Sospesa resta la sensazione che, tra recite e saggi, arriveremo esausti alla meta di luglio, ma forse avremo trovato il modo per distrarci, guardando e ascoltando i nostri bambini, custodi del senso più profondo e allegro di tutto ciò che si fa.
“Guardateci con gli occhi e non con il telefono!” E’ stato diretto, l’invito al pubblico di Edoardo e Franziska per introdurre il concerto di fine anno degli allievi dell’associazione Il Giardino delle voci. Sulle magliette i versi della Cicala di Gianni Rodari, nella speranza che note e melodie possano portare anche l’agognata estate.
Mentre fuori continuava a piovere, nell’atrio della scuola media Gaudiano, composti e entusiasti, sotto lo sguardo attento della maestra Paola Urbinati, bambini e ragazzi, insieme, hanno lanciato i riflessi della loro luce allegra su genitori, zii, nonne, nonni, tanti fratellini e sorelline sfuggenti tra le sedie.
Da due anni, Viola fa parte del gruppo dei medi, così contenta da persuadermi ad entrare nel direttivo dell’associazione. Spiando le lezioni e chiacchierando con i suoi compagni, ho scoperto un segreto del coro: non sono solo voci che si mescolano, ma anche movimenti che si intrecciano e punti di vista che si incontrano.
L’attenzione quindi non è solo una richiesta di cortesia, ma la possibilità di godere appieno dell’armonia, capace di andare oltre i suoni, trascinando insicurezze, timori, silenzi e accordi in una consapevolezza diversa, sia di chi partecipa, sia di chi ascolta.
Un’alchimia che si è manifestata subito. Ad aprire il concerto è stato Kevin. Si è seduto alla pianola e, nel silenzio, ha fatto risuonare, leggera ma intensa, la sua voce. La melodia ha superato le differenze sulle quali, un occhio distratto, poteva basare la concentrazione. Intorno il resto del coro ha tenuto il tempo, cantando sottovoce. Due brani ed una coreografia hanno annullato le distanze e introdotto lo spirito di un’attività e di un’arte.
La musica si è affidata poi ai piccoli e ai medi con la loro canzone manifesto per invocare “La città dei ragazzi.” Sì quella “fatta dai grandi insieme ai bambini con anche il mare e cento giardini.” Veloci e inesorabili le richieste cantate con forza dal testo di Enrico Strobino:
“Gusti italiani profumi francesi, ritmi africani e sguardi cinesi, se c’è qualcuno che ha qualcosa da dire in questa città si potrà sentire. In bicicletta o in mongolfiera, poi si va in giro fino alla sera e c’è chi arriva anche con un motore purché non puzzi e non faccia rumore. C’è il farmacista, il fabbro, il fornaio, ed anche un frate che non porta il saio. A mezzanotte dentro una tazza ognuno una storia porta giù in piazza.”
Immagini possibili, ma ancora lontane, hanno predisposto al sorriso, raccolto da Rebecca al microfono, pronta per il suo attacco da solista. La base non è partita, ma non si è abbattuta, il coro l’ha sostenuta: “Mi piace la musica” si è imposta anche nello schermo del telefono di chi non è riuscito a desistere alla tentazione di distogliere lo sguardo reale. Impossibile resistere, però al Mago Elenik: la piccola Elena con mantello e mascherina dorata, ha trasformato in robot i suoi compagni, al ritmo travolgente di Zum gali gali.
Ho avvertito il battere dei piedi anche del nonno meno reattivo che quasi entrava in scena a ballare sulle note del Cowboy che aspetta il bacio della sua bella. Il can can, da lento a velocissimo, ha rivelato quanto il coro possa trasformare l’attitudine pacifica di alcune bambine. “Nemmeno la riconosco, si diverte proprio!” ha chiosato la mamma di Giorgia dagli occhi grandi, l’anno scorso taciturna e quasi impacciata, ora padrona della scena.
La musica è alternarsi di alti, bassi e silenzi per ritrovare ognuno la propria sinfonia e la singola modalità di ascolto. “Sguardi” è il titolo del pezzo con cui sono tornati nell’atrio tutti e 60 i coristi, ognuno alla ricerca del proprio punto di vista. Senza parole, il coro si è fatto torsione di collo, movimento leggero di busti e di braccia, occhi che sembravano perdersi e creare un temporaneo smarrimento anche nel pubblico.
Ancora scossi, padri e madri, quasi tutti con occhi e orecchie tese ad una registrazione umana, sono stati rapiti da un Plaisir d’amour interpretato in diverse lingue. Viola che avrebbe voluto un’introduzione più allegra, ha ricordato a tutti che “i dispiaceri d’amore durano tutta la vita.” Niente paura perché la rivolta per conquistare l’istante prezioso di quel sentimento che ci rende felici, è arrivata nelle parole di “Tutti i giorni stesse cose stesse situazioni.” Un altro manifesto con il quale i coristi hanno rivendicato il diritto ad essere bambini e ragazzi, non piccole macchine per le più diverse e noiose attività che sono obbligati a svolgere. Se non bastasse il grido di libertà, in un climax ascendente, ci siamo ritrovati tutti a ritmare Pick a bale of cotton, canto di lavoro degli schiavi d’America durante la guerra di secessione.
Il coro è anche conoscenza di storie e culture diverse attraverso la musica.
Gam Gam è la canzone scritta da Elie Botbol, riprendendo il quarto versetto del testo ebraico del Salmo 23. Viene tradizionalmente cantato dagli ebrei durante lo Shabbat. L’hanno eseguita tutti insieme. L’emozione è stata forte per quello che è diventato anche un simbolo come “inno” del genocidio di un milione e mezzo di bambini uccisi dai nazisti. Nella musica si incontrano le religioni, le lingue e i dialetti. Il concerto si è chiuso con i grandi che hanno intonato, appassionati, il gospel inglese Amazing Grace, lasciando l’ultima nota a piccoli e medi con Ninnaora, la toccante ninna nanna sarda.
Il bis lo hanno concesso con Gam Gam, mentre Agata, la più piccola della sala, un anno a maggio, ballava, ormai perfettamente a tempo, osservando le sue due sorelle coriste.
Gli applausi scroscianti non hanno coperto le ultime parole che si è presa giustamente la direttrice per ribadire che: “il canto di insieme entra nel cuore, insegna lo spirito di socializzazione, il rispetto e l’aiuto reciproco.” Se non fosse ancora chiaro a chi non ha seguito l’invito iniziale di Edoardo e Franziska, nell’atrio della Scuola Gaudiano gli allievi del Giardino delle Voci hanno realizzato il progetto del coro: “una magia che nessuno di loro, da solo, avrebbe potuto mettere in opera.”
Sospesa resta la sensazione che tra recite e saggi, arriveremo esausti alla meta di luglio, ma forse avremo trovato il modo per distrarci, guardando e ascoltando i nostri bambini, custodi del senso più profondo e allegro di tutto ciò che si fa.
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