Elisabetta, Beatrice e il basket che non c’era

“Era il 2010, abbiamo organizzato il primo raduno, per cui è arrivata anche una ragazza da Olbia. Da allora siamo rimaste l’unica squadra femminile sorde di basket in Italia.”
elisabetta staffNon sono una sportiva, ma mi appassionano le storie che si celano dietro alcune imprese agonistiche ed esemplari vittorie. Quasi sempre sono avventure collettive, fatte di sforzi comuni, entusiasmo, delusioni e gioia condivisa. Mi affascinano particolarmente i racconti che nascono da attività cosiddette minori, dove la luce mediatica batte meno, mentre invece si nasconde il significato prezioso dello sport. Sabato 24 novembre, la squadra di basket ASD Sordi Pesaro femminile ha vinto la Coppa Campioni di pallacanestro. Un caso unico di squadra, sia di club, sia nazionale che, dal 2010, riunisce tutte le atlete sorde del paese che vogliono andare a canestro. L’idea e la cura di un progetto, oggi d’oro, arriva da due donne, Elisabetta Ferri e Beatrice Terenzi. Le due giornaliste sportive, firme autorevoli del Resto del Carlino, pensavano fosse solo un gioco ed ora si sono ritrovate a coordinare una seconda famiglia che vince.  Sostenute dal Rotary Club Pesaro Rossini, allenate dalla friulana Sara Braida, a Verona, le ragazze della ASD hanno travolto a sorpresa squadre blasonate e proseguono il loro cammino verso i Mondiali della Polonia. Elisabetta racconta la storia affascinante di una disciplina che non c’era ed ora vince.

 La traccia: costruzione, sfide e vittorie di una squadra di basket speciale

“Io e Beatrice collaboriamo da tempo con la ASD Sordi Pesaro, l’associazione sportiva dilettantistica che raggruppa attività agonistiche rivolte a ragazzi e ragazze sorde. Per il basket esisteva la squadra maschile, ma non quella femminile.

“Ci date una mano voi a metterla insieme?” ci hanno chiesto dalla ASD.

Alle ragazze che facevano già altri sport, come calcetto, ping pong e atletica, abbiamo proposto di venire a fare due tiri con noi in una palestra di Borgo Santa Maria. C’era anche una di loro che veniva da Gubbio ogni sera, tanto si era appassionata. Passavano a giocare anche ragazzi udenti.

Un giorno Christina Taurino che giocava a calcio, ha messo in rete un video in LIS ( lingua dei segni italiana) per presentare la realtà che volevamo creare e chiedere, a chi volesse, di partecipare. Hanno risposto da tutta Italia.

Era il 2010, abbiamo organizzato il primo raduno, per cui è arrivata anche una ragazza da Olbia.

Da allora siamo rimaste l’unica squadra femminile sorde di basket in Italia.”

“Non ci sono altri gruppi. In Svezia, in Lituania e in altri paesi hanno un campionato. Noi per giocare dobbiamo partecipare ai tornei che si disputano all’estero. Tanto che la FSSI la Federazione Sport Sordi Italiana ci ha riconosciuto come Nazionale, anche per merito del grande impegno di Massimiliano Bucca, consigliere nazionale per il basket FSSI. Abbiamo una doppia maglia: quella azzurra quando andiamo a Mondiali, Europei e Olimpiadi; quella della ASD Pesaro quando disputiamo tornei con i club. Le ragazze, le atlete, sono le stesse.

A Verona abbiamo vinto l’Eurocup, la coppa dei Campioni dei club. Sfidavamo le squadre vincitrici dello scudetto nei loro paesi, da noi non c’è il campionato. Abbiamo conquistato l’oro, battendo una forte compagine ucraina.

Dopo otto anni siamo una realtà riconosciuta e le nostre giocatrici sono diventate forti al punto che alcune di loro si sono potute inserire nei campionati di serie C e B udenti. “

Da internet ai raduni

“Abbiamo una chat, internet e whatsapp per loro sono strumenti eccezionali, attraverso cui comunichiamo e decidiamo quando incontrarci. Per venire ad allenarsi ci sono ragazze che chiedono permessi sul lavoro, ferie, chi sposta gli esami all’università: in un caso abbiamo chiesto, come FSSI, l’autorizzazione per posticipare gli orali di una maturità.

Siamo tre, tre donne, a coordinare il gruppo. Io, Beatrice che è direttore tecnico e poi Sara Braida che è l’allenatrice. Sara è friulana, ha giocato nella squadra Olimpia di Pesaro per 4 anni, ha deciso di seguire anche noi, volontariamente, come tutti.

E poi ci sono le ragazze, una quindicina, con un’età che va dai 16 ai 30 anni. Chi è andato a giocare nelle squadre di udenti, poi torna da noi per le nostre competizioni.”

“Facciamo diversi raduni durante l’anno in varie parti d’Italia, ma qui, a Pesaro, siamo veramente accolte come a casa. Le giocatrici arrivano dalla Sicilia o dal Piemonte, si pagano il viaggio e noi, grazie alla collaborazione con il Comune ma anche con i singoli albergatori e ristoratori, possiamo garantire allenamenti, soggiorni e a volte anche pasti gratis. Una volta, una signora ha ospitato tre ragazze a casa sua.

Per i tornei e le trasferte, paghiamo noi il viaggio, cercando sponsor, per fortuna ci conoscono qui, abbiamo chiesto a tutti: è una fatica, non siamo una realtà che garantisce una grande visibilità, ma non possiamo far morire la nostra squadra. All’inizio era un gioco, poi è cresciuto il legame, ci siamo affezionate alle ragazze e sentiamo un profondo senso di responsabilità nei loro confronti.”

 Fatica e trionfi

“Beatrice ha imparato la lingua dei segni, capisce e riesce a parlare, io ancora non molto. In squadra c’è chi ha genitori udenti, quindi sa parlare e leggere le labbra; chi ha avuto l’aiuto del logopedista e riesce ad articolare; chi ha l’impianto cocleare. Comunque noi riusciamo a comunicare. Per anni abbiamo avuto in panchina, come vice, con noi Fabio Gelsomini, ora segretario generale della FSSI che aveva il papà sordo quindi capiva perfettamente la LIS e ci faceva da intermediario.”

“La sordità è un deficit particolare, perché invisibile, spesso per questo può dare adito anche a battute e prese in giro ingiustificabili. E’ speciale anche nel confronto con altro tipo di disabilità, motivo per cui i sordi non partecipano alle Paraolimpiadi. Un atleta a cui manca una gamba non può gareggiare con uno sordo che ha possibilità agonistiche pari a colleghi normodotati. Per questo ci sono le Olimpiadi dei sordi, a parte. Una fatica in più per essere visibili. Si è chiesto almeno di farle seguire, in ordine di tempo ravvicinato, alle Olimpiadi e Paraolimpiadi che finalmente negli ultimi anni stanno riscuotendo molta attenzione. “

elisabetta under 21

“Le ragazze amano partecipare alle competizioni internazionali, è un modo per uscire dalla loro quotidianità e incontrare gli altri. Siamo andate in America per i Mondiali Under 21: siamo stati ospitati in un college a Washington, è stata una emozione grande anche per noi che le accompagnavamo. Ci sono realtà nelle quali curano in maniera diversa le atlete. In America, ma anche nell’Europa dell’Est, riuniscono le ragazze, le fanno andare ad abitare insieme nei college, le allenano, le fanno stare insieme tutto l’anno. Abbiamo provato a chiedere alle nostre se apprezzassero questo modello, ma molte di loro preferiscono non stare sempre tra sordi, vogliono vivere tra gli altri.”

“I successi non sono solo quelli sul campo, i più grandi li otteniamo proprio da loro: i trofei a cui teniamo di più sono quelli che ci assegnano i genitori. Alcune ragazze erano timide, impacciate, e grazie all’impegno con la squadra, ci ringraziano per come sono diventate forti e determinate. Una di loro mi ha scritto: “Prima mi prendevano sempre in giro al lavoro, poi sono tornata con la medaglia al collo e non lo hanno fatto più.”

“Stando con chi non sente, si capisce quanto sia dura la quotidianità. Chi è sordo non è riconoscibile all’esterno, ma poi non va al cinema, non va al teatro, non può sentire la musica, però a basket può tirare con gli altri.

Non siamo eroine, sia chiaro, ma ci sentiremmo male a non permettere di continuare questa sfida e avventura. Magari ci piacerebbe trovare chi possa garantire continuità nel futuro, ma per ora ci siamo noi e siamo pronte per affrontare i Mondiale in Polonia, a luglio di quest’anno. L’ultima volta abbiamo vinto il bronzo, mentre l’oro lo abbiamo conquistato come club.

Puntiamo al gradino più alto del podio come nazionale.”

elisabetta oro

La traccia volante: #we are family. E’ il nostro motto, perché questo siamo: per noi e per loro siamo una seconda famiglia. Io e Beatrice le seguiamo e proviamo a dare consigli, non solo sportivi, ma come sorelle maggiori: il segreto della vittoria sta nel gruppo.

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