“Ho detto ai ragazzi: “vi autorizzo a farmi urlare “Basta!”, fino a quando proprio non ne posso più della vostra confusione che è ripresa reale alla vita.” Nella gioia del ritorno a scuola mi sembra squisito anche l’orribile caffè della macchinetta.”

Essere adolescenti, dal 2019 ad oggi, ha perso un tassello fondamentale: la condivisione dei banchi, delle ansie da interrogazione, dei successi e dei timori per verifiche e voti, dell’allegria della ricreazione. Ha assegnato loro un segno distintivo dell’era digitale: la Didattica a distanza. Lentamente la maggior parte degli istituti italiani si sono dotati dei mezzi per raggiungere alunne e alunni nelle stanze, in cucina, in spazi stretti o ampi saloni, con il segnale perfetto o ad intermittenza. I professori si sono aggiornati, anche i più restii, si sono adeguati a dialoghi veicolati da schermo e tastiera. La considerazione mediatica sui ragazzi è passata dalla superficiale immagine di sdraiati alle evenienze ad eroi civili per la resistenza alla perdita della convivialità; sugli insegnanti si sono concentrati strali di genitori e altre categorie professionali per dipingerli come passivi esecutori in circostanze che pure garantivano stipendi e comodità. Rare le eccezioni che ne hanno evidenziato gli sforzi per continuare a offrire, proprio ad una generazione di possibili asociali, la quotidianità, il presente e soprattutto la prospettiva perduta. Ieri, finalmente, in alcune regioni, tra cui le Marche, gli studenti delle superiori sono tornati in classe, a tentare di riprendersi l’eccezionale normalità. Il paradosso: sono felici di stare a scuola insieme ai loro professori. Una sensazione di gioia condivisa che illumina le parole del racconto di Roberta Magnabosco, docente di italiano e storia nel Liceo Artistico Ferruccio Mengaroni di Pesaro, uno tra gli istituti più antichi della città e più aperti al dialogo costante con il territorio. La sua traccia prova a dimostrare quanto la cultura, respirata e vissuta insieme, aiuti a superare le asperità, donandoci semplici e preziosi esempi di realtà da recuperare.
La traccia: il ritorno a scuola, in presenza.

“Il Mengaroni è stata la mia scuola come alunna: volevo tornarci da insegnante. Obiettivo raggiunto nel 2009, da quando ho iniziato ad essere la prof. di italiano e storia. Amo il mio lavoro, stare con ragazze e ragazzi, ognuno diverso, osservarli, ascoltare dubbi e reazioni, condividere. Ho cercato anche in questi lunghi mesi di Didattica a distanza di mantenere questo principio.”
“E’ stato un periodo faticoso anche per noi professori. Non abbiamo avuto più orari, si è perso il confine tra vita professionale e dimensione privata. Potevano arrivarci mail di compiti da correggere, domande da risolvere, la mattina come la sera, con la sensazione di rimanere comunque sospesi. Sempre in servizio, ma difficilmente appagati dall’idea di aver concluso un passaggio come accade dopo lezioni intense in classe o verifiche dal vivo. In DAD si ha a che fare con delle facce spesso stanche, annoiate o peggio con le letterine dietro cui si suppone ci siano i ragazzi. Per quanto ci si ingegni, non si riesce ad avere il polso della classe. Le lezioni io le baso sulle curiosità, gli sguardi, le reazioni: gli stessi argomenti possono cambiare a seconda dei miei interlocutori. Non si può ragionare, seguendo la logica dell’imbuto in cui far passare argomenti, per questo si fa il triplo della fatica a cercare di instaurare uno scambio attraverso lo schermo. Ci sono poi le situazioni problematiche dei singoli ragazzi: noi abbiamo dato la possibilità a chi proprio non avesse le condizioni minime per poter accedere alla DAD, di venire in classe. Ho fatto lezioni con un alunno in aula e il resto dei compagni da casa.”

“Ho sentito e seguito le polemiche che tendevano a descrivere gli insegnanti come privilegiati che potevano lavorare in tutta tranquillità. Chi fa questo mestiere con passione non ha mai goduto di alcun beneficio da questa situazione. Non è stata una pacchia decidere come valutare, come organizzare gli argomenti, come verificare l’apprendimento di chi riesce a seguire e chi non. Nell’incertezza ci siamo dedicati senza limiti, dando la disponibilità a rispondere anche durante i giorni di festa o a notte inoltrata.”
“Ho ricevuto l’ulteriore conferma di come il tempo della scuola sia fondamentale per scandire le giornate dei ragazzi: perderlo, li disorienta. Noi abbiamo garantito che almeno potessero proseguire nei laboratori, per noi cardine della didattica. Ogni 15 giorni avevano a disposizione, in sicurezza, questi spazi per portare avanti una parte dei progetti.”

“Nonostante ciò, appena abbiamo saputo che si poteva tornare in classe, insieme, ci siamo emozionati. Eccitati, sia noi professori, sia loro alunni: come se fossimo al primo giorno di scuola. Abbiamo deciso di far tornare le classi intere in presenza, con una rotazione: tre giorni metà del Liceo, l’altra in DAD e viceversa. Abbiamo spazi grandi, possiamo farlo e non vedevamo l’ora. Dopo aver discusso anche tra noi insegnanti nel collegio docenti abbiamo concluso che per i ragazzi sia importante immaginare di non avere davanti un’intera settimana scolastica da casa, ma pensare che si possa spezzare, alternando giornate in presenza.”
“Ho detto ai ragazzi vi autorizzo a farmi urlare “Basta!”, fino a quando proprio non ne posso più della vostra confusione che è ripresa reale alla vita. Nella prima, sono stati più moderati nel raccogliere l’invito, ma mi hanno dedicato un’attenzione estrema. In terza, l’imperativo, è stato recepito. Abbiamo trascorso ore meravigliose all’insegna del: “Chiacchieriamo, facciamo battute, ridiamo, ritroviamoci!”
“Ha prevalso, però, la voglia di programmare. Hanno manifestato il bisogno di sapere che cosa accadrà durante la settimana: quali lezioni riprenderemo; quali film vedremo; a quali progetti daremo seguito insieme. Vogliono stare a scuola. Ho vissuto direttamente la frustrazione di mio figlio che frequenta la quinta liceo nel vedere uscire i fratelli più piccoli, mentre lui rimaneva a casa, davanti al suo computer.”

“In tanti nel nostro liceo arrivano da Fano o dalla Romagna, prendono pullman e treni: nessuno si è lamentato dei trasporti. E’ normale ci sia qualcuno che deve riprendere il via, ma sono sembrati quasi tutti felici e nessuno preso dal timore che si possa fermare di nuovo la normalità. Noi insegnanti siamo più spaventati da eventuali chiusure ulteriori, anche se questi giorni voglio godermi la gioia del ritorno. Finchè si può, stiamo in classe insieme. Mi sembra squisito anche il caffè della macchinetta, di solito orribile.”

La traccia volante: ”Ragazzi alzate la voce, perché così non vi sento!”
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