Per Nikki

“Non c’è la parola fine per la sua storia, ha deciso lei di non metterla, non concederla nemmeno al cancro: Nikki resta nell’impegno delle sue compagne di Punto D e delle Democratiche; nella gratitudine di tutti coloro a cui ha teso una mano; nell’amore di Paolo; nel ricordo unico e prezioso dei suoi meravigliosi genitori e di suo fratello; nella luce di un sorriso donato sempre e comunque, anche sotto la mascherina, ai suoi amici; nella prospettiva determinata della sua Melania e in quel pugno chiuso con il quale ha costruito tutto questo per farlo rimanere senza tempo.”

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“Vale, non ti offendere: è bello quello che hai scritto, ma non è andata proprio così. Non fraintendermi, non voglio fare l’eroina, ma cerco di non provare sconforto, non ho pianto e non piango quasi mai: vado avanti, seguendo quello che mi dicono i medici.”

Tutto era pieno di un significato preciso per Nikki. Quel punto alla fine della sua annotazione a commento della bozza del primo capitolo del libro scritto insieme, era netta: ha avuto paura, si è arrabbiata, ma non ha mai perso la determinazione. Il primo editore a cui inviai il testo completo, obiettò che sembrava poco credibile la mancanza di disperazione nelle pagine. Nikki ci fece una risata e commentò che la sua storia era quella, soprattutto nei toni, quindi l’avremmo dovuta pubblicare così.

Era il 2014, un autunno difficile: Luca era nato da poco, mi avviavo verso il licenziamento dal lavoro con il corollario di delusioni e incertezze che ne conseguivano. Per non pensare, mi ritrovavo spesso sui social: mi appassionai ai racconti di Nikki. Conosciuta durante gli anni dell’impegno antimafia per la sua attività allo sportello anti racket di Ostia, era diventata un riferimento per il mio giornale online su Roma, per le iniziative contro la violenza alle donne, organizzate con Punto D. Era paradossale: mi sosteneva leggere della sua malattia, mostrata senza infingimenti, con un’ironia sorprendente, mai volta a cercare compassione, ma tesa a condividere con i compagni, una parola fondamentale nel suo vocabolario dei sentimenti. Con pudore le scrissi se avesse voglia di raccogliere la sua testimonianza, schietta e preziosa, in un libro. Mi rispose che un po’ si vergognava per una simile attenzione, ma accettò lo stesso di incontrarci. Una mattina in un bar vicino al San Camillo, arrivò come al solito elegante e solare, scherzando sull’impossibilità di brindare con un bicchiere di vino alla fine della prima parte della sua battaglia: era alle prese con le sedute di fisioterapia del respiro dopo il primo intervento. Chiacchierammo per un’ora, ci mettemmo anche riflessioni sul partito e sui problemi comuni con i figli.

“Vabbè Vale, se proprio vuoi, ci proviamo! Tu mi mandi le domande, io ti rispondo e poi sistemiamo insieme. Non sarò tanto puntuale, ma facciamolo!”

Per tre mesi siamo state precisissime, poi ci siamo fermate: prima io, bloccata anche nel formulare una domanda; poi lei, frenata dalla stanchezza e soprattutto presa dai suoi altri impegni, in particolare quelli con Melania che doveva godere di ogni energia della sua mamma speciale.

Nell’estate del 2015 il libro era finito ed io mi preparavo a lasciare Roma. Mandai la bozza ad alcuni editori con la delega fiduciosa di Nikki, da compagna ortodossa mi ripeteva: “non è il mio ambito, quindi non mi intrometto, fai tu, se serve una mano, intervengo.”

Eravamo quasi pronte a pubblicare il nostro e book quando mi contattò Danilo Bultrini della casa editrice Alter ego di Viterbo. Dedicarono una grande cura alle nostre parole. Ricordo l’emozione di Nikki per quella copertina nella quale vedeva lei e Melania cavalcare libere la tigre. Era la sua traccia potente, necessaria per dimostrare agli altri che si può domare il destino anche più complicato, come quello segnato all’improvviso da una malattia che ne cambia il corso.

nikki libroLei era la compagna Guelfi che ascoltava, sosteneva e costruiva soluzioni: nelle nostre 97 pagine si era ritrovata confermata nella sua natura, lasciata intatta persino dal cancro che non voleva si chiamasse con altre perifrasi o espressioni retoriche.

Purtroppo poco prima dell’uscita ufficiale e alla Fiera Più libri più liberi, dovette affrontare un altro colpo. Fino all’ultimo sperò che le spostassero la seconda operazione, consapevole che non avrebbe potuto anteporre nulla alla sua guarigione. Mi intrufolai nella sua stanza con il nostro libricino stretto tra le mani, mi guidò l’istinto e riuscii a portarglielo. Scherzammo, pare l’ultima azione possibile in un reparto di chirurgia, su quello che poteva mangiare e sul mio affanno dopo le rampe di scale. Mi promise che avremmo fatto un’altra presentazione insieme, anzi si lanciò nell’organizzazione di un calendario di date: “appena ce la faccio, contatto le compagne di Roma, ma anche di Milano o del Veneto e lo facciamo girare.”

Riuscimmo a farne una sola, ma nella sua amata Ostia, alla Festa de l’Unità. Qualche giorno fa Facebook mi ha ricordato l’evento con le foto di quel pomeriggio torrido durante il quale ci commuovemmo, ma sorridemmo anche tutti insieme con le nostre famiglie, gli amici e i tanti compagni che vollero ringraziare Nikki per il suo ennesimo atto di generosità, offrendo la sua storia come veicolo di forza e di speranza.

A modo nostro non ci siamo più lasciate, impossibile. Lei seguiva me, io seguivo lei. Fu orgogliosa del pezzo che ci dedicarono su Noi donne, la rivista che da piccola dominava sul comodino della sua adorata nonna e accolse con gioia la vittoria del Premio “La Donna si Racconta”, assegnato a Pesaro dove è rimasta sospesa la sua promessa di venirmi a trovare. Spesso ribadiva che apprezzava la mia scelta di lasciare Roma, ma le dispiaceva che non potessi partecipare alle sue iniziative con le Democratiche, un altro dei progetti a cui si dedicava, perché si sentiva viva nella lotta e avrebbe affrontato un avversario politico, abbattendolo, anche con la flebo nel braccio.

L’ultima volta che ci siamo sentite, le ho chiesto di raccontarmi, per il blog, la sua quarantena. Partiva in salita anche questa avventura, come sempre mi aiutò a lasciare un messaggio netto per invitare alla responsabilità collettiva a difesa dei più deboli. La compagna Nikki, portavoce senza mai ribadirlo o chiederne riconoscimenti, di schiere di invisibili: dalle vittime di usura, alle donne maltrattate, ai malati più fragili. Il 15 giugno, giorno della presentazione della tesina di Melania, le ho mandato il mio in bocca al lupo. Leggere la sua risposta mi fa respirare forte. Era fiera perché la sua ragazza, cresciuta preparando striscioni e partecipando consapevole alle iniziative di Punto D, aveva dedicato il suo lavoro al tema del Femminicidio.

Ero felice di saperla presa dall’estate nel mare che adorava ad ogni latitudine, pronta a partire per un viaggio con i suoi due amori. La sua energia allegra tornava a confortarmi in un momento di mia difficoltà. Al messaggio di una comune amica sabato sera, ho preferito, per un po’, non credere. Ne sono arrivati altri, mi ha chiamato la dolce Esmeralda, riuscendo finalmente a farmi condividere il dolore, ma non si ordinavano i pensieri. Ci ho provato, sentendo la necessità di trovare la forza di ricordare cosa abbia rappresentato per me colei per cui nessun “ti voglio bene” era scontato.

nikki ultimaAvrei voluto raccontarle ancora tante cose e ascoltarne da lei. Aveva ripreso a scrivere: “poi ti faccio leggere e magari mi ridai una mano a sistemare la seconda Zampata.” Non c’è la parola fine per la sua storia, ha deciso lei di non metterla, non concederla nemmeno al cancro: Nikki resta nell’impegno delle sue compagne di Punto D e delle Democratiche; nella gratitudine di tutti coloro a cui ha teso una mano; nell’amore di Paolo; nel ricordo unico e prezioso dei suoi meravigliosi genitori e di suo fratello; nella luce di un sorriso donato sempre e comunque, anche sotto la mascherina, ai suoi amici; nella prospettiva determinata della sua Melania e in quel pugno chiuso con il quale ha costruito tutto questo per farlo rimanere senza tempo.

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