“Quando tornarono a Pesaro incontrarono gli amici con cui erano cresciuti, avevano frequentato le stesse scuole e spiagge, che avevano fatto una scelta diversa, erano stati su due fronti: ci volle tempo per riabbracciarsi. Un dolore terribile reciproco. La vecchiaia, però fa spegnere la passione, si fa un bilancio e si è forti. Si sceglie l’amicizia rispetto all’odio. Questa è la liberazione che auguro: la liberazione dall’odio.” Liliana Segre.
Ha occhi azzurri profondi, trasparenti come quelli dei bambini che devono ancora riempirli di sguardi, limpidi come chi ne ha incontrati tanti, trasformandoli in puri ricordi da condividere. Sta in piedi davanti al portone di ingresso del Comune, tenendo con fierezza il gonfalone dell’ANPI, al collo il fazzoletto della Brigata Maiella. Arriva proprio dall’Abruzzo che ha visto nascere l’unica formazione partigiana a ricevere la medaglia d’oro al valore militare e l’unica a continuare a combattere anche dopo la liberazione delle proprie terre: fra i primi reparti ad entrare a Pesaro e a Bologna. E’ qui con alcuni rappresentanti passati e presenti di una storia importante, la nostra storia, per celebrare i 75 anni della liberazione della città, il 2 settembre del 1944. Si lamenta con loro perchè non hanno partecipato all’appuntamento precedente per colpa della pioggia: lo rassicurano che recupereranno, presenziando a tutti i successivi. Tuona in piazza del Popolo, mentre arriva il picchetto dell’esercito e qualche componente della Banda di Colombarone.
Viola racconta a mia madre dei suoi ultimi bizzarri sogni e la nonna cerca di raccontarle cosa verrà evocato durante il pomeriggio. Non siamo le sole ad aver pensato fosse importante esserci e portare una giovane donna di dieci anni ad ascoltare pagine, vissute fuori da un libro . Ci sono altri bambini e, nonostante inizi a piovere sempre più intensamente, si aggiungono anche dei turisti: in Largo Mamiani fotografano la deposizione della corona con il sindaco e le autorità.
L’uomo con gli occhi azzurri non ha ombrelli a coprirlo, il passo è deciso verso via Rossini dove viene scoperta la targa per ricordare il sacrificio e il tributo alla Brigata. Ascolta il suono del silenzio, coperto dagli scrosci d’acqua, a Piazzale Collenuccio, davanti al monumento per onorare partigiani, caduti militari e civili della guerra di liberazione.
Lo osservo, vorrei stringergli la mano, ma lui avanza ed io resto dietro ad ammirare la sua intoccabile attenzione che mi sento di rispettare.
Il Teatro Sperimentale è affollato, si svolgeranno qui gli interventi previsti. Dispiace che le parole, cesellate per scolpire la memoria, non possano raggiungere i passanti, ma restare custodite tra chi ha scelto di esserci. Sono così necessarie che si vanno ad adagiare nel cuore di ogni presente.
Sul palco oltre al sindaco, il rappresentante dell’associazione combattentistica, dell’ANPI e della Fondazione Brigata Maiella, c’è una signora speciale. Altri occhi da cui trarre linfa e una voce da cui farsi ristorare: è la senatrice a vita Liliana Segre. Con Pesaro ha un rapporto speciale, legato al suo compagno di vita e agli anni spensierati delle sue vacanze che ancora continua a trascorrere nel lido sul lungomare Nazario Sauro e passeggiando nelle strade della città che l’ha nominata cittadina onoraria.
Dietro i relatori, in piedi, a reggere il gonfalone rimane per tutta la durata dell’incontro l’uomo con gli occhi azzurri. Noi, sedute tra le ultime file, ascoltiamo insieme a lui.
Parla il rappresentante dell’associazione combattentistica che richiama la necessità di difendere i principi democratici, forse più che negli anni passati contro chi, ancora oggi, rivendica con orgoglio un’appartenenza fascista. Attenti contro la violenza che può esplodere nella quotidianità come avvenne il 17 novembre del 1943 , quando i cittadini di Pesaro, scoprirono l’atrocità della guerra. Fuori dal tempo previsto per l’esercitazione delle truppe tedesche, alcune granate lanciate da una postazione collocata sul monte San Bartolo caddero nella zona tra il centro e il mare, in piazza Spalato, oggi Piazzale degli Innocenti furono uccise 14 persone tra cui diversi bambini.
Una tragedia che Pesaro non può dimenticare. Così come si deve ricordare cosa trovarono coloro che riuscirono a sfondare insieme ai soldati polacchi questo avamposto della linea gotica, trovando una città fantasma. “Macerie come neve”racconta la rappresentante dell’ANPI, riprendendo le parole trasmesse da chi ci passò in mezzo, su una jeep militare, proprio quel due settembre. Il centro era stato letteralmente raso al suolo, chi ci viveva, principalmente la classe benestante, era stato ospitato nelle campagne da contadini e gente più umile.
Una umanità preziosa e rara che descrive bene anche il rappresentante della Fondazione Brigata Maiella, uno degli amici dell’uomo con gli occhi azzurri, che controllo dopo ogni intervento. Mi sembrerebbe giusto che lo facessero sedere, ma lui non lo chiede, gli basta appoggiarsi all’asta di quel vessillo che a mano si avvolge, pur riempiendosi del significato delle parole pronunciate.
Rappresenta la forza di chi decise da che parte stare per ridare dignità ad un intero popolo. “Un sogno, un sacrificio ed una grande sofferenza – specifica Nicola Mattoscio – di chi ha assistito a gesti di vile disumanità compiuti dal nazifascismo, ma non perse la propria per riconquistare la libertà e la pace.” Non può sedersi quell’uomo fiero nel suo completo blu, mentre chi rappresenta il ricordo della sua Brigata, evoca una scelta che continuò ad essere netta anche subito dopo la liberazione, quando si decise di credere nella Repubblica e non indossare sulle divise il vessillo dell’esercito sabaudo. Non Viva il re, ma Viva Ettore Troilo, il comandante!
Un lungo applauso al coraggio e alla determinazione avvolge la sala per estendersi a chi ne porta fiera i segni nel presente e verso il futuro: la senatrice Liliana Segre.
“Mamma, ricordi, l’ho già vista in televisione, voglio proprio sentirla!”.
Ogni volta è un dono non solo storico, ma anche filosofico, letterario e lessicale assistere ad un discorso di chi non vuole insegnare, ma trasmettere. La sua traccia: un piccolo, intenso trattato di convivenza civile.
“Ho riflettuto sulla parola liberazione, usata, spesso nella retorica come democrazia, pace. I ragazzi non ne sanno il significato perché vivono da 75 anni in pace: la libertà è data per acquisita. Si può dire di tutto anche parole di odio che sembrano di un’altra epoca, nella quale poi si passava ai fatti. Ancora adesso le parole dell’odio aprono ad un futuro orribile, il contrario degli scenari legati alla liberazione. Cosa vuol dire veramente? Per chi ha avuto i vicini di casa con cui ha spartito paure e perdite, per chi con amici sfollati andava a vedere la casa distrutta. Chi ha provato sulla sua pelle, nell’anima, nei capelli, cosa vuole dire essere prigioniero. Sei un pezzo non una persona. Quando tutto questo dopo anni finisce, si apre la porta, creduta chiusa per sempre, esci e non sai cosa vuol dire essere libero, bere, raccogliere un fiore. Dire sono vivo io che dovevo morire: sono libero. Allora la parola liberazione aggiunge, aumenta la tua forza e improvvisamente ti accorgi quanto odio, indifferenza scritta con le letture maiuscole, gridata, sia stato intorno a te che eri prigioniero. Quell’odio perché ti ritenevano diverso, per un’altra parola “razza” che ha permesso cose spaventose e quell’indifferenza, perché nel tuo vicino hai visto l’odiatore che ha assorbito le parole. Chi ha ucciso, infierito, ha potuto fare quello che ha voluto senza che si intervenisse a fermarlo. Quando dicono eravate tanti prigionieri perché non vi siete ribellati? Quegli scheletrì rasati indeboliti dovevano avere l’eroismo, ma come? Bisognava che arrivasse la Brigata Maiella e i veri antifascisti della prima ora, non quelli che lo sono diventati dopo. Io ho sempre onorato chi aveva fatto la scelta controcorrente. Oggi a 89 anni “vecchissima” mi augurano la morte, perdono tempo, è probabile che mi succeda qualcosa presto, ho capito come potessi dare il mio contributo. Sono arrivata tardi alla mia carica di senatrice, cosa potevo fare? Ho scritto e accompagno un disegno di legge contro le parole dell’odio. Mi auguro che questo piccolo progetto vada avanti perché le sentiamo continuamente anche per un sorpasso, alle riunioni condominiali. È il tempo dell’odio: dalle parole si passa ai fatti. Quando, nonna di tre nipoti, parlo ai ragazzi, raccomando, di non essere indifferenti: la logica del “non sono fatti miei”, è di una gravità enorme. Chi grida più forte prende il potere, gli indifferenti si lasciano andare, poi è tardi per scegliere. Il mio compagno di vita, orgogliosamente pesarese, ha scelto in Grecia, disarmato, l’8 settembre, di essere deportato in Germania: 650 mila soldati scelsero come lui di non aderire alla Repubblica sociale di Salò, finendo nei campi di detenzione, più odiati e vessati degli altri prigionieri. Quando tornarono a Pesaro incontrarono degli amici con cui erano cresciuti, avevano frequentato le stesse scuole e spiagge, che avevano fatto una scelta diversa, erano stati su due fronti: ci volle tempo per riabbracciarsi. Un dolore terribile reciproco. La vecchiaia, però fa spegnere la passione, si fa un bilancio e si è forti. Si sceglie l’amicizia rispetto all’odio. Questa è la liberazione che auguro: la liberazione dall’odio.”
Ho provato a non perdere una parola, ho scritto come in tranche quella che è una lezione di rispetto, di umanità per chi c’era allora, c’è oggi e ci sarà domani. La voce cristallina di una testimone nell’anima e nella carne della follia prodotta dall’odio suggerisce la cura.
Il sindaco Matteo Ricci raccoglie il testimone, scherza su quella foto insieme alla senatrice, nella quale lui indossa i pantaloni corti, scattata durante un evento dell’estate cittadina : ha avuto un numero elevato di like, a simbolo della necessità di un riferimento che sappia stare tra le persone ad incarnare la propria storia. Ribadendo il rimprovero bonario di quella donna elegantissima, per la mise poco istituzionale di quella immagine, va alla conclusione di un impegno che resta vivo nel difendere, come istituzioni, il valore della memoria, della pace, della libertà, basi della democrazia contro ogni tentativo di coprire e mistificare con violento e opportunistico oblio.
Viola ha ripreso a chiacchierare con la nonna, mentre sale sul palco anche il rappresentante della comunità cristiana per una preghiera di suffragio, insieme ad un gruppo di bambini che, seppur imbarazzati, regalano una prospettiva diversa. L’uomo con gli occhi azzurri osserva con dolcezza i piccoli lettori. Alla fine però è la Bella Ciao intonata dalla banda che unisce in un coro silenzioso: nonni, nipoti, genitori, partigiani, rappresentanti istituzionali, ragazzi.
Non sono riuscita a raggiungere chi ha rappresentato, per me, insieme alla senatrice Segre il senso di questa giornata. Scrivo qui quanto avrei voluto dirgli, forse solo una parola: grazie, anche per la forza espressa in questo pomeriggio di pioggia nel quale ha dimostrato chi ci ha permesso di viverne l’emozione e l’energia, con la fiera dolcezza di uno sguardo limpido.
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