La pagina social dell’Inps non fa ridere

“E’ uno squarcio inquietante sulla realtà, raccontata da parole sgrammaticate, risposte offensive più colte, nell’evidenza di una diffusa disperazione che si nutre di ignoranza e di contrasti. Si volevano sfruttare i social per evitare l’imbarazzo dell’assalto fisico agli uffici, si è ottenuto un risultato peggiore: l’immagine di un drammatico neorealismo contemporaneo, affidato a profili virtuali, mai così reali.”

inps reddito di cittadinanza

Quando sono stata licenziata, dopo la nascita di Luca, ricordo che uno dell’ufficio del personale scherzò o forse fece il suo ferale commento politico: “Che vuoi di più, starai a casa a non fare nulla e ti danno il sussidio di disoccupazione!”. Non risposi, perché ero frastornata dalle pratiche da presentare, ma avvertii il colpo sulla mia dignità, in tutti i sensi, già precaria. Mi arrivò il senso di quella affermazione, più di una battuta, quasi una rivendicazione: “lo Stato dà i soldi a te donna, madre, nullafacente, mentre io devo occuparmi pure delle tue pratiche e continuare a lavorare.” Quella frustrazione me la sono portata dietro quando discutevo, litigavo, poi mi confidavo con gli operatori dei call center dell’Inps a cui mancava sempre un dato o che mi comunicavano ragioni varie e possibili, dei ritardi o mancati pagamenti.

Non sarei onesta, però, se non ammettessi che quelle entrate, calibrate su quanto avessi percepito negli anni precedenti, sono state utili per la famiglia e anche per me: un sostegno mentre cercavo comunque altre strade per poter riprendere a lavorare. Non che nel frattempo non facessi nulla: crescevo due figli, rassicuravo i miei genitori, sistemavo e inviavo il mio curriculum, telefonavo ad amici e parenti per cercare di carpire occasioni, ho pure scritto e pubblicato un libro che benedico per aver salvato la mia personalità.

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I due anni di sussidio sono passati e, giustamente, in maniera puntuale, i pagamenti sono cessati. Nel frattempo, percorso che prosegue coerente, ho trovato solo occupazioni saltuarie poco o mal retribuite, ma sono grata a tutti coloro che non mi hanno fatto lavorare gratis o illuso di contratti futuri.

L’ansia è una mia amica fedele che può contare sul calmante naturale dell’impiego stabile di un componente della famiglia. Nei momenti di massima rabbia per l’impossibilità di veder riconosciuto quanto potrei dare e esprimere, mi calmo, pensando a chi non può fermarsi nemmeno per provare quella frustrazione, perché sovrastato dal più forte terrore di non riuscire a dare da mangiare ai figli, di non poter pagare loro il materiale per la scuola o il dentista, di dover posticipare ogni bolletta fino ad inevitabili ed ancora più insostenibili more.

Non ho però creduto, sin dall’inizio, al reddito di cittadinanza, non solo per la sfiducia nei confronti delle capacità di prospettiva di chi lo proponeva, ma considerandolo uno strumento subdolo e odioso di sottomissione e di illusione proprio delle categorie più fragili e vulnerabili della società.

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Quanto avrei preferito si proponessero strategie e politiche per attivare realmente nuove opportunità professionali serie e adeguatamente retribuite per tutti. Mi sono arrabbiata con quella buona percentuale di paese che ha votato, pensando che la sussidiarietà fosse la soluzione, perché ho sentito come quella preferenza fosse un contributo alla negazione di un futuro ampio per il nostro paese. Purtroppo le conseguenze sono state ancora più drammatiche, date le condizioni economiche, ma soprattutto morali e culturali nelle quali versiamo.

Oggi, però, non riesco ad infierire e a condannare tutti coloro che hanno ricevuto l’atteso sms dall’Inps, dal quale risultano imbarazzanti cifre relative al sussidio che verrà loro elargito, in tempi, mi sembra, ancora non definiti. Ho letto parte di quello scambio di messaggi nel profilo dell’INPS che rende, il social media manager della pagina che si occupa del reddito di cittadinanza, un eccezionale personaggio, degno di una piece dell’assurdo di Ionesco.

E’ uno squarcio inquietante sulla realtà, raccontata da parole sgrammaticate, risposte offensive più colte, nell’evidenza di una diffusa disperazione che si nutre di ignoranza e di contrasti.

Si volevano sfruttare i social per evitare l’imbarazzo dell’assalto fisico agli uffici, si è ottenuto un risultato peggiore: l’immagine di un drammatico neorealismo contemporaneo, affidato a profili virtuali mai così reali.

Cosa accadrà a quell’uomo che denuncia di non poter vivere con 40 euro o al padre che reclama un sostegno maggiore per la figlia e i suoi sette nipoti che probabilmente contribuisce a mantenere; come finirà la guerra al ribasso tra gli ISEE, non si può sapere. Piacerebbe che fosse tutto un film e che alla fine apparisse sulla schermata di tutti i computer una scritta carattere 50 del Primo articolo della Costituzione italiana e poi elenchi di assunzioni e contratti per tutti. No, non vorrei mai la pioggia di soldi ad umiliarci, a renderci proni ad un sistema che voleva mettere a tacere tutto con 40 euro e nemmeno una pacca sulle spalle.

La mia solidarietà va a chi a continua a rispondere, passando da geniali espressioni di nervosismo inevitabile a più comprensiva gentilezza e professionalità. Perché si sa che basta poco a passare dall’altra parte. Il mio risentimento non riesce ad andare, però, contro chi ci ha creduto, magari solo per dare una risposta alla disperata rassegnazione.  

articolo 1

Il lavoro crea dignità, forse bisognerebbe ricordarlo, come tante altre nozioni fondamentali che reggono una democrazia, a chi vuole rappresentarla.

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