La pastiera di Rosaria: tradizione e ricordo

“Un dono divino che solo Napoli, da quel tempo lontano e per sempre nei secoli avvenire, ha il privilegio di riprodurre e di condividere anche con il Mondo intero.”

Neapolitan Pastiera with ingredients

Mia nonna Mena si lamentava sempre di non trovare il grano giusto per prepararla come le aveva insegnato la madre, ma ogni anno, una settimana prima di Pasqua, riusciva a preparare almeno cinque pastiere che distribuiva a figli e nipoti. Mio padre dice che quel sapore era unico, anzi è il metro di paragone quando se ne assaggia una fetta: se ricorda lontanamente il gusto della versione Mena, è quasi buona. La pastiera non si può considerare solo un dolce, è tradizione, tramandata nelle famiglie come nelle culture e nella storia del popolo napoletano che ne ha inventato la ricetta e ne detiene i segreti. Oggi nel post della mia amica Rosaria Guarracino ho sentito quasi lo stesso profumo e immaginato il sapore della protagonista delle tavole pasquali di mia nonna Mena. La leggenda che Rosaria, ambasciatrice della cultura napoletana, ha ripreso per illustrare la foto del suo capolavoro culinario, è una traccia da condividere per portare nelle case di chi legge la dolcezza di chi non c’è più o è lontano, attraverso la bontà e il calore del ricordo.

 

pastiera napoli 2“Si dice che ci sia il tracciato di Napoli antica sul dolce più popolare della città. La decorazione a “grata” di pasta frolla sulla pastiera, in numero di sette strisce complessive (quattro in un senso e tre nel senso trasversale), a croce greca, formano la “planimetria” di Neapolis così come ancora oggi si presenta con i tre Decumani e con i Cardini che li attraversano in senso trasversale. Rappresentano così, in maniera simbolica, l’offerta alla Sirena Parthenope e agli Dei, dell’intera Città stessa, come sublime e collettivo atto di devozione.”

La leggenda

“Molto probabilmente la pastiera era un dolce sacrificale come narra un’antica leggenda, il cui ricordo è ancora vivo. Si racconta che la Sirena Parthenope, ad ogni Primavera si manifestasse al popolo di Neapolis, allietandolo con la sua voce incantatrice. Una volta il canto della Sirena fu così soave e generoso di emozioni che i Neapolitani la vollero ringraziare, offrendole quanto di più prezioso essi possedessero.

Sette fra le più belle giovani della Città, in rappresentanza delle sette principali “fratrie”, ebbero l’incarico di portare i doni alla bellissima Parthenope:

1) la farina, a rappresentare la forza e l’abbondanza della campagna;
2) la ricotta, omaggio dei pastori e delle pecore che pascolavano libere nei campi;
3) le uova, sinonimo di vita che sempre si rinnova;
4) il grano tenero, bollito nel latte come simbolo dorato della vita germogliante e rafforzato dal primo alimento della vita;
5) l’acqua di fiori d’arancio, come il regalo più profumato della Terra;
6) le spezie, lascito dei popoli più diversi che a Neapolis sempre trovano accoglienza;
7) lo zucchero, per esprimere la dolcezza che il canto di Parthenope racchiude e che dona all’Universo.

La Sirena Parthenope, felice di questi doni, li portò al cospetto degli Dei per mostrare loro la Generosità e l’Amore del popolo napoletano. Questi, inebriati essi stessi dal canto soave della Sirena, mescolarono i doni e crearono la Pastiera!

“Un dono divino che solo Napoli, da quel tempo lontano e per sempre nei secoli avvenire, ha il privilegio di riprodurre e di condividere anche con il Mondo intero! In epoca greco-romana la Pastiera era, dunque, l’offerta sacrificale, simbolo di rinascita, che le sacerdotesse di Cerere, durante i riti primaverili, portavano in processione insieme alle uova ed ai fasci di grano, tutti simboli di vita nascente.”

“Percorrendo Via San Gregorio Armeno, sul lato destro salendo la strada, a fianco ad una delle famose botteghe artigiane, un attento osservatore può notare, inglobato in un muro perimetrale, un blocco marmoreo raffigurante proprio una sacerdotessa di Cerere con in mano un fascio di grano: faceva parte di un più esteso bassorilievo rappresentante la processione rituale. Una “riscoperta” di questo classico dolce pasquale, si dice dovuta alle suore di San Gregorio Armeno che nel loro monastero, fondato nello stesso luogo dove sorse il Tempio di Cerere, ricrearono la pastiera con gli attuali ingredienti: farina, ricotta, grano, uova, l’acqua di mille fiori (in origine fatto solo con le essenze delle arance coltivate nel giardino del monastero), il cedro e le spezie aromatiche che esse portarono dal lontano Oriente, dal quale fuggirono a seguito delle persecuzioni religiose.”

“Sempre sette, dunque gli ingredienti, come nell’antica Neapolis e sette, pertanto, le striscioline di pasta frolla che dovrebbero essere poste sulla pastiera classica ed originale per completare e conservarne l’antico aspetto simbolico sacrale. Tra sacro e profano, sette è anche il numero delle chiese che si dovevano visitare prima di Pasqua. Il giovedì santo, dopo la lavanda dei piedi, c’era l’uso per le signore napoletane di mettere il vestito buono, quello lungo, primaverile e andare a fare il giro dei “sepolcri”, gli altari in cui veniva riposto il sacramento, ad indicare il Cristo morto. Gli abiti frusciavano, strisciando per le strada, da cui l’origine della locuzione “fare lo struscio. Per adempiere bene al sacro rito si doveva però finire il “giro delle sette chiese.”

“Per chi, però, proprio non riesce ad arrivare al numero fatidico per decorare la propria pastiera, c’è il modo di rifarsi a ciò che accadde nel sec. XVI. La città si allargò al di fuori delle antiche mura perimetrali delle origini: le strisce di pasta frolla cambiarono la combinazione geometrica (da croce greca) assumendo la caratteristica disposizione obliqua con la divisione dello spazio superficiale per rombi, espressione più tipica dell’epoca barocca. Oggi è questa la decorazione più diffusa, arrivando a “superare” il canonico e sacro numero sette delle origini.”

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