Perché ritengo che lo spot della campagna di sensibilizzazione contro l’eutanasia di Pro Vita e Famiglia Onlus spaventi, inquieti e possa essere dannoso per chi ama, veramente, la vita propria e quella degli altri.
L’ho guardato più volte e ascoltato, incredula. Lo segnalava un’amica, Simona Berterame giornalista attenta, osservatrice acuta e sensibile della realtà. E’ uno spot contro l’eutanasia realizzato dalla Onlus Pro vita e Famiglia. Non vorrei fare pubblicità ad un prodotto di comunicazione tanto angoscioso e insensato, ma non penso si possa tacere sulle modalità di divulgazione di messaggi pericolosi, portata avanti da chi si dichiara a fianco di chi non ha voce per difendersi.
Ci sono diversi protagonisti, ognuno vittima di un dolore, tra loro imparagonabile e in questo, già nei fatti, giudicato. La mamma depressa cronica, il figlio bullizzato, la sorella anoressica, il padre licenziato, la nonna malata di cancro. Non è casuale che anche nella sfortuna si rappresenti una famiglia canonica, certo si teme per il nonno non citato, potrebbe essere l’angelo sterminatore che li guarda dall’alto. Cosa li accomuna, oltre al fatto di vivere all’interno dello stesso triste nucleo senza speranza? Tutti potrebbero decidere di morire per non affrontare la sofferenza!
“Li facciamo morire?” E’ la domanda che appare sullo schermo nero dopo aver chiesto a chi guarda come si comporterebbe se fossero la loro madre, il padre, il figlio. Segue l’invito ad eliminare la sofferenza e non il sofferente. Fa paura! Raggela la banalizzazione del dolore e di chi lo prova.
Chi difende la vita prima ancora della nascita ci tiene a dimostrare come si possa decidere di finirla “ perchè non si è compresi, malati, disperati, soli, inadeguati.”
La malattia viene confusa in mezzo, qualora chi finora ha combattuto per la dignità dei malati a scegliere di lasciare questo mondo non privi di coscienza e della minima autonomia tra atroci sofferenze, possa essere confuso tra chi incita al suicidio la ballerina che si sente discriminata per il peso o il ragazzo deriso a scuola.
Le associazioni che si battono da anni per il riconoscimento dell’eutanasia legale vogliono garantire il diritto a scegliere come morire quando si è ancora coscienti per evitare che, come accade ora in Italia, si debba cambiare paese per farlo o peggio assegnare a chi ci ama e ci aiuta ad andarcene in serenità, il ruolo di assassino. Ho guardato gli spot che ricordano come sia necessario arrivare a discutere seriamente di questi temi in Parlamento (non paia un ossimoro): non ci sono parole di odio, allusioni, banalità, estremismi, ma una pacata richiesta di dignità per la vita e per la morte.
Non so perchè la Onlus promuova proprio in questo momento la sua campagna shock, mi auguro che nessuno la utilizzi come strumento politico, per rispetto a quelle stesse persone di cui si usa la sofferenza nello spot.
Chi difende il senso profondo della vita non prende in giro chi soffre, ma è loro accanto, supporta senza giudicare, dove possibile prova ad aiutare, ma quando non si può più, accompagna in una scelta dignitosa chi, non per forza un parente o marito e moglie di sesso diverso, ha scelto di amare.
Il 19 settembre a Roma ci sarà una manifestazione organizzata dall’Associazione Luca Coscioni per chiedere che si risponda alle centinaia di migliaia di cittadini che hanno firmato perchè l’eutanasia diventi legale anche nel nostro paese. Nel video che la presenta parla Marco Cappato, si vede lo sguardo dolce di Mina Welby, non si allude, ma si informa.
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