“Ho venduto la nostra casa a Roma, ma ho molti amici e potrei tornare in città: ci penso solo quella notte, poi capisco che ormai sono montegallese e devo stare con le mie persone. Ho dormito in tenda e per 7 mesi negli alberghi sulla costa con i miei compaesani, solo che io ero abituato più di loro.”
Il 24 agosto e il 30 ottobre del 2016 la terra ha tremato nel centro del nostro paese. Le scosse più forti, la prima con epicentro tra Accumoli e Arquata del Tronto, la seconda a Norcia, causano morti, feriti e distruggono interi paesi e borghi. Lazio, Umbria e Marche sono strette tra paura, disperazione ed incertezza. Tanti coloro che ancora oggi combattono con la precarietà e l’ansia per il futuro. Ci sono poi storie di casualità, legate dal destino di un evento traumatico da cui possono emergere anche il senso di un’amicizia e il valore di una comunità. Francesco Eleuteri è uno scrittore e attore romano, dal 2010 si è trasferito a Montegallo, piccolo paese dell’ascolano dove nel 2016 arrivano anche Mario e Antonella, artisti, cantanti di Monterotondo, che prendono in gestione il bar nella piazza principale. I tre si conoscono come tutti quelli che vivono nella comunità montegallese, ma dopo il terremoto, dopo che si ritrovano, sfollati, negli alberghi della costa, diventano amici. Gli eventi della vita si accaniscono su Mario: poco dopo essere riusciti a riaprire l’agriturismo, Antonella ha un incidente stradale e muore. Francesco invece riprende a scrivere dalla casa di Ascoli dove ha deciso di vivere per non allontanarsi troppo da Montegallo. Nasce lo spettacolo Il Terremoto di Mario, racconto senza retorica che il protagonista affida alla penna e alla voce di Francesco, per far capire cosa accade quando la propria esistenza viene capovolta e non si vuole perdere la speranza di ritrovarne un verso possibile.
La traccia: il ricordo e il futuro di Montegallo
“Sono un attore per caso. Frequentavo Lettere all’Università perché volevo scrivere per il teatro. Un po’ per gioco ho fatto un provino all’Accademia Internazionale di Roma e mi hanno preso. Per due anni ho anche insegnato, ma rischiavo di fare quello e non il mestiere che insegnavo. Ho deciso di essere solo attore e vivere in un mondo strano, isterico. Sul palco non puoi bluffare: “buona la prima tutte le sere…” Ho fatto anche un po’ di tv e poco cinema. La scrittura rimaneva, però, sempre nella mia testa.”
“Nel 2006 ho cominciato a stancarmi della vita che facevo. Nel 2005 è morto mio padre che, dopo la pensione, era andato a vivere in una delle due case di famiglia che avevamo a Montegallo, piccolo comune nelle Marche al confine tra Lazio e Umbria. Io sono figlio unico e ho chiesto a mia mamma che nel frattempo era tornata a Roma: “ma perché non ce ne andiamo insieme al paese?”
Una nuova vita
“Nel 2010 comincia la mia seconda vita a Montegallo. Finalmente ricomincio a scrivere. Il primo libro che pubblico è Ostaggi, per cui faccio il percorso inverso rispetto a quello classico. Trasformo in capitoli il mio spettacolo teatrale. La storia di un attore e del pubblico che assiste al suo noioso monologo, sequestrati in una sala, da un gruppo di gangster. Il sangue dei Sibillini, è invece il romanzo del 2015: è diventato The Blood of the Sibillini. Mi fa sorridere, ma mi leggono gli americani. Tutto grazie ad una coppia di Boston. Lei scrittrice, lui filosofo, erano venuti a rigenerarsi a Montegallo, luogo anche delle loro origini: hanno letto il mio libro e deciso di tradurlo e pubblicarlo a Boston.”
“A Montegallo io sono rinato, ho ripreso l’ossigeno anche creativo che stavo perdendo nel giro romano, falso di “ciao caro, ciao carissimo”. L’autenticità dei rapporti di una comunità di 500 persone diventa il mio quotidiano. Come andare all’Antico bar di piazza Tajani che nel 2016 prendono in gestione Mario e Antonella, cantanti e musicisti. Una coppia straordinaria di artisti che decide di fare la mia stessa scelta: lasciare Monterotondo, ai confini della capitale, per ricominciare una nuova esperienza di vita.”
Le scosse
“Il 24 agosto di quello stesso anno arriva il terremoto. Sono nato e vissuto a Roma, non avevo mai pensato che potesse accadere di finire in mezzo a quanto avevo solo visto in televisione. La mia casa non crolla, ma è inagibile ed io comincio la mia terza vita da terremotato. Ho venduto la nostra casa a Roma, ma ho molti amici e potrei tornare in città: ci penso solo quella notte, poi capisco che ormai sono montegallese e devo stare con le mie persone. Ho dormito in tenda e per 7 mesi negli alberghi sulla costa con i miei compaesani, solo che io ero abituato più di loro. Anche Mario e Antonella hanno deciso di rimanere.”
“Non abbiamo avuto dubbi nemmeno dopo la seconda scossa del 30 ottobre, la seconda per intensità 6.5 nella storia dei terremoti in Italia. Montegallo è alla stessa distanza, 17 chilometri, dall’epicentro di Accumoli e da quello di Norcia. Non se l’è filato nessuno. Per fortuna non ci sono stati morti né feriti. Ci sono solo 500 residenti, ma d’estate, con tutte le seconde case, si può arrivare a contare 6000 persone che girano per le nostre 23 frazioni. E poi i montegallesi sono ovunque: da Roma a Boston. Siamo nel cuore del parco nazionale dei Monti Sibillini: la vetta del Monte Vettore, 2476 metri, è comune di Montegallo, a 7 chilometri da Arquata. Ci hanno messo in tre alberghi di Grottamare dove ho stretto altre amicizie importanti.”
“Da più di un anno sono in affitto ad Ascoli perché voglio rimanere vicino a Montegallo: ogni tanto vado nella mia casa che è inagibile, ma non distrutta, e recupero le cose a cui tengo. Ad Ascoli con me c’è mia mamma: sono praticamente tornato ad avere 16 anni; a 19 ero andato a vivere da solo ed ora siamo di nuovo insieme.
Nel frattempo Mario e Antonella sono riusciti, invece, a riaprire la loro attività: nell’aprile del 2017 il loro Agrimusicismo Cantaantonella riprende a servire cibo e musica. Mario è in cucina, Antonella canta, ma deve anche andare a fare serate a Roma. Purtroppo, al ritorno da una di queste esibizioni, sulla Salaria, verso Monterotondo, un colpo di sonno ce la porta via.”
Il racconto
“Ed è proprio Mario, una sera mentre andavamo a teatro ad Ascoli, a chiedermi se volessi, in qualche modo, raccontare il terremoto attraverso la loro storia che di scosse non ne aveva subite solo due. Io all’inizio mi sono rifiutato, non voglio partecipare alla retorica del terremoto: serve ricostruzione non “andiamo a vedere come stanno e che fanno i terremotati.” Lo dico da montegallese.”
“Poi ci ho pensato: io scrivo, che altro contributo posso dare a questa comunità che mi ha offerto tantissimo. Allora decido di raccontare cosa è accaduto da quell’agosto del 2016, guardando da una prospettiva speciale. Ed ecco il Terremoto di Mario. Il tono non è drammatico, anzi, a volte è più cinico, si può anche ridere. Sul palco ci sono tre tavoli con le sedie come in un bar. In scena arriva anche Mario che suona e canta, ma il dubbio che sia lui il protagonista della storia rimane fino alla fine. Abbiamo debuttato a Monterotondo, siamo stati ad Ascoli e sono appena tornato da quattro date affollatissime a Roma. L’ultima ho dovuto far salire il pubblico a sedere sul palco. Il 14 e 15 dicembre torniamo al Teatro Tor Di Nona.”
“Siamo legati all’autoproduzione: a Roma ci ha pensato il teatro nel quale lo abbiamo rappresentato. In scena con me e Mario c’è anche Gianni Falduto. Gireremo però per l’Emilia Romagna che durante il terremoto ha adottato Montegallo. Nel nostro comune è arrivata la protezione civile di questa regione: donne e uomini emiliani e romagnoli ci hanno aiutato. Il legame è rimasto e hanno deciso di sostenere lo spettacolo.”
“Nell’attesa di tornare a Montegallo, ad Ascoli mi occupo di questa mia creatura. Non ho figli, quindi seguo le mie opere. “Frammenti di cristallo in frantumi” sono le poesie scritte tra il 1990 e il 2000. Le tenevo nascoste, fino a quando il terremoto non mi ha fatto pensare che potessero rimanere sotto le macerie ed era un peccato, così all’inizio di quest’anno le ho pubblicate. Un’altra conseguenza del terremoto su di me. Il titolo è originale, non ripensato dopo la scossa: una casualità come le tante che caratterizzano la mia vita. Nel 2015 mi è stato chiesto da un sindaco amico di creare un testo per un progetto di educazione al bere ed io, che considero “Il bere trionferà” un motto, ho scritto Alcool e l’ho portato in giro anche al Caffè Meletti.”
“Ho cominciato a buttare giù il seguito del Sangue dei Sibillini, ma sento che devo dedicarmi allo spettacolo. Lo devo anche a Mario che ne è entusiasta. Perché la poesia che è in tutte le cose, ci può salvare, anche quando non ci si crede o si è smesso di farlo. Bisogna mantenere la forza di osservare e stupirsi, nel bene e nel male.”
La traccia volante: “La poesia è nata la notte in cui l’uomo ha cominciato a contemplare la luna, sapendo che non era commestibile.” E’ un verso di Valeriu Butulescu, poeta rumeno.
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