“Egoisticamente penso che tutte le esperienze che ho vissuto, mi abbiano restituito il senso dell’esistenza. Arrivano disperati e ti fanno sperare. Grazie a loro. io mi sento di vivere nel futuro, perché è questo il futuro, ed io sono privilegiata perché ci sono già. Ma chi, io? Sì proprio io.”Ad agosto siamo andati una settimana a Catania: è la città di Gian e la amiamo molto anche io e Viola. Luca si è subito affezionato al liotro, agli arancini e alle cartocciate. Nei giorni che abbiamo trascorso con il panorama della scogliera davanti gli occhi, al porto era ferma una nave, nella quale ben altre prospettive si aprivano a chi era a bordo. La Diciotti, la nave militare della Guardia Costiera, bloccata con donne, uomini e bambini in fuga dai propri paesi a cui, ad un passo dalla speranza, veniva negata la possibilità di scendere. Difficile, ma necessario, proprio perché in quel luogo e in quel momento, provare a spiegare ai bambini l’assurdità di quanto stesse accadendo. Ci abbiamo provato andando a trovare Emanuela Pistone all’Orient Experience 4, non solo un ristorante multi etnico, più una casa delle culture dove approdare, certi di trovare l’evidenza sull’improrogabile necessità del dialogo e della convivenza pacifica. Una realtà che per Emanuela, autrice, regista, attrice, anima da decenni di progetti interculturali, è il senso della vita e il motivo per cui lei già vive nel futuro. Dalla diffusione della cultura africana attraverso testi letterari e produzioni teatrali, alla creazione di un’associazione e di una compagnia teatrale, frutto dell’incontro, fino alla condivisione della tavola: una storia di ricerca e di utilizzo di strumenti per realizzare un viaggio che non si può fermare. All’Orient poi si mangiano delle polpettine, kofta, eccezionali.
La traccia: parole, voci, suoni e sapori condivisi
“Il mio amore per la cultura africana si è conclamato a Roma, agli inizi degli anni 90. Lavoravo come aiuto regista nella compagnia della Luna di Nicola Piovani e Vincenzo Cerami, contemporaneamente tenevo un corso di teatro alla Sapienza. Aiutavo gli studenti del professor Riccardo Duranti, grande traduttore che insegnava a Villa Mirafiori, a metter in scena dei testi di autori stranieri. Ero appena uscita sia dall’Università, sia dalla scuola di teatro di Catania, per cui, alla richiesta di insegnare, risposi con il dubbio che mi segue da sempre:
“Ma chi, io?”
“I ragazzi però si fidavano di me, uno di loro in particolare Paolo Maddonni, aveva svolto il servizio civile in Africa, portando indietro un testo di Wole Soyinka. Mi fece così conoscere la genialità del premio Nobel nigeriano, oggi cittadino onorario di Palermo. Mi colpì molto l’ironia della satira della sua “Metamorfosi di Fratel Geronimo.” La mettemmo in scena, scherzando sull’era berlusconiana, allora imperante. Era così acuto che scalzò anche alcuni miei pregiudizi sulla scrittura e la narrazione africana, a cui non mi ero ancora accostata, prima, con molto interesse. L’anno successivo, sempre lo stesso studente, mi portò una raccolta di 42 testi di autori teatrali africani, ordinati con schede molto dettagliate. Fogli battuti a macchina che mi incuriosirono e che conservo ancora. Mi sono innamorata de La Principessa russa di Mia Couto, autore del Mozambico.”
In Sudafrica: bianchi tra i neri
“La scrittura africana è entrata così tra i miei interessi. L’amore per il continente però si è cementato con un viaggio che non poteva lasciare indifferenti. Nel 1994 sono andata in Sudafrica per accompagnare Nicola Piovani a cui era stato commissionato un concerto per celebrare la fine dell’apartheid: per la prima volta musicisti bianchi e neri suonavano insieme. Mi sono trovata nel momento e nel luogo storico nei quali si deve ribadire “io c’ero”. La visita a Soweto, il ghetto dei neri alle porte di Johannesburg mi ha scioccata dalla generale situazione di degrado. Per la prima volta ho provato il disagio di essere bianca per gli sguardi di odio che ci rivolgevano, proprio per il colore della nostra pelle.
Quando sono tornata a Roma, ho cominciato a leggere di più di Africa: all’inizio saggi, anche perché l’argomento è immenso come il continente, con pari differenze, abissali, da una parte all’altra.”
“Contemporaneamente, per 4 anni, abbiamo continuato a mettere in scena testi di autori africani con i miei ragazzi dell’Università. Ci siamo confrontati con palchi diversi: dalla Casa delle Culture di Trastevere ad un Festival della cultura africana per non professionisti. Con la Principessa Russa, per mia grande sorpresa, abbiamo vinto e l’adattamento è stato addirittura pubblicato nella collana dei Copioni legata alla rivista di teatro Istrio. Sono così legata a questo testo che ho proposto di metterlo in scena anche con la Compagnia della Luna. Il ruolo della principessa lo interpretava la bellissima Aisha Cerami. Abbiamo fatto repliche sia a Roma, sia a Catania.”
“Nel 95 ho conosciuto la figura di Ken Saro Wiva che era stato giustiziato proprio in quell’anno, ma che nessuno si filava. Un altro personaggio che segnerà il mio rapporto con l’Africa.”
Con Isola Quassùd a Catania
“Un altro legame è riaffiorato in quegli anni: quello con la mia città, Catania. Nel 97 ho lasciato sia il gruppo dei ragazzi dell’Università, sia la Compagnia della Luna, per andare a lavorare come assistente ed attrice con Armando Pugliese. Eravamo a Roma, ma spesso i nostri spettacoli venivano ospitati allo Stabile di Catania. Sulla strada del possibile ritorno mi ha portato anche l’incontro con un attore di cinema catanese, a Roma, ma nostalgico della Sicilia: Domenico Gennaro che diventerà Mimmo, mio marito.
Continuavo ad essere aiuto regista di grandissimi maestri, ma covavo il dilemma di mettermi per conto mio e dedicarmi direttamente alle mie passioni. Sempre più conclamata quella per la letteratura africana. Nel 2002 – 2003 ho messo in scena degli autori africani alla Festa d’Africa Festival di Daniela Giordano.
Alla fine nel 2005, ho fatto il salto nel buio: torno a casa e fondo Isola Quassùd. Mimmo era con me e mi ha spinto ad occuparmi di ciò in cui credevo. Restava la paura: ero scappata dalla Sicilia appena laureata, cosa tornavo a fare? L’associazione è nata con lo scopo principale di promuovere la conoscenza di autori africani attraverso il teatro o le letture. Eravamo in quattro: due coppie, noi e due amici musicisti, sempre siciliani, ma a Roma.”
Gli esperimenti di incontro teatrali
“Dal 2005 al 2008 abbiamo prodotto spettacoli. In quel periodo il tema dei migranti non era ancora sentito, non c’erano sbarchi. Mi stimolavano però diverse rassegne alternative, organizzate da giovani, tra queste Gesti, ideata da Guglielmo Ferro con cui ho realizzato diverse produzioni. Ho pensato di provare testi africani poco noti, tipo Come cucinarsi il marito all’africana, di Calixthe Beyala, autrice del Togo. Ho portato in scena una babele di lingue, attori africani, professionisti e non, insieme a percussionisti e persino una gallina. Sempre grazie a Guglielmo ho avuto l’opportunità di dirigere la madre, una grandissima attrice, Ida Carrara, ma dovevo trovare il modo di conciliare i miei testi africani con il suo carisma e la sua presenza scenica. Mi sono inventata un A Spasso con Daisy, chiamando Rufin Doh, attore professionista ivoriano che avevo conosciuto quando era andata con i ragazzi dell’Università a Milano. “
“In seguito, ho chiamato, Badou Gueye, un ragazzo che aveva partecipato come comparsa ad una Gerusalemme Liberata realizzata con Pugliese: avevo notato tenesse bene la scena, tanto che lo avevo coinvolto in alcune letture di testi di Ken Saro Wiva. Badou ha portato anche suo fratello Mansur, mentre per gli altri attori ha funzionato il passaparola. “
“Fino al 2008 mi muovevo spesso in questo modo, alternando partecipazioni a festival, sia a Roma, sia a Catania. Poi ho cominciato a preparare anche incontri con autori alla Facoltà di Lingue dove sono stata accolta a braccia aperte. Ho portato Amara Lakhous. Ho ancora il suo primo manoscritto “Le cimici e il pirata” che mi aveva consegnato in una bustina di plastica, a casa di mio fratello, sulla Tuscolana. Oltre ad Amara, tanti altri nomi di amici, come Gabriella Ghermandi, scrittrice e cantante italo etiope che vive a Bologna.”
Dentro o fuori
“Un’attività di coinvolgimento e sensibilizzazione interessante che però non è riuscita a salvarmi da un periodo di crisi. Due anni difficili, ma forse necessari per prendere consapevolezza. Non sapevo quale direzione dare al mio impegno, sentivo di non aver investito completamente e i guadagni erano sempre meno. Dovevo decidere se andare avanti o buttare tutto e, sempre grazie a mio marito, ho capito che era arrivato il momento di osare di più. Ho messo in piedi una sede per l’associazione, mettendoci gli unici soldi che avevamo nella ristrutturazione di un appartamento in centro. Le attività, a questo punto, si sono ampliate, coinvolgendo soprattutto gli studenti stranieri dell’Università con corsi di drammaturgia e fotografia. Mettevamo insieme esperienze dal Pakistan alle Filippine, dal Sudan all’India. Nel 2011 abbiamo organizzato un laboratorio di scrittura insieme, ragazzi italiani e stranieri.”
“La città si è accorta di noi. Siamo stati accolti in un progetto molto importante rivolto a categorie disagiate, tra cui anche gli immigrati, con la durata di due anni, nel corso dei quali dovevamo avviare al lavoro con corsi e laboratori di cucina da estendere anche alla cittadinanza.
Purtroppo si è arenato presto. Si doveva trasformare un magazzino di scarpe in un ristorante etnico dove avrebbero lavorato le 15 persone selezionate per il corso che poi si sarebbero dovute autogestire come cooperativa. Tutto si è fermato abbastanza presto, io, però, avevo seguito le attività di cucina che si erano svolte in uno stabilimento a la Playa. Era il 2013, il 10 agosto, a pochi chilometri da noi è avvenuto il tragico sbarco. Un fatto enorme.”
La vita è bella e liquida
“Una tragedia e per noi l’inizio di un viraggio di rotta. Mentre facevamo il nostro laboratorio con studenti stranieri, ci hanno chiesto di coinvolgere i 10 ragazzi egiziani sopravvissuti al naufragio. Per la prima volta mi trovavo davanti a ragazzini di 15, 16 anni senza alcuna istruzione, che non capivano la nostra lingua e dovevo trovare il modo di interagire. Come sempre, ho usato il mio incipit classico: “ Ma chi, io?”
” All’inizio ero terrorizzata poi, praticamente subito, sono riuscita a coinvolgere colleghi musicisti come Riccardo Insolia che riusciva a comunicare e a far comunicare attraverso la musica.
Perché non provare allora anche con il teatro? Con gli studenti stranieri stavamo provando Life is beautiful. A loro, in possesso degli strumenti ma non dell’esperienza del viaggio che volevo raccontare, ho affiancato un ragazzo, testimone diretto dello sbarco: non aveva le capacità acquisite, ma aveva vissuto tutto sulla sua pelle. Intanto, il 3 ottobre, c’è stato il terribile naufragio di Lampedusa.”
“A dicembre, Catania ha offerto la possibilità di una grande manifestazione “Il Rito della luce” di Antonio Presti: insieme scuole, università, la cittadinanza e diversi artisti. Con il nostro Life is beautiful facevamo le prove nelle stesse aule in cui nel pomeriggio si incontrava il gruppo dei ragazzi migranti. Il destino ha scelto quindi la fusione e la nascita della Liquid Company. Nel nome abbiamo voluto riportare il concetto della liquidità di Bauman con una accezione positiva. Liquid come metafora del mare, ma anche del passaggio naturale e del ricambio che c’è all’interno del nostro gruppo: chi porta la sua esperienza e poi prende altre strade; chi ha studiato e poi torna nel suo paese; i nuovi che arrivano ed entrano.”
“E’ una straordinaria alternanza che sottende anche una fatica di gestione immane. Ogni volta ci troviamo di fronte a situazioni e approcci diversi. Siamo stati invitati con lo spettacolo in Toscana, Roma, Milano, sono state esperienze bellissime, ma tutto sulle nostre spalle, dal noleggio delle auto al coordinamento della messa in scena.”
“Siamo arrivati ad un altro punto di svolta. Abbiamo dato fondo a tutte le nostre energie, anche economiche, ma con gioia ed entusiasmo perché abbiamo visto i risultati. I ragazzi hanno trovato un’altra famiglia in Isola Quassùd: non ci sono mai state le divisioni per etnie. Nella nostra sede, in tanti ci chiedono di festeggiare i 18 anni: una novità per loro, da celebrare nel luogo che sentono più vicino. Nella compagnia si sono ritrovati insieme persone diverse per età, paesi, condizioni sociali: una straordinaria amalgama.”
“Nel 2016 e nel 2017 abbiamo ricevuto un riconoscimento dal Ministero dei Beni Culturali, vincendo il progetto Migrarti che ci ha dato la possibilità di portare avanti progetti più ampi con le scuole e con gli artisti stranieri. Abbiamo avuto maggiore visibilità e potuto usufruire anche dei contributi della Regione Sicilia.
La compagnia lavora, accoglie, forma, sensibilizza, però, a prescindere dalle date nelle quali ci vengono rimborsate le spese: noi andiamo avanti. “
Verso Orient Experience 4
“Mancava solo un’altra idea da far maturare. In questo caso, come negli altri, ci sono tutte le premesse nella nostra storia. Nel 2010 avevamo ospitato nel nostro giardino lo spettacolo di un attore ed alcuni musicisti africani, a cui era seguita una cena etnica. Una serata di grande successo. Nel 2014 l’abbiamo replicata con una performance nostra ed un buffet preparato dai ragazzi della compagnia. Proprio loro mi hanno chiesto: “Perché non continuiamo a cucinare?” Io ho risposto con il mio classico: “Ma chi, io? Siete matti, non ho gli strumenti.” Ovviamente è seguito il mio interesse per capire come poter realizzare anche questo progetto. Ho scoperto in internet l’Home restaurant. Un attimo di incertezza e ci siamo lanciati nell’organizzazione di cene etniche, a gruppi, tutti i venerdì, in sede, dal 2016 al 2018.”
“Un successo da qui l’idea di far diventare questa attività una possibilità concreta professionale, di guadagno e di vita per i ragazzi. Ho visto quanto interesse attirassero e quindi studiato quali esperienze più stabili ci fossero, basate sulla cucina e il dialogo. C’era una realtà interessante a Venezia. Non avevano un sito, quindi ho chiesto l’amicizia su facebook ad Hamed Ahmadi che ha ideato il progetto Orient experience. Messaggi su messaggi, per chiedere di incontrarsi e nessuna risposta, per un mese e mezzo. Ho preso un aereo economico e sono partita. Mi hanno accolta con gentilezza. Mi ha colpito la loro idea di far entrare in società i migranti: responsabili e non sottoposti. Per un anno, ci siamo scambiati visite tra Catania e Venezia, coinvolgendo anche i ragazzi. “
“Deciso: abbiamo trovato il posto in città e raccolto tutte le persone già coinvolte nell’home restaurant . Nella società c’è anche Mithat, il mio figlio egiziano, uno dei ragazzi dello sbarco del 10 agosto a la Playa che abbiamo preso in affido. La socia italiana, Laura Maccarrone, invece è una insegnante di italiano agli stranieri in una scuola statale. Ed è nato così Orient Experience 4: sette dipendenti, due in società. La particolarità catanese sta nella fusione tra la storia e l’esperienza di Isola e quella di Orient.”
“La città ha accolto bene l’esperimento: all’inaugurazione a giugno c’erano 600 persone. Il fatto che d’estate Catania si svuoti ci ha permesso un rodaggio migliore, anche se abbiamo avuto il pieno quasi tutte le sere. C’è curiosità, è ovvio che ci sono delle serate con molti inconvenienti ed altre perfette: è lo scotto di essere liquidi. Sono giovanissimi, il più anziano ha 23 anni. Sappiamo che è difficile garantire la continuità, ma stiamo organizzando anche eventi con presentazioni di libri e di film e finora, tranne qualche giusta critica, vanno via tutti con il sorriso.”
“E’ chiaro che se io non avessi avuto da tutte le persone con cui mi sono confrontata in questi anni un arricchimento, uno stimolo per continuare, mi sarei fermata. La continuità e la quotidianità dei rapporti dà la misura di cosa significa condividere esperienze: è un cammino difficile, spesso ci sono fraintendimenti, pregiudizi da tutte e due le parti.
Ogni giorno però scopri un dettaglio, un tratto per te sconosciuto o dimenticato, come il rispetto per le gerarchie famigliari e la loro difesa del gruppo. Ho imparato la solidarietà e capito la loro straordinaria volontà di migliorarsi. Se confronto questi ragazzi con alcuni adolescenti italiani ci sono differenze sostanziali che portano i primi ad avere motivazioni che i nostri non trovano più. Ci sono genitori, miei amici, che all’inizio mostrano diffidenza a far frequentare i loro figli con i nostri ragazzi e poi mi chiedono di creare occasioni di incontro per far imparare il loro modo di fare, la determinazione e il rispetto.”
“Egoisticamente penso che tutte le esperienze che ho vissuto mi abbiano restituito il senso dell’esistenza. Arrivano disperati e ti fanno sperare. Grazie a loro io mi sento di vivere nel futuro, perché è questo il futuro, ed io sono privilegiata perché ci sono già. Ma chi io? Sì proprio io.
La vita è bella e abbiamo tutti il diritto di viverla in pace.”
La traccia volante: “Ci rissi l’acqua a petra: dammi tempo ca ti percio.” E’ il mio motto: dammi tempo che ce la farò, anche in ciò che sembra quasi impossibile.
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