“Un bambino, ogni bambino, bisognerebbe accettarlo come un fatto nuovo, con il quale il mondo ricomincia ogni volta da capo.” Le parole di Gianni Rodari, una traccia da alzare, a volume massimo, nel silenzio.
Sono arrivati con i passeggini, correndo, tra le braccia delle mamme, tirati dalle mani del papà. In un sabato pomeriggio di sole con l’associazione Il Giardino delle voci, abbiamo dato l’avvio al progetto Nati per la Musica anche qui a Pesaro. Bambini da 0 a 6 anni hanno fatto risuonare i corridoi della scuola, spenta dalle altre voci quotidiane, con grida di richiesta, pianti di fame e di sonno, passi pesanti e risate melodiose. Nell’aula, insieme a Marzia Mancini, musicoterapeuta attenta e sensibile, hanno raggiunto, invece, vette impensabili di silenzio per concentrarsi sulla musica segreta che li lega a coloro che amano e al resto del mondo. Origliando dalla porta, abbiamo sentito la solenne esecuzione dell’inno d’Italia alternarsi ad antiche ninne nanne tradizionali: un’aria della Carmen, per voce di bimba di tre anni, lasciare lo spazio ad un J- ax d’annata con annessi movimenti di un rapper di quattro.
La gioia che si provava solo a spiare quanto stesse accadendo, poteva aprire il sorriso anche al più disincantato e stanco dei padri. Sì, perché ogni bambino porta con sé il mistero della meraviglia, pronto a svelarsi solo a chi ha l’attenzione di non perdere i dettagli di gesti e sguardi. La concessione di un tale tesoro racchiuso in manine piccole che si aprono come ali al minimo accenno di una nota, supera ogni barriera di cinica indifferenza.
E. è stato uno di questi portatori di luce. Due occhi talmente grandi da impedire il buio anche di notte. Ho avvertito la sua famiglia all’ultimo minuto, perché un altro bambino si era ammalato e si era liberato un posto. “Ma certo che veniamo, lo porta il papà!”
Alla fine dell’ora di laboratorio, era così pieno di energia, da percorrere, senza sosta, il tratto ingresso scrivania, scivolo compreso, per tutto il tempo nel quale il padre ha compilato i moduli dell’iscrizione. Ci è voluto un po’ perché E. è affidatario: nato in Libia, in Italia da quasi tre anni. Non siamo preparati a riempire spazi nei quali l’incertezza di date di nascita e la corretta scrittura di una città di origine, dovrebbe essere colmata solo dalla parola amore. Questo il sentimento di questi due genitori che hanno intrapreso una strada non semplice.
“Parla italiano perché è la prima e unica lingua che ha sentito vicino a sé, sta crescendo e va a scuola qui, chissà quando diventerà a tutti gli effetti cittadino di questo paese!”.
Ha sommessamente, senza nessun fine polemico, sottolineato il papà. E. è un bambino come gli altri, forse anche di più perché in quattro anni la sua piccola vita stava rischiando di diventare adulta troppo presto tra privazioni e dolori, ma ha avuto la possibilità di ritornare ad essere come è giusto che fosse: a correre non per scappare.
Mentre ringraziavo questo genitore per un atto che a lui e a sua moglie sarà parso naturale, mi è tornata, nitida nella testa, la notizia che avevo appena sentito in radio, tornando dalla montagna con l’aria calda in auto: Iman, la bimba di un anno e mezzo, morta assiderata tra le braccia del suo papà, sconfitto nell’estremo tentativo di salvarla dal gelo di un campo profughi in Siria. Le organizzazioni umanitarie parlano di milioni di bambini a rischio, scappati dalle loro case, dalle scuole, dalle città sotto assedio di una guerra della quale si parla sempre meno ed ora costretti a superare un inverno che lì è ancora rigido, senza ripari maggiori di tende e coperte. Ho pensato al video di Nawal (quanto coraggio ha quella giovane donna!) insieme ai suoi piccoli amici incontrati lungo la rotta balcanica, intenta a farli giocare e ballare, nonostante anche lì la notte diventi sempre più fredda e buia.
Il mio amico Giancarlo Chirico che dedica ogni giorno a ribadire l’importanza dei sogni e dei pensieri dei bambini per il futuro di tutti, ha riportato una frase di Gianni Rodari: “un bambino, ogni bambino, bisognerebbe accettarlo come un fatto nuovo, con il quale il mondo ricomincia ogni volta da capo.”
Chiusi nei nostri spazi di sicurezza, disattenti anche alla bellezza dei nostri figli, stiamo perdendo troppi frammenti di suoni, di accordi, di una musica che rischia di cessare e di non ricominciare. Quando anche l’ultima lacrima si rifiuterà di far rumore, non ci salverà il silenzio. Il mio grazie va allora ancora più forte a chi come i genitori di E. ha deciso che bisognasse reagire e salvare la melodia unica e armoniosa così prorompente dagli occhi di quel figlio che deve diventare presto italiano, a tutti gli effetti, per far sentire il nostro paese meno sordo e inutile.
Tra dieci giorni ci sarà il secondo appuntamento dei laboratori: la felicità non deve far dimenticare la sofferenza, ma renderci più determinati ad affrontarla. La musica dei bambini ci spinga a farla risuonare senza confini.
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