Quando l’estate continuava

Non so quando sia finita questa abitudine che dava un senso all’estate, senza la quale non si poteva pensare di aver vissuto bagni di mare, viaggi in auto, nuovi amici, segreti e liti con i cugini. Quando ci siamo illuse di poterne fare a meno, di essere in grado di evitare passaggi di accompagnamento, di tornare senza mai veramente partire, correre senza gustare l’attesa.

 

Prima che ricominciasse la scuola, da bambine, io e Lilli ( so che ora si firma Anne, recuperando un’identità adulta, ma per me rimane con il soprannome dato da zio Gigi) trascorrevamo le giornate a casa dei nonni: un prolungamento delle vacanze, forse una delle parti preferite, allo stesso tempo una preparazione per il ritorno alla quotidianità. Tutte le mattine andavamo al mercato con nonna Mena, dove conoscevamo il banco di chi ci regalava l’angolo di pizza bianca da forno o gli spicchi di caramelle all’arancia e al limone che si impastavano con il sapore di farina, lasciandoci nella bocca un gusto amaro e leggero.

Roma non era ancora tornata dalle ferie: San Paolo era un quartiere popolare dove in molti non andavano in vacanza, ma nelle strade intorno a Via Tullio Levi Civita resistevano alcune saracinesche abbassate. Arrivati alla pasticceria Belli si aveva l’impressione di essere approdati ad un rifugio nel quale rimanere avvolti dal profumo dei diplomatici e delle crostate, anche se io e nonno prendevamo sempre le pastarelle alla crema con la glassa rosa e verde sopra ( quando le trovo ancora oggi non resisto).

ricordi d'estate treNella grande casa dai pavimenti lustri su cui sfidarci in gare di pattini finti, filtrava la luce: le serrande erano a metà per evitare entrasse troppo caldo. Si diffondeva sin dalle 11 il profumo del sugo di nonna che non conosceva cambi di stagione e impregnava di sapore, frammenti di rosetta, delizie per noi assaggiatrici privilegiate.

Nell’attesa del pranzo, potevamo vedere un po’ di tv: perderci alla rincorsa della ingenua Laura Efrikian nelle vesti del soldatino Morandi o immedesimarsi nelle rivolte musicali di Casco d’oro sotto l’occhio vigile di Nino Taranto.

Mi piaceva, però, aiutare a mettere la tavola: nella stanza con il tavolo rotondo se passava anche zio, oppure nella cucina dalla mattonelle arancioni se eravamo solo noi 5 ( mamma rimaneva con noi, ma più rilassata). Era il momento nel quale nonna svelava qualche segreto delle sue ricette e immancabilmente ripeteva il menu per la cena e per i giorni successivi, soprattutto se si approssimava una domenica.

A pranzo si rideva, l’atmosfera era resa allegra e colorata dai tentativi di nonno di mangiare più di quanto dovesse e dalle filastrocche molisane di nonna che io mi sforzavo di ripetere con lo stesso accento. I piatti dovevano essere puliti, senza resti: un dramma per Lilli che non finiva mai. Il rito del caffè, una goccia piena di zucchero veniva concessa anche a noi, decretava l’inizio del momento mai rispettato del silenzio.

ricordi d'estate saranno famosiErano minuti lunghissimi nei quali sperimentare giochi e avventure spronati dal divieto. Si aspettavano le quattro, fingendo di leggere un giornaletto o riempiendo qualche noiosa pagina di compiti, seguendo il labiale delle avventure di Leroy Johnson e Danny Amatullo. Più spesso ci nascondevano in quella che era la camera dei ragazzi, scoprendo segreti nei cassetti o provando i vestiti indossati da giovani da mamma e da zia, custoditi nell’armadio di uno dei corridoi.

Il pomeriggio era fuga nel cortile, incontrando gli amici storici di quelle dimensioni sospese, altri nipoti fortunati con cui rincorrersi nelle sfide a nascondino o osare giocare a palla prigioniera ( non so perchè ma anche allora non c’era grande tolleranza nei confronti dei piccoli da una parte dei condomini con le finestre sul campo da gioco).

ricordi d'estate oleandroIl tramonto era segnato dal ritorno di alcuni genitori: i padri con l’odore di ufficio sulle camicie sbottonate e qualche mamma che iniziava a lavorare in quegli anni, con abiti poco adatti alla rincorsa per costringerci a tornare a casa. Si finiva sempre nascosti nei grossi cespugli di oleandro della parte rialzata centrale, davanti ai portoni, con il timore e la voglia di essere trovati e portati a cena. Prima ovviamente ci si doveva lavare, facendo la conta di lividi e graffi.

La sera, la tv era dominio di nonno che ci sottoponeva alla visione dei suoi eroi, da Derrick a Bud Spencer e Terence Hill.

 

Non avevano il valore di un Quark, ma si faceva il tifo per i buoni e si iniziava ad abituarsi alle atmosfere autunnali dalle ambientazioni plumbee dell’ispettore tedesco. A introdurci nei sogni erano i gesti arcaici di nonna che segnava la nostra fronte con un “pace pace e così sia” e a volte aveva il tempo per raccontarci qualche passo di Rosaspina, la sua versione speciale della Bella Addormentata nel bosco, oltre a ricordarci cosa avremmo mangiato il giorno successivo.

L’ultimo giorno prima di lasciare quella casa a pochi chilometri eppure lontana dai nostri luoghi abituali di vita, Miyazaki la ritrarrebbe sospesa tra oleandri e polpette, ricordo la promessa, ogni volta, che l’anno successivo saremmo rimasti a vivere lì e le immancabili lacrime nascoste di nonno che poi ci veniva a portare a danza quasi ogni mercoledì, facendoci arrivare con largo anticipo.

Non so quando sia finita questa abitudine che dava un senso all’estate, senza la quale non si poteva pensare di aver vissuto bagni di mare, viaggi in auto, nuovi amici, segreti e liti con i cugini. Quando ci siamo illuse di poterne fare a meno, di essere in grado di evitare passaggi di accompagnamento, di tornare senza mai veramente partire, correre senza gustare l’attesa. Non è stato certo per volontà dei nonni, nonna Mena ha steso fettuccine anche la domenica prima di lasciarci per sempre.

Oggi mentre cerco di capire come riprendere il ritmo, quasi aspettando l’aiuto dal cielo, vorrei tornare a nascondermi dietro quel divano grandissimo, illuminata da qualche raggio di sole, mentre mi sporco con un pezzetto di rosetta al sugo rubato in cucina: la pelle abbronzata, la voglia di pioggia, il timore e l’attesa di una nuova stagione nella quale il calore di quel salotto mi avrebbe protetto di allegria e di forza.

ricordi d'estate

Mi rendo conto che per ricordare giornate così piene di sensazioni e profumi, non ho foto. Troppo impegnati tutti a viverle. Ne ho trovata solo una, su quel balcone pericolosissimo, nel quale mi appendevo alle mollette fingendo fosse una seggiovia. La deve aver scattata Lilli, perchè manca solo lei: sorrido avvolta dalle braccia di nonna che odiava le foto, ma in questa era quasi venuta bene.

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