Vittorio da 32 anni rispetta la sua divisa

“Io continuo a credere che le cose si possano cambiare da dentro. E’ un obiettivo che porto avanti con il mio comportamento personale. E’ indelebile nella mia testa, la prima ora di lezione, del primo giorno alla scuola di Polizia: deontologia professionale. Dal momento in cui vesti la divisa di poliziotto non sei più una parte, ma la parte di riferimento, devi sempre rimanere nel mezzo.”

vittorio vignettaOgni evento genera un commento. Accade quotidianamente, merito o dramma di una realtà raccontata dalla superficialità dei social, elevata a verità acquisita, in una società che sembra, invece, aver perso riferimenti solidi. E’ stato ucciso un carabiniere, al dolore di chi aveva diritto di manifestarlo, si è affiancata la strumentalizzazione violenta. Curve pro e contro colpevoli presunti e reali. La foto di un matrimonio felice tra due ragazzi onesti e entusiasti, affiancata a quella che testimonia l’interrogatorio condotto in maniera brutale verso il ragazzino che quelle vite ha distrutto. Senza soluzione di continuità tra cori, analisi, e commenti inquietanti. Cosa succede nel paese? E’ una domanda che ci poniamo spesso con risposte che ci agitano per il presente e per il futuro. L’ho rivolta ad un poliziotto, Vittorio Berti, per provare a dare un’altra prospettiva, fuori dai pregiudizi, quella di chi crede che si possa ancora dare un contributo positivo per cambiare l’inevitabilità negativa e sente fortemente il senso della sua professione. La sua traccia è importante per quanto racconta, denuncia e propone per il rispetto di un ruolo scelto e costruito nella società.

La traccia: il mestiere del poliziotto

“Ho avuto la fortuna di poter scegliere liberamente questa professione. Erano gli anni in cui ancora si decideva il lavoro sulla base di quello che faceva il padre. Il mio lavorava in una società di petrolio, dove ho fatto il colloquio, mi avevano anche presentato una proposta, ma la mia strada era un’altra. Avevo deciso che volevo cambiare il corso degli eventi da dentro. Sono cresciuto in una realtà fortunata, un quartiere bene di Roma, Viale Somalia, che era però in una zona di confine e di contrasti sociali. A 500 metri da dove vivevo sono stati uccisi Paolo Di Nella e Francesco Cecchin; vicino alla mia scuola abitava Valerio Verbano, ragazzi come me, morti perchè in quegli anni accadeva per assurdi motivi ideologici. Mi ero iscritto a Scienze statistiche, frequentavo i collettivi studenteschi di sinistra, ma non mi piaceva essere identificato per le appartenenze. Sentivo l’esigenza di dare il mio contributo al cambiamento.”

Un percorso duro e fortunato

“Sono entrato in polizia attraverso il percorso classico: dopo il militare, mi sono raffermato, alla scadenza del secondo anno, avendone i requisiti, sono diventato effettivo. Sono andato volontario in Calabria, nel nucleo antisequestri, c’era stato il rapimento di Cesare Casella. Tornato a Roma, ho avuto la fortuna, come diverse nella mia professione, di essere assegnato alla Polizia Postale. Era in via di espansione: molti giovani, entusiasti del lavoro. Una opportunità ancora più importante mi viene offerta dopo due anni, quando, a soli 24 anni, ho iniziato a lavorare nell’istituenda DIA (direzione investigativa antimafia). Grandi investigatori, dirigenti e funzionari che non mi hanno insegnato solo a lavorare, ma a ragionare. Non si deve mai dimenticare che nel nostro lavoro non ci si può far sopraffare dall’emotività.”

“Sono stato 14 anni alla DIA, avendo l’opportunità di conoscere anche i giudici Falcone e Borsellino. Quando ho sentito che stava cambiando il clima ho deciso di andare via. Non so vivacchiare, io volevo continuare a lavorare con quella abnegazione che aveva caratterizzato la mia esperienza. I tagli mirati non permettevano più di portare avanti, così come avevo visto fare e fatto, le indagini: avvertivo l’impressione, anzi, che fossero quasi un problema, per cui risultasse velatamente necessario rallentarle o impedirle del tutto. Dal 2005 presto servizio presso l’’Ufficio di Polizia del Quirinale .”

La quotidianità da conoscere

vittorio stemma polizia“Dopo 32 anni e mezzo di servizio ho visto cambiare la Polizia: volti, esperienze, origini e formazione dei colleghi. Sono sempre meno i figli di poliziotti e sempre più coloro che arrivano con livelli di cultura già molto elevati. E’ cambiata l’amministrazione. Temo però che negli anni ci si sia abituati a quanto facciamo, dando per scontata la nostra assuefazione alla sofferenza, simile a chi lavora in un reparto oncologico: si sono fatti passi avanti nella ricerca, si può guarire. ma la quotidianità è la lotta con il tumore. Chi tra di noi sta per strada è in contatto con la parte più brutta della società, quella che gli altri non vedono, sperano di non incontrare mai: il tossico, lo spacciatore, il truffatore.”

“Non tagliamo siepi, disegniamo abiti, esibiamo su un palco: il poliziotto va a cercare il coltello nel cassonetto, entra nelle case appena svaligiate o dove c’è un marito che picchia la moglie. La quotidianità in cui si immerge è questa, servirebbe qualcosa che fa andare in decompressione per tornare a galla, come per i sub: delle pause per riprendersi. Invece: il collega del reparto mobile viene mandato in Val di Susa alle manifestazioni No Tav, magari dopo aver già finito un turno, sta lì un giorno, poi ritorna e se è fortunato gli danno qualche ora di riposo. Se c’è una partita alle 15: cominciamo il servizio alle 9.30 quando andiamo in caserma a prendere l’attrezzatura. Alle 10 siamo davanti ai cancelli che aprono alle 12, fino alle 17 seguiamo che tutto proceda senza incidenti, poi controlliamo il deflusso, accompagniamo i tifosi fino al casello: se tutto va bene torniamo in caserma alle 19 e a casa alle 20. Qualcuno farà il turno di mattina il giorno dopo.”

“Non ci si può fermare e bisogna dare risposte immediate: cosa sarebbe successo se non si fossero trovati subito i responsabili dell’omicidio del nostro collega? La vita diventa allora 24 ore su 24 lavoro. Mentre si segue un caso, ci sono altri compiti da seguire, atti da trasferire, rispettando i tempi, altri cittadini che chiedono aiuto. In più oggi siamo sotto gli occhi di tutti. Lo scatto che sta girando in queste ore, documenta un comportamento deprecabile che condanno, ma è assurdo come in pochi minuti, un’immagine che testimonia un gesto assurdo, commesso da alcuni agenti, abbia coperto nell’immaginario collettivo gli elogi a coloro che solo pochi minuti prima, avevano assicurato alla legge i colpevoli di un crimine efferato.”

“Se penso ai numeri che definiscono il lavoro quotidiano di Polizia, Arma dei carabinieri, Guardia di Finanza, calcolo oltre un migliaio di uffici aperti ogni giorno ai cittadini: ricevono, ascoltano, redigono denunce, fanno partire indagini, fermano e arrestano altri cittadini che delinquono. Quante foto documentano abusi svolti durante questo impegno di 365 giorni l’anno? Il sistema è sano, ma nei grandi numeri esiste necessariamente quella quota, che non dovrebbe esserci, ma c’è, che sbaglia. Il campionato di calcio è seguito da milioni di tifosi, non sono tutti hooligans, ma in quasi ogni partita, c’è un gruppo che fa casino. Non identifica tutto il sostegno del calcio italiano.”

“E’ un fenomeno che purtroppo riguarda la sanità, nella quale ci sono eccezionali professionisti e chi timbra il cartellino per poi andare a fare la spesa; nella scuola abbiamo fior fiore di insegnanti, ma anche professori che lanciano messaggi impensabili per chi riveste un ruolo di guida per i ragazzi. Non è un problema di una categoria, ma è la società che si sta degenerando: una delle più grosse responsabilità della politica. Chi può pensare sia normale ci sia una madre, pronta a dichiarare pubblicamente che i bambini in fuga da guerra e violenze, è bene che diventino cibo per pesci? Non rappresenta il paese, non credo che la pensino nello stesso modo tutti gli elettori della Lega, come non credono siano tutti salottieri e radical chic quelli di sinistra.”

“Abbiamo perso in generale il senso di appartenenza sociale ad un paese. Quando ci sono padri che insultano i bambini in un campetto di calcio, abbiamo un’altra immagine plastica dello smarrimento in cui si rischia di brancolare. D’altronde si sono sdoganate certe forme di comunicazione: siamo il paese in cui si legge a malapena un libro a testa l’anno, ma si bada ai titoli dei giornali, senza approfondire, e spesso si tratta di invettive violente. Il più delle volte l’attacco pubblico è indirizzato verso chi sta peggio. Lo spiegano sociologi, analisti e psicologi: quando ci si trova in un momento di crisi, il nemico è chi ha meno, chi versa in condizioni peggiori, con gli altri si china la testa. Ho letto le percentuali delle case popolari di Roma assegnate ai Rom: sono il 2%, eppure sembra che vengano date solo a loro.”

Il senso di una divisa

“Io continuo a credere che le cose si possano cambiare da dentro. E’ un obiettivo che porto avanti con il mio comportamento personale. E’ indelebile nella mia testa, la prima ora di lezione, del primo giorno alla scuola di Polizia: deontologia professionale. Dal momento in cui vesti la divisa di poliziotto non sei più una parte, ma la parte di riferimento, devi sempre rimanere nel mezzo. Questo ci trasforma inevitabilmente in spugne. Qualcosa del nostro lavoro ci rimane dentro. Penso ai colleghi che devono seguire indagini sulla pedopornografia: simulare di essere una vittima, un bambino di pochi anni che subisce e assiste all’abiezione totale. Un amico mi disse che quando tornava a casa non riusciva più a fare il bagnetto a suo figlio piccolo, gli sembrava di sporcarlo, solo sfiorandolo. Questo c’è dietro il lavoro del poliziotto che non si vede e non si sa.”

vittorio sindacato

“Per incidere dall’interno, senza limitarsi a criticare e denunciare, ho deciso anche di fare il sindacalista. Sono iscritto al Silp Cgil, non ho ruoli, ma porto avanti battaglie a cui tengo molto come quella dei suicidi in polizia. Quando ho cominciato ad occuparmene, 7 anni fa, era molto difficile parlarne, ora mi si riconosce il merito di aver squarciato questa ombra pesante. Serve una presa di coscienza. Bisogna avere l’assistenza necessaria per staccare, e fare attenzione perchè si porta con sé una pistola. E’ capitato che facessi gli auguri a mia figlia il mese prima o il mese dopo, siamo sotto pressione: non ci fermiamo mai!”

“C’è poi il tema della sicurezza sul lavoro. La morte del collega carabiniere è morte sul lavoro, quando feriscono un poliziotto in servizio è un incidente sul lavoro, se così non fosse le nostre non sarebbero professioni. Si può dire che siano rischi che conosciamo bene, ma non sono inevitabili.”

“Come se tutti gli infermieri debbano per forza pungersi con un ago infetto o gli operai cadere da un’impalcatura! Hanno dei guanti speciali gli uni, sono dotati di casco e corde gli altri. Anche noi abbiamo diritto a protezioni specifiche, adatte al tipo di mansione che affrontiamo: ad esempio non serve il giubbetto esterno come i militari che difendono obiettivi sensibili, a noi servono di più quelli a pelle, i cosiddetti sottocamicia, anche con proprietà antitaglio. E poi è necessario addestramento e formazione continui oltre a protocolli certi. Se penso alla diatriba sul taser: ci sono situazioni in cui può servire, non sempre, ma deve essere disciplinato. Quanti altri colleghi dobbiamo perdere prima che si siano adottate tutte le norme per evitarlo!”

“Sicuramente una gestione diversa degli orari e dei turni. Se c’è una rissa a Largo di Torre Argentina alle 10 di mattina, possono convergere anche sei auto, ma quante risse accadono di giorno? La sera si è sempre di meno e reduci da ore di straordinario continuo. Lo testimoniano i dati del Ministero dell’Interno: è calato il numero dei reati commessi negli ultimi sette anni, mentre la Polizia ha perso il 18% del personale, nello stesso tempo, secondo il MEF, il tempo di straordinario è aumentato del 20%. Non si possono lavorare 12 ore di seguito! L’applicazione dei principi costituzionali e delle norme deve essere rispettata anche nei nostri confronti. E’ previsto che io debba lavorare un certo numero di ore e quelle devo fare; se abbiamo diritto all’assistenza psicologica, io la pretendendo.”

Tutori non paracolpi

vittorio polizia sgombero

“Cambiare da dentro, significa non temere di denunciare la realtà dei fatti: la nostra condizione perdurante di cuscinetto alle inefficienze della politica. Siamo in prima linea quando si sgombera un palazzo, ci prendiamo la responsabilità di chi per anni non ha risolto il problema dell’emergenza abitativa. Ogni volta che c’è una manifestazione in Val di Susa, parte la pantomima e siamo noi a dover andare ad affrontarla, rispetto a chi non riesce a prendere una decisione. Non possiamo essere questo! Noi siamo i tutori della legge: tuteliamo l’ordine e la sicurezza pubblica. E’ un compito altissimo. Non possiamo essere i tappabuchi dei fallimenti dei politici. Non possono pensare che ci saremo sempre noi ad occuparcene. Verrà il momento nel quale i disoccupati cacciati dalla fabbrica, la madre sfrattata, potrebbero essere nostro figlio, nostra sorella. Cosa accadrà allora?”

vittorio finale“Questa è la nostra situazione: è difficile che si crei un dibattito, che se ne discuta sia all’interno, sia all’esterno. A noi arriva puntuale lo stipendio, non avremo mai problemi di cassa integrazione, ma questo non può essere l’alibi per pagare tutto il resto. Non è giusto passare da eroe ad infame!

Io sono stato celerino “figlio di…” e valoroso combattente contro la mafia mentre verbalizzavo gli interrogatori di Falcone e Borsellino, ho partecipato ad indagini e svolto servizio in strada: sono sempre lo stesso, la mia matricola, il mio nome e il senso del mio lavoro non cambia.

Questo andrebbe capito.”

La traccia volante: Quando arrivano i colleghi giovani, ripeto loro la frase di un capo indiano ai futuri guerrieri: “che i tuoi occhi possano sempre guardare l’orizzonte e le tue mani non toccarlo mai.”

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