“Chi cerca giustizia la deve ottenere e non può pagare per questo. Soprattutto non possono rimetterci i figli, per questo noi lottiamo, insieme e con tutti i mezzi che le nostre competenze ci permetteranno di utilizzare.”
“Non Giove a me lanciò simile bando, né la Giustizia, che dimora insieme coi Dèmoni d’Averno, onde altre leggi furono imposte agli uomini; e i tuoi bandi io non credei che tanta forza avessero da far sí che le leggi dei Celesti, non scritte, ed incrollabili, potesse soverchiare un mortal: ché non adesso furon sancite, o ieri: eterne vivono esse; e niuno conosce il dí che nacquero. E vïolarle e renderne ragione ai Numi, non potevo io, per timore d’alcun superbo.” Nel 442 a. C, Sofocle fa pronunciare queste parole contro il tiranno Creonte, alla sua eroina, Antigone. “Se bisogno hai d’amore, all’Orco scendi, ed ama quelli di laggiú; ma mentre vivo, mai donna non comanderà.” Fa rispondere al tiranno. Creonte si ravvedrà, per intervento dell’indovino Tiresia, ma avrà la conferma che proprio quella donna, Antigone, ha seguito ancora una volta la sua legge e la sua giustizia, uccidendosi prima di subire le sofferenze di una sentenza ingiusta, condannandolo così a lutti futuri e ad un destino di infelicità. La determinazione di una donna che subisce, ma non arretra, perché nel giusto, volta all’estremo sacrificio per dimostrare il valore della sua volontà. Dopo oltre 3000 anni, l’esempio di questa figura epica mostra ancora la sua potenza evocativa, in lotta, contro i Creonte contemporanei che cercano di ammutolirne la dignità. Ad Antigone si sono richiamate tre donne, due avvocatesse ed una esperta di moda che hanno fondato l’associazione Maison Antigone per difendere i diritti di chi viene maltrattato e sottomesso, vittime di violenze e soprusi. L’obiettivo è cambiare il finale della tragedia: prima del gesto estremo, portare la protagonista, viva, al trionfo della giustizia. Michela Nacca, Simona D’Aquilio e Maria Grazia De Benedictis hanno unito le loro competenze anche per approfondire e far conoscere i rischi che si possano acuire le disparità di genere, già così stridenti nel nostro paese e danneggiare, oltre all’integrità delle donne, la serenità di migliaia di bambini. L’associazione ha presentato alla stampa, insieme ad un gruppo di professionisti di diversi settori, un dossier di 240 pagine, già consegnato alla Commissione giustizia del Senato nel quale vengono evidenziate, in maniera scientifica, le conseguenze della riforma del diritto di famiglia previsto dall’attuale governo: il DDL Pillon e collegati. Norme che nulla aggiungono ai provvedimenti già esistenti a tutela dei diritti dei padri sui figli, ma che aggravano la posizione delle madri, vittime di violenza e soprattutto dei minori, gettando ombre oscure sul loro sviluppo. Simona, vice presidente di Maison Antigone, mi ha raccontato l’importanza del loro impegno e della loro battaglia che non finirà fino a quando non si farà realmente giustizia. Si confida nelle parole dell’indovino Tiresia al tiranno: “a tutti gli uomini è possibile errar; ma sconsigliato, disgraziato non è dopo l’errore,chi, caduto nel mal, non vi si adagia,anzi, cerca un rimedio. Invece, taccia ha di stoltezza la protervia.”
La traccia: la difesa dei diritti delle donne e dei minori
“Sono avvocato dal 2000: il diritto di famiglia mi ha scelto. Ho bisogno di sentirmi utile, del contatto umano: questo cerco dal mio lavoro. E’ un’esigenza che mi ha portato a seguire con un approccio diverso, mai superficiale, i tanti casi di separazione di cui mi sono occupata. Si è sviluppato un istinto a riconoscere chi ho di fronte, ad individuare chi porta una maschera, quasi sempre il violento che prima di essere scoperto, vuole mostrarsi in maniera differente.
Sin da piccola, ho capito che per noi donne è più difficile affermarsi: non avevamo e non abbiamo le stesse opportunità. Il mio lavoro quotidiano mi ha dato la conferma, purtroppo. Mi sono dedicata al tema della disparità e delle violenze anche fuori dalle aule di tribunale. Proprio in uno di questi miei approfondimenti, mi sono ritrovata con tre ex compagne di scuola: una collega, avvocato rotale, Michela Nacca ed una creatrice di moda, Mariagrazia De Benedictis. Abbiamo sentito, nello stesso momento, l’esigenza di convogliare le nostre competenze per creare, all’inizio, uno strumento di auto mutuo aiuto. Abbiamo chiamato anche altre amiche: chi per fare il sito ( la preziosa Marina Romersi), chi per curare l’ufficio stampa, psicologhe e insegnanti, consulenti preziose per rafforzare la nostra volontà ad impegnarci a tutela delle vittime silenziose delle contese tra le coppie, i figli.
Abbiamo messo in atto un’attività tipicamente femminile: ascoltare.”
Maison Antigone
“L’idea era fare lavoro di squadra e ci piaceva l’immagine di una casa nel quale svolgerlo, dove accogliere chi volesse contribuire. Ci hanno criticato, come frivole, per la scelta del nome Maison, ma io ho la mia componente francofona a cui tengo molto e Maria Grazia svilupperà anche una parte di attività legate alla moda. Nessuno, però, ha toccato o avuto da ridire su Antigone che abbiamo ripreso dal nostro passato comune al Liceo classico, pronte a impegnarci per cambiarne il finale. Nel logo i nostri intenti: una grande bocca da cui escono parole d’amore, un occhio nel quale c’è, sia il sole, sia mezza luna e nel profilo due ali di gabbiano libere.
Nel luglio 2017 è nata Maison Antigone.
Abbiamo cominciato a fare quello che sappiamo fare meglio: indagare, senza mai fermarci alla superficie. Ci rendiamo conto che possiamo sembrare cattive perché davanti alla notizia della morte di una donna, sospettiamo subito il possibile coinvolgimento di ex mariti o compagni gelosi, ma poi, purtroppo, quasi sempre, la realtà ci restituisce la conferma di un femminicidio.”
“Scoperchiato il vaso di Pandora, abbiamo proceduto ad un importante confronto ed incrocio dei dati in nostro possesso. Fondamentale è la presenza della nostra presidente Michela Nacca e della sua esperienza ventennale come avvocato rotale. Si sa sempre molto poco degli annullamenti di matrimonio, coperti da segreto confessionale, abbiamo potuto notare come invece gran parte dei casi di chi si rivolge alla Sacra Rota, seguiti da Michela, presentassero cenni o evidenze di violenza psicologica, fisica o economica. Informazioni direttamente comunicate dai protagonisti delle vicende perché devono rivelare i motivi per cui chiedono l’annullamento, sapendo che poi non avranno conseguenze. Abbiamo confrontato i casi con i miei: rari quelli di separazioni consensuali civili e pacifiche, maggiori quelli nei quali comunque emergevano lati oscuri di violenze, spesso taciute.
La conclusione da cui siamo partite è che la situazione è già grave ora. Le difficoltà per una donna che subisce violenza di prendere consapevolezza della propria condizione, decidere di liberarsi e poi di denunciare, la espongono a un percorso di angoscia e sofferenza. Spesso anche i figli sono vittime di questi conflitti. Quanto viene proposto dal DDL Pillon e da tutti i collegati (45, 118, 735, 768, 837) che abbiamo analizzato nel dettaglio, non farebbe che peggiorare le condizioni sia delle donne, sia soprattutto dei bambini e ragazzi coinvolti.
Il ruolo di madre e padre
Noi siamo precise, non superficiali, quindi abbiamo chiesto il supporto anche di altri esperti di diritto, giuristi internazionali, psichiatri, neuropsichiatri infantili per analizzare quanto andiamo a dire e ribattere, anche nelle sedi istituzionali, per rendere la nostra voce ancora più forte e utile.”
“Partiamo dall’idea che nel nostro paese il caregiver naturale dei figli, sin da prima della nascita, sia la madre, con tutto ciò che ne consegue di meraviglioso, ma anche di negativo. Una donna quando arriva al lavoro con il pancione appena visibile, molto spesso, va incontro a un demansionamento o peggio viene mandata via. Non abbiamo un welfare tale che permetta ai padri di partecipare sin dalla nascita alla vita del figlio e, comunque, solo il 7% chiede il congedo parentale.
Poi è tutto un’evidenza: in fila ai colloqui con gli insegnanti, alle festicciole, dai medici, ci sono eserciti di madri, spesso reduci da estenuanti equilibrismi per garantire la presenza e pochissimi padri. I tribunali italiani fotografano quella che è la famiglia media prima della separazione. Il giudice protegge i minori, cresciuti in un contesto nel quale la mamma si è occupata di loro, facendo delle rinunce per consentire al padre di proseguire nel suo percorso lavorativo. Non viene stravolta la vita del bambino che rimane nella sua casa, assegnata a lui insieme a chi, da sempre, se ne prende cura. Il bambino vedrà il padre due pomeriggi infrasettimanali con un pernotto e due week end al mese. Per un totale di 12 giorni: gli stessi che reclama il DDL Pillon che quindi sono già previsti e assegnati dalle norme vigenti. E’ un dispositivo già applicato, spesso disatteso proprio dai padri che non riescono ad esserci per tutti e 12 i giorni previsti.”
“Il 75% delle separazioni in Italia è consensuale e funziona in questo modo: l’accordo si trova con successivi aggiustamenti. Nell’altro 25%, marito e moglie confliggono, spesso perché ci sono situazioni di violenza, ma si parla di una percentuale di molto inferiore rispetto alla media. Si vuole quindi cambiare le leggi per un 25% dei casi. Parlano di milioni di padri coinvolti poi raccolgono al massimo 13 mila firme quando scendono in piazza a presentare la loro proposta.
Chi vuole essere un padre, anche oggi, con le leggi vigenti, può continuare a farlo.
Io difendo e ho difeso diversi bravi papà, presenti dalla nascita con i propri figli che non lo scoprono dopo la separazione, reclamando provvedimenti iniqui e dannosi proprio per i bambini.”
Le fake news di Pillon e collegati
“Penso ad uno dei testi collegati al DDL di cui si parla poco, quello che ha come prima firmataria la senatrice Binetti. Nel prologo si parla di PAS e si fa riferimento a Richard Gardner, figura inquietante che difendeva i padri accusati di pedofilia, definendola un atto di amore.
Non è solo il DDL Pillon a minare i diritti di donne e minori, si deve prestare attenzione anche ai provvedimenti collegati.
Bisogna anche sfatare un altro falso mito che va a guardare ai paesi nei quali disegni analoghi sono stati applicati, come fossero il paradiso dell’armonia. Laddove si è proceduto all’affidamento paritario, si è dovuto tornare indietro: in molti casi, con il tempo, sono emersi problemi a danno dei minori, manifestati soprattutto durante la fase adolescenziale. In Francia c’è un movimento simile a quello dei padri che si agita in Italia, spesso con argomentazioni affini a chi porta avanti posizioni apertamente misogine. La PAS viene usata nei tribunali, tanto che il Ministro della Giustizia Nicole Belloubet ha scritto lettere ufficiali di raccomandazioni ai magistrati affinchè nelle controversie non si ricorra al richiamo ad una sindrome inesistente scientificamente e si utilizzino, invece, gli strumenti legali, reali.”
“La PAS è un’aberrazione ed emergerebbe come tale a qualsiasi bravo papà, se solo ci riflettesse. Un bambino viene sottratto alla sua casa, a chi si è sempre preso cura di lui e messo in una struttura, poi magari affidato a padri violenti con cui non voleva stare. La psichiatria internazionale non riconosce questa sindrome, ma mette in allarme sui rischi che ne derivano per lo sviluppo dei bambini che crescono con il senso di risentimento, di abbandono e di vendetta. Abbiamo letto mail di ragazzi, inviate dalle case famiglia, che chiedono, disperati, di tornare dalla loro madre.
Vogliono farla chiamare “disturbo relazionale” per riuscire ad utilizzare un mezzo volto a strumentalizzare naturali comportamenti di un figlio che magari non è abituato o alcune volte non vuole stare con il padre. Basta un capriccio e si invoca la PAS che poi, una volta scritta in un atto ufficiale, da colleghi frettolosi e superficiali, fa scattare tutto il procedimento.”
Dovere dei genitori diritti dei figli
“E’ un progetto preciso, fuori e dentro i tribunali, per cui abbiamo deciso di unire le forze anche con gli altri paesi nei quali stanno adottando uguale strategia.
Noi invochiamo il dovere della genitorialità e il diritto dei figli ad essere ascoltati e non manipolati.
Per non parlare dei danni che questi provvedimenti potrebbero provocare nella volontà delle donne di emanciparsi dalla violenza domestica. “Non mi credono, non credono neanche al bambino, cosa sarà di me?” E’ la domanda che iniziano già a porsi. Chi intraprende quel percorso durissimo che porta prima alla dura decisione di uscire di casa, per poi denunciare in maniera lucida quanto subito, affrontando tutte le rappresaglie del marito, mostra un’energia che ogni volta ci stupisce.
Quello che motiva è la ricerca della giustizia, ma se poi la giustizia tradisce, il dolore è troppo forte e molte donne non riescono più a risollevarsi.
I figli sono “uccisi in vita” perché allontanati da casa con la possibilità di vedere, in rare occasioni e sotto controllo, la madre: nel 99% dei casi una persona normale che lo ha cresciuto con amore. E’ troppo!”
“Ci sono però padri che preferiscono questa reclusione e sofferenza per avere una rivincita su una donna che sentono li abbia ostacolati.
Un padre vero si siede nel mio studio quando la madre non si comporta come dovrebbe e, insieme, capiamo come ripristinare il dialogo: se proprio non si riesce, fa un sano passo indietro, con amore. In questo modo il bambino, a 13 anni, lo cercherà e lo troverà dove ha sempre continuato ad essere e ad aspettarlo. Ne ho avuti per fortuna di questi casi e visto instaurarsi rapporti sani. Al contrario, già si stanno verificando situazioni di figli che hanno chiesto di rinunciare al cognome, dopo essere stati messi in casa famiglia: covano rancore e lo manifestano proprio verso chi li ha spinti a quella condizione. Il prezzo di questa ostinazione potrebbe diventare lo sviluppo di gravi patologie per le vittime silenziose.”
“Per questo non ci fermiamo, abbiamo presentato la nostra relazione e lo abbiamo fatto con dei professionisti, lo psichiatra Andrea Mazzeo; Assuntina Morresi, professoressa di Chimica Fisica dell’università di Perugia e membro del Comitato nazionale di Bioetica; Bruna Rucci, psicologa e psicoterapeuta. Stanno già cominciando a contattarci alcuni senatori per avere conferme su quanto affermato. Essere riuscite a spingere ad andare oltre la superficie dei proclami, per capire realmente cosa si vorrebbe attuare, le conseguenze che si produrrebbero, è un primo passo. Andiamo avanti e siamo a disposizione per chiunque vorrà avere maggiori chiarimenti. Continuiamo a difendere e sostenere i nostri clienti in aula, ma non possiamo fermarci nella battaglia intrapresa anche fuori dai tribunali. Sanno che ci siamo e hanno bisogno del nostro aiuto: chi ha subito l’allontanamento del figlio è devastata, sottoposta ad incontri protetti come fosse un pericolo per chi ama più di se stessa, vittima due volte di chi infligge questa pena, molto spesso solo per vendetta.
Chi cerca giustizia la deve ottenere e non può pagare per questo. Soprattutto non possono rimetterci i figli, per questo noi lottiamo, insieme e con tutti i mezzi che le nostre competenze ci permetteranno di utilizzare.“
La traccia volante: Cambiamo il finale all’Antigone. Garantiamo giustizia a tutte coloro che combattono per la loro dignità e per il bene dei loro figli.
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