“La morte è un evento della vita, non bisogna avere paura: chi crede, sa che troverà il paradiso; per chi non lo cerca, c’è la memoria. Noi proviamo a ricostruirla a partire dalle lapidi dei cimiteri, specchio delle città dei vivi.”
L’Antologia Palatina, immensa raccolta di epigrammi greci, suggerì, agli inizi del 1900, al poeta americano Edgar Lee Masters, di indagare l’anima dei suoi contemporanei, raccontandone la vita sotto forma di epitaffi. L’Antologia di Spoon River ha narrato l’America come pochi altri poemi, dimostrando quanto la morte, intesa come sintesi finale del percorso terreno, sia il riflesso più fedele della realtà delle persone. Elisabetta Cacioppo e Massimo Tafi hanno fatto loro questo precetto. Amanti delle suggestioni evocate dai cimiteri, ricostruiscono storie, partendo dalle lapidi che li incuriosiscono maggiormente. Ogni tomba è per loro un rimando a aneddoti privati o fatti di cronaca, in grado di informare su costumi, usanze e stati d’animo propri dell’epoca, nel quale è vissuto il personaggio a cui appartiene. Hanno utilizzato un verso dei Sepolcri “E serbi un sasso il nome” per indicare la pagina Facebook, con oltre 5000 contatti, nella quale, da due anni, postano il loro archivio di ricerche per parole e foto. Stesso titolo ha il libro, pubblicato da Pentagora, già ordinabile nel sito della casa editrice, in libreria dal 15 novembre. Ringrazio l’amico Pier Paolo Mocci per avermi segnalato questa coppia. Degni di un film dal black humor inglese, meriterebbero una cattedra universitaria per un lavoro prezioso che va ad esorcizzare la morte, rendendola racconto di vita. La loro traccia, così ricca di amore per la storia, l’arte e la conoscenza del prossimo, la racconta Elisabetta, con tutti gli aggettivi necessari, alcuni sorprendenti.
La traccia: la storia dalle lapidi dei cimiteri.
“Siamo una coppia: ci siamo trovati anche in questa insolita passione. Ci conosciamo da 20 anni, ma siamo insieme da 7. Massimo ha un’agenzia di comunicazione e ama la storia; io lavoro in un ufficio legale, amo la storia e la fotografia. Siamo entrambi di Varese: entrambi consideriamo i cimiteri lo specchio della città dei vivi. Tutto è cominciato da una lapide in cui ci siamo imbattuti anni fa. Eravamo andati nel bellissimo cimitero di Morcote che si affaccia sul Lago di Lugano. Passeggiando, ci ha colpito una tomba di famiglia abbandonata. Siamo entrati nella cappella e letto l’epigrafe: “Giorgio Fossati, perito il 26 febbraio del 1886, nella Miseranda Catastrofe che sconvolse tutta Milano.”
“Ci siamo messi a cercare su Google per capire quale evento tragico si evocasse, ma non è emerso nulla. Siamo andati allora in emeroteca alla Sormani, la biblioteca centrale di Milano. Ci si è aperto un mondo di nuove conoscenze, proprio grazie alle parole dei giornali dell’epoca che sono come un romanzo: i giornalisti erano scrittori della cronaca del tempo. Abbiamo scoperto la durata e l’importanza dei festeggiamenti del Carnevale a Milano. Rintracciando la data, è emersa la notizia. Giorgio Fossati, ragazzo appartenente ad una delle famiglie dell’alta borghesia milanese, celebri architetti, mentre passeggiava nella notte con un suo amico altrettanto blasonato, ebbri dopo i bagordi delle feste, era caduto dal mezzanino del Savini ( lo storico ristorante nella Galleria Vittorio Emanuele II). Era praticamente una storia da cronache locali. Se però non fossimo andati a indagare non avremmo scoperto le usanze del periodo, l’importanza data a determinati fatti e personaggi e poi che il Savini fosse originario di Varese.”
Dalla pietra ai social
“Abbiamo pensato di scriverla per tenerne memoria. Avevamo anche altre due storie, ricavate da altre lapidi. Massimo ha pensato: “proviamo a metterle su Facebook.” Io ero un po’ dubbiosa, ma perchè lo sono sempre. Due anni fa, in questo stesso periodo, verso la fine di ottobre, abbiamo aperto la pagina. In maniera totalmente inaspettata, a maggio, la Lipperini di Repubblica, ci ha fatto un articolo su Robinson della Domenica, inserendoci nel “buono della rete”. Ci ha paragonato addirittura alla narrativa di Emmanuel Carrère. In poco tempo abbiamo raggiunto un numero molto alto di contatti. Cerchiamo di non deluderli, pubblicando almeno due storie a settimana. Abbiamo un buon archivio.”
“Non è un lavoro breve e semplice quello che si sintetizza nei nostri post. Parte dalle nostre periodiche visite ai cimiteri: ne visitiamo uno nuovo almeno ogni due settimane. Cerchiamo l’epitaffio che ci colpisce di più. Trascriviamo, fotografiamo e inizia la ricerca. Ci muoviamo nel contesto, chiediamo alla perpetua, al bar, dalla strada poi passiamo ad emeroteche ed archivi. A volte siamo facilitati, come grazie al prezioso lavoro della Regione Piemonte che consente di avere l’emeroteca online, con quotidiani sin dalla metà del 1800: possiamo lavorare comodamente dalle nostre scrivanie. Ci sono invece casi per cui impieghiamo molto tempo. Per ricostruire la storia di Maria Beruccini, ci abbiamo messo 4 anni: abbiamo consegnato all’editore, scrivendo le ultime righe che la riguardavano. Spesso capita, però, ed è l’aspetto che ci colpisce e stimola di più ad andare avanti, di intercettare il sostegno nell’indagine da parte delle persone del luogo: amici, conoscenti, chi ha sentito parlare di quella vicenda o ci indirizza a chi può saperne. Abbiamo lettere di chi ci ha scritto dopo mesi, aggiungendo particolari preziosi alle nostre storie.“
L’interesse dopo la diffidenza
“Tra la gente provochiamo l’empatia sulla memoria.”
“All’inizio ci guardano con sospetto. Superati gli inevitabili scongiuri, suscitiamo qualche perplessità, anche negli amici, soprattutto per l’utilizzo che facciamo degli aggettivi legati al nostro interesse, “tomba meravigliosa, lapide emozionante, cimitero delizioso”, ma poi, inevitabilmente, si attiva l’interesse. “Avete poi scoperto come è finita la storia di quella donna morta a…” Succede che nelle nostre telefonate o cene, si parta da una domanda di questo tipo, per poi conversare e perdersi negli intrecci che si dipanano da una nostra ricerca.”
“Negli anni abbiamo anche una nostra piccola geografia della “morte” in Italia: dal Nord a Roma fino a Napoli. Eravamo curiosi di capire come si morisse in Toscana, si vive così bene, mentre abbiamo scoperto un modo grazioso di raccontare i defunti nelle lapidi della Liguria. Nella capitale, l’acattolico è una Treccani del culto dei morti. La storia della lapide più recente che abbiamo raccontato, viene proprio da qui. Eravamo andati sulla tomba di Gramsci, abbiamo notato che vicino c’era un gruppo di persone riunite, mangiavano e intonavano un canto. La lingua sulla lapide era araba. Abbiamo scoperto che c’è sepolto Mohammed Hossein Naghdi, leader della resistenza iraniana, assassinato a Roma nel 1993.”
“Ci sono anche tombe con ricordi che possono far sorridere. Penso a quella di Mauro Brancati nel cimitero di Comabbio sul Lago Maggiore, questo il suo epitaffio: “uomo di grandi meriti, perchè molto lavorò senza averne voglia”. Mi ricordo l’emozione, sempre nello stesso cimitero, davanti alla tomba collettiva che ricordava la barca inghiottita dal lago. Ad Oropa in Piemonte abbiamo trovato invece la storia della “Mutandara”: signora morta nel 1914 a più di 80 anni, dopo aver portato avanti, da sola, un’azienda di biancheria intima, deceduta sul posto di lavoro. Sulla sua lapide si leggono i ringraziamenti “alla sua famiglia e ai suoi lavoranti.”
Il libro
“Ne abbiamo di storie: a partire dall’Unità d’Italia, con quella di un garibaldino, morto in una rissa, scatenata contro chi aveva strappato un manifesto di Mazzini, Garibaldi scrisse parole bellissime per lui. Personaggi comuni che ci hanno lasciato tracce importanti. Certo, non ci aspettavamo che a gennaio di quest’anno ci contattasse la casa editrice Pentagora per farne un libro. Ci saranno 70 racconti di cui tre inediti, ne abbiamo dovuti togliere 20: è stata come separarsi da un parente. “E serbi un sasso il nome” sarà in libreria dal 15 novembre. E’ il modo attraverso il quale proseguiamo a suggerire una strategia di elaborazione del lutto. Non siamo gli unici. L’8 novembre apriamo la serata organizzata, a Varese, da Taffo Funeral services.”
“Il nostro lavoro ovviamente continua. Ci piacerebbe che i cimiteri si vivessero in maniera diversa, come luoghi di riflessione, di pensiero e anche di ricerca storica. Il Monumentale di Milano e il Verano di Roma sono delle Università. Siamo stati a visitarne in Germania, dove è stato spiazzante trovare le tante tombe dei soldati nemici in guerra, uguali a quelle dei nostri, quasi a realizzare una pace post mortem. Abbiamo passeggiato nei lussureggianti giardini dei cimiteri francesi dove ci si incontra per chiacchierare. Pensiamo, però, di rimanere in Italia nel percorso per capire la realtà dei vivi attraverso la memoria dei morti.”
La traccia volante: “che bell’inganno sei anima mia
e che grande il mio tempo che bella compagnia.” Da Anime Salve di Fabrizio De Andrè.
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