invece, che ho ripreso un pennello in mano. Una sera di marzo del 94, avevo 25 anni, era da poco morto mio padre e accadde una magia che non riesco a spiegare con altre parole. Da qualche tempo mi ritrovavo a guardare una bustina trasparente che proprio papà teneva nell’armadio a muro del salotto. C’erano dei tubetti piccoli di colori primari ad olio e dei pennelli lasciati da lui che amava dipingere. Mi colpiva che fossero chiusi, mai utilizzati, tanto che mi ero chiesto se li avesse lasciati lì per me. Quella sera decisi che era così, li presi e scesi nello scantinato di casa. Qui c’erano alcune tele che avevo cominciato dieci anni prima, quando consideravo la pittura uno dei miei tanti hobby.”

“Mi sembra di risentire l’odore dei tavolini di mattoni che aveva realizzato mio padre per fare la taverna. Mi sedetti ad uno di questi ed iniziai a dipingere. Cominciai con un ciclo di paesaggi. Ogni giorno sentivo il bisogno di continuare le mie opere. Ripresi a frequentare anche un mio amico con la stessa passione. Andavamo insieme in cantina, anche con altri: si fumava un po’, si beveva qualche bicchiere e si dava libero sfogo a disegni e colori. Nel resto della giornata provavo a lavorare con mio zio in una fabbrica di fuochi di artificio.”

I segnali: i fuochi, una vestaglia ed un libro

silvio giovane“Era una tradizione da parte dei miei nonni materni e non escludo che l’arte pirotecnica abbia influenzato le mie scelte cromatiche. Avevo la capacità di creare un ordigno esplosivo da parte di mamma e la sensibilità pittorica da quella di papà, forse era scritto che diventassi un artista, all’inizio poco classificabile.

Sono un autodidatta. Mio padre era un espressionista, dipingeva copie di quadri celebri, ma anche nature morte o montagne ed io pure cominciai facendo paesaggi. Poi li cancellai, ripassandoci sopra con gli astratti. Sempre da papà però mi arrivarono altri segnali per rendere la passione più concreta. Ero rimasto senza colori e senza soldi. Mia mamma era fuori. Trovai una vestaglia scozzese, una di quelle che usava negli ultimi periodi all’ospedale. Frugai nelle tasche e trovai 20 mila lire, perfette per comprarmi ciò che mi serviva. Anche nella scelta dello stile seguii una strada tracciata da un regalo paterno: un libro biografia di Giulio Turcato, tra i principali esponenti dell’astrattismo informale. Mi colpì e andai a cercare, su riviste di arte e enciclopedie, gli altri: da Vedova a Capogrossi. Sentii più vicina alla mia arte quella espressa da Afro Libio Basaldella. Io, fondamentalmente ignorante, sapevo che doveva uscire qualcosa dalla mia pittura, ma non sapevo cosa. Presi allora a frequentare musei per prendere suggestioni e capire. Nella Galleria d’arte moderna di Roma sono stato due giorni di seguito, perché uno non mi bastò. E da lì partì la mia sperimentazione della pittura astratta informale. “silvio e adriano

“Mi esprimevo, però, in maniera ancora rozza, perché non avevo la conoscenza dei colori che erano sporchi sulla tela. Andai allora dagli artisti accademici locali come Ezio Zavarella e Bruno Santarelli. Oggi sono anziani e spesso scherzando mi dicono “l’allievo ha superato i maestri”, uno dei complimenti che amo più sentire. Io li osservavo, notavo il loro utilizzo della spatola, le scelte cromatiche e spesso, proprio da quelli che consideravo loro errori, iniziavo a ragionare per trovare soluzioni che rendessero il colore più netto. E’ stata la mia scuola, perché non ho mai pensato di frequentare accademie. Non pensavo ancora che la mia strada fosse quella di fare l’artista a tempo pieno. L’arte si è intrecciata con la mia vita, all’inizio non la perdevo mai di vista, ma la reputavo una meravigliosa utopia.”

La promessa a Beatrice

“Certo nel 96 quando lasciai una ragazza che mi prendeva in giro per questa mia passione, le scrissi: “vedrai chi diventerò con la mia pittura!”. Lei ha conservato il biglietto che per me è una prova. Mia moglie Betty ha invece avuto sempre più fiducia in me. Ci siamo sposati nel 97, dopo che le feci interrompere il suo percorso per prendere i voti, quasi rapendola dal convento nel quale io stavo facendo dei lavori con una ditta edile. Il suo amore per me è stato una fonte di ispirazione, ma anche un sostegno quando ho avuto dei dubbi.silvio e beatrice Ad esempio, alle prime mostre, nelle quali esponevo le mie tele insieme ad altri artisti locali: loro vendevano tutto, io con i miei astratti neanche un quadro. Betty mi consigliava di dipingere anche qualche paesaggio. Infatti poi questi li vendevo, superando anche gli altri ed ho  cominciato a diventare così una realtà regionale riconosciuta. Feci però una promessa a mia moglie: “se tra dieci anni non realizzo quello che ho in mente (che non erano riproduzioni di paludi e montagne) non tocco più un pennello.”

“Dovevo trovare il modo per uscire dal territorio pur restando. Sceglievo per questo di esporre nei musei locali e non nelle stanze del Comune, per attrarre l’attenzione di critici, ma anche di rappresentanti locali che potessero aumentare la mia visibilità. Non mi vergogno di raccontare questa costruzione del mio personaggio. Rompevo le scatole ai politici anche per superare alcuni campanilismi regionali che non mi avrebbero consentito di arrivare ad alcuni premi più prestigiosi come quello di Sulmona solo perché non erano ben visti i pratolani. In parallelo a questo percorso di conquista di spazi e visibilità, continuavo però a lavorare. Avevo una famiglia e il mio impiego nell’ufficio della Provincia dell’Aquila era fondamentale per mantenerla.”

Artista a tempo pieno

silvio all'opera 2“Nel 2001 organizzai una mia personale al Palazzetto dei Nobili e chiamai un critico romano, Carlo Fabrizio Carli che mi fece anche la prefazione al piccolo catalogo che realizzai. Mi definì un frutto acerbo. Era la parola di un esperto conosciuto che quindi riteneva potessi maturare. Approfittai e mandai il catalogo ad un noto canale di televendite d’arte. Era il momento per provarci: ero già stato tre volte al Premio Sulmona, avevo ricevuto recensioni di critici noti. Ci provai con l’aiuto del mio amico Luca Tommasi. Andai ad esporre al Museo degli Strumenti musicali a Roma e a Pasqua dello stesso anno mi trovai nella prima trasmissione con 50 quadri. Il titolare della rete che non era convinto, gli dissi che glieli regalavo, ma lui continuava a non fidarsi. Li vendette tutti in una sola sera a 3 mila euro l’uno. Il giorno dopo ero a Roma a prendere un assegno dall’importo mai visto. “

“Intanto continuavo nelle mie strategie: tra le diverse mail vere di aziende e privati che chiedevano i miei quadri, ne facevo inviare qualcuna di amici che ordinavano pure 30 pezzi. Feci finta di resistere, ma poi firmai il contratto con la rete che finalmente mi permetteva di vivere grazie alla mia arte. Mi licenziai dalla Provincia e cominciai a dedicarmi anima e corpo alla pittura. Da un lato producevo tutte le tele che mi chiedevano dalla tv, dall’altro non smettevo di organizzare mostre con i quadri a cui ero più affezionato. Così con l’avvento della crisi, nonostante cominciassero a pagare meno e in ritardo, il mio nome continuava a girare e le quotazioni delle mie opere rimanevano fisse sul mercato. Andammo via quasi tutti dal canale tv, ma io potevo continuare a vivere con la mia pittura. “

Quei momenti mistici

silvio lilli 2“Quando mi ritrovo a creare, è un momento magico. Sono solo con me stesso: c’è come qualcosa di mistico e soprannaturale. Mi rendo conto della inadeguatezza degli esseri umani al cospetto di chi rimane indefinibile. La mia pittura vorrebbe rappresentare il dialogo con l’indecifrabile. Sin dall’inizio è stato così. Se mi avvicinavo alla riproduzione di una palude, cercavo il cielo e la terra che avevo dentro di me. Per ognuno di noi c’è un progetto di vita, per me era questo. A volte mi guardo allo specchio e mi verrebbe voglia di sputarmi: “che c’entri tu con l’arte?”.

“Sono però molto geloso delle mie opere per quello che riguarda il giudizio degli altri. Posso capire che non mi apprezzi chi non ama l’astratto, ma se qualcuno che non ha nemmeno competenze, prova a distruggere la mia arte, deve stare attento. Io vivo con la mia pittura e lo faccio per bene. Sul territorio nazionale sono rimasto io come rappresentante dell’astrattismo informale. Ho raccolto l’eredità dei grandi del passato e la porto avanti. La pittura informale era caduta nel dimenticatoio, io ho contribuito a renderla di nuovo viva.

Ci sono periodi che non faccio nulla, vado nel mio studio, risistemo le tele, metto a posto i colori, mi leggo un giornale. Il quotidiano non è per forza fonte di ispirazione, anche se i miei primi critici sono mia moglie e i miei figli. Capiscono prima di altri, ormai, quando un quadro piacerà o meno. “

Dalla tela al corpo delle donne

silvio body painting“Io mi sento imprenditore di me stesso, non voglio manager a gestirmi, mi sento quindi libero di gestire una terza dimensione, andando a dipingere su altri supporti come gli abiti o le auto e soprattutto sui corpi delle donne. La pittura che ho scelto mi permette di non dover seguire regole fisse, tranne quelle del colore e degli attrezzi che utilizzo. Mi è sembrato naturale andare oltre. Non sono il primo a fare body painting: mi piace mettere l’arte sulla donna che è la creatura più bella. Prima realizzo l’opera sulla tela poi la riporto sulla modella e quando le metto vicino sembrano un quadro unico. La prima donna su cui ho dipinto era una meraviglia di due metri, ma ho superato l’imbarazzo, anche perché c’era tutta la mia famiglia ad assistere.”

 Il mecenate di Pratola

silvio e la libera“Ho proposto all’attuale sindaco di rivalorizzare alcune zone del paese con l’arte e il colore. Ci tengo a Pratola. Avrei potuto scegliere di trasferirmi in una grande città, ma non l’ho fatto soprattutto per il bene della mia famiglia. Qui loro hanno la libertà di vivere serenamente: si lascia ancora la chiave nella porta e la macchina aperta. Pratola è magica, ci sono persone che da Roma hanno comprato una casetta qui e ci vengono sempre più spesso perché coinvolge, è ospitale, ci si sta bene. Mi chiamano e io metto il mio nome a disposizione delle iniziative del paese. Non solo, mi piace dare il mio contributo concreto: dopo dieci anni sono di nuovo nel comitato della Festa della Madonna della Libera, un evento importantissimo soprattutto perché finalmente riapriranno il santuario, chiuso dopo il terremoto del 2009. Porto avanti diversi progetti sociali per coinvolgere i bambini e ragazzi disabili in attività artistiche.”

“E poi vado nelle scuole superiori. Agli studenti spiego che, oltre le tecniche dei colori, per dipingere, bisogna essere liberi. La libertà di pensiero che ha permesso esistessero Leonardo e Caravaggio. Loro mi fanno battute, guardano i miei quadri e mi dicono: “Maestro, qui stavi ubriaco o avevi fatto incubi!” Io ci scherzo, però poi sono contento quando mi mandano messaggi per ringraziarmi di quello che hanno imparato. Valentina Colella che ha esposto a Palazzo Reale con il Premio Cairo Mondadori per giovani talenti, è stata una mia allieva e ne sono fiero. Io non ho avuto nessuno ad aiutarmi quindi sono a disposizione di chi voglia imparare. Il mio studio è aperto ai giovani talenti che possono esporre senza spese. Non sopporto gli arroganti e i presuntuosi e purtroppo ce ne sono tanti.”

silvio famiglia“Quando sto con i ragazzi a parlare di pittura penso ai miei figli che in qualche modo portano l’arte nella loro vita. Una della mie figlie fa la fotografa, un’altra vuole diventare critica, c’è poi la più grande che si è iscritta al corso di Design per interni ad Architettura. A prendere però l’eredità diretta penso sia il mio quarto figlio, l’unico maschio, Amleto che ha già dipinto due quadri notevoli.

Avrei un po’ paura se intraprendessero la mia stessa strada perché è difficile, ma io sono dalla loro parte e li capisco perché, quando l’arte chiama, non si può resistere. Con buona pace della mia Betty che, oltre ad avere un’intelligenza ed una sensibilità rara, è stata una madre eccezionale ed ora un braccio destro insostituibile nel mio percorso umano e artistico.”

.silvio opera 2

La traccia volante: La vita è bella, ma ancora di più se si riesce ad amare, non solo una donna o un uomo, ma tutto ciò che offre la sensibilità per esprimersi. Bisogna amare ciò che si vuole fare e si fa.

 

 

 

 

 

 

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