Anime nel fiume

Nessuno può osare supporre cosa abbia pensato quella donna, pure circondata dall’affetto dei suoi cari, quando ha deciso ( se si può ipotizzare un senso di razionale ragionamento) che l’unica strada fosse nella corrente gelida di un fiume. Da madre, però, non riesco a smettere di pensare a lei, a me, a tutte coloro che la retorica comune vorrebbe felici solo perché mamme. ponte testaccio 2

 

 

 

Mi affacciavo tutte le mattine, appena sveglia, guardavo Ponte Testaccio: mi piaceva l’idea di vivere a pochi passi dal fiume, come se la corrente mi collegasse al cuore della città. Alle 6.20 di solito ero in piedi, pronta alla corsa per portare Viola a scuola e andare al lavoro.  Magari l’avrei vista passare, tra le macchine pronte a suonare la rabbia della giornata e gli autobus sbuffanti esauriti, Giuseppina con il suo dolce peso avvolto in una coperta. Sento tutto il freddo che non provava più, sul viso il vento dell’ultimo salto, giù, per cadere libera da quel dolore che nessuno è riuscito a capire.

Si è buttata con le sue bambine per la cui vita aveva lottato da agosto, da quando erano nate piccolissime e bisognose di cure. Le avrà seguite, coccolate, avrà tremato e pianto di paura per la loro sorte. Ha continuato a farlo, sentendosi, forse, inadeguata, indifesa, non pronta a sostenerne la cura, rispetto a chi credeva naturale che lo fosse.

Nessuno può osare supporre cosa abbia pensato quella donna, pure circondata dall’affetto dei suoi cari, quando ha deciso ( se si può ipotizzare un senso di razionale ragionamento) che l’unica strada fosse nella corrente gelida di un fiume.

Da madre, però, non riesco a smettere di pensare a lei, a me e a tutte coloro che la retorica vorrebbe felici solo perché mamme. Alla frase che ho ripetuto più spesso in questi ultimi nove anni “non ce la faccio più!”. E’ quasi un mantra quando si rincorre se stesse nel tentativo di non annientarsi completamente in quegli esseri meravigliosi, prodigiosi che succhiano inevitabilmente energie e identità.

Mi rivedo con Luca, i suoi primi giorni, mentre si attacca avido al seno ed io mi dispero ogni volta che lui piange perché ha fame. Tutti a dire: “che fortunata che hai il latte, deve essere una sensazione stupenda allattare”. Avrei voluto rispondere “che era comodo, tutto al più, ma quando sentivo pungere i capezzoli che bruciavano di stupendo non c’era proprio nulla.”

Viola singhiozzava i primi giorni di scuola materna, i sensi di colpa avvolgevano le mie giornate al lavoro e quando tornavo le chiedevo scusa, in ogni modo, per essermi permessa di non essere solo sua. “Ti mancherà questa sua dipendenza, quando sarà grande.” Sorridevano coloro che, invece di consolarti, prospettavano un presente nel quale stavi già perdendo il futuro.

Nessuno giudichi Giuseppina se non ha trovato le parole per dire che diventare madri sconvolge ogni equilibrio, toglie la voce e le forze per esprimersi.

C’è chi riesce a chiedere aiuto e a trovare chi sa come darglielo; c’è chi ritrova presto il filo su cui sembra ricondurre la sua esistenza, e c’è chi, semplicemente, si perde e vorrebbe solo trovare quell’anima che riesce a dirle poco, ma essenziale: “tutto a posto, è tutto normale, non sei sola.”

Se al di là dell’ironia di chi finalmente prova a descrivere il delirio dei primi giorni dopo la gravidanza, ci fosse anche la consapevolezza diffusa che è difficile e non può essere considerato naturale perdere il sonno, se stessi e annullarsi per chi dipende completamente da te nel momento nel quale sei fragile anche per te stessa, forse, saremmo salve.  

I figli sono una gioia infinita quando senti il loro battito nel tuo; il loro minuscolo mignolo chiuso nel tuo pollice; il sorriso complice nei tuoi occhi, ma sono anche terrore, indecifrabilità, peso.

Giuseppina non ha retto e la vedo con il suo fagotto stretto, mentre il rumore delle 6.20 su Ponte Testaccio, copre i suoi silenzi. Per lei e per le sue bambine ho solo parole di amore. La cattiveria, il giudizio lo tengo per chi la sta condannando.

Per il marito che ora sta vivendo in un buio senza appigli e per quei genitori che avevano capito, ma non sono arrivati in tempo, provo affetto e comprensione.

Dicono che ci vuole un villaggio per crescere un bambino e qui si è sempre più soli.

Se si lanceranno dei fiori lungo quella corrente che ancora non ha restituito due delle tre anime  prese in custodia, spero siano anche per Giuseppina che “come tutte le più belle cose, visse solo un giorno come le rose.

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Una risposta a "Anime nel fiume"

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  1. Condivido ogni parola, cara Valeria, ogni sentimento e vorrei davvero che si buttassero fiori nel Tevere per Giuseppina e per tutte le donne lasciate sole con la loro fragilità

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