Comici, spaventati, genitori

Ci fosse un manuale per spiegare ai genitori come interpretare il proprio ruolo ai colloqui con gli insegnanti: alcuni lo porterebbero dietro sottolineato; altri lo saprebbero a memoria; ci sarebbe chi ha studiato, ma ha l’ansia; non mancherebbero gli impreparati e purtroppo, anche gli autori.
libro genitori lilliUn pomeriggio di autunno, al primo incontro dell’anno, lungo un corridoio freddo con ai muri attaccati, da scotch precario, alcuni dei lavori dei ragazzi, li riconosci subito. Il dato confortante è la presenza mista: non superano di numero, ma si vedono finalmente anche i padri.

Per tutti un ruolo possibile.

I precisi. Nemmeno la nuova modalità di caotica prenotazione elettronica, ha scalfito le loro capacità di organizzazione. Hanno prenotato con numeri progressivi per le diverse maestre, compresa quella di religione che è over booking dopo dieci minuti dall’inizio delle iscrizioni. Portano con sé un taccuino per annotare e poi anche per riferire, al povero figlio/a che gode della massima comprensione, voti, giudizi e impressioni: dalla prima verifica all’ultimo esperimento di empatia in classe. Gli insegnanti li temono e sperano che il figlio sia ugualmente preciso, oppure il colloquio potrebbe superare di molto i cinque, utopistici, minuti previsti. Sottolineeranno ogni frase di motivazione di una eventuale mancanza e ne esigeranno il massimo delle spiegazioni per finire scagionati, ad incolpare il sistema o le stesse interlocutrici, ree di non sapersi imporre come loro in casa. Non finiscono mai il loro ruolo, nemmeno sulla strada del ritorno mentre preavvisano telefonicamente di quanto andranno poi ad esporre.

Gli apprensivi. Appena arrivano, almeno dieci numeri in anticipo, chiedono già scusa perché si sentono in dovere di farlo, solo per il fatto di essersi iscritti a parlare. Hanno fogli sparsi di cui si ignora il contenuto. Mangiano le unghie, fingendosi sereni, mentre cercano di sapere cosa abbiano detto agli altri, certi che per i loro figli, pure fossero tra i primi della classe, ci saranno problemi, alla cui enunciazione non sapranno come reagire. La postura, in pizzo sulla sedia, allarma le maestre che, se comprensive, peseranno le parole e non faranno domande imbarazzanti tipo: “ma lo/la aiuta quando fa i compiti?” Oppure “le ha detto dell’ultima verifica?” La risposta potrebbe essere una sussultante ammissione di colpa o una sudata approssimazione. All’uscita di scuola, sospirano, a volte inciampano, perdono tutti i fogli e, anche se non richiesto, riferiscono al primo che capita: “tutto bene, pensavo peggio.”

I rassegnati. Non hanno quasi bisogno di prenotazione: sono degli habituè dei colloqui, convocati extra incontri curriculari per discutere dei danni, delle intemperanze, per quella inevitabile conclusione: “se solo mettesse tutta la sua intelligenza nello studio invece che nell’architettare scherzi, scuse e bugie.” Gli altri li guardano con affetto crudele, alcuni ipocrita, come i genitori di figli reduci, vittime dei comportamenti del pluri richiamato. Le insegnanti alzano le spalle quando entrano: “cosa dirle di più?” Appena usciti dalla classe, accennano un sorriso e, alle madri arrabbiate, provano ad assicurare che sgrideranno il figlio o figlia per cui chiedono, prostrati, scusa. Non vorrebbero lasciare la scuola perché sanno che a casa li aspettano il/la figlio/a.

Gli arroganti. “Cosa avranno poi di così importante da dire?”, è il sottinteso di coloro che arrivano già convinti di quello che verrà spiegato e soprattutto della bravura del proprio figlio. Riescono ad anticipare di poco il loro turno, non senza perdere l’opportunità di raccontare, soprattutto ai rassegnati e agitando gli apprensivi, i voti, mai sotto il nove, e i successi agonistici del cadetto. Le maestre, se sono furbe, li fanno passare veloci; se sono toste, trovano il difetto e lo sostengono in una guerra di nervi. Escono dall’aula o tronfi oppure schifati, in quel caso: “l’anno prossimo cambiamo classe se non scuola!”

I distratti fiduciosi. “Ero convinta di essermi prenotata, avete una penna?” Si intuisce una certa partecipazione stanislavskiana al ruolo. Arrivano in un orario casuale, cercano subito la comprensione dei presenti per non aver confermato la prenotazione. Rovesciano dalla borsa o dalle tasche caramelle, chiavi, scontrini, fazzoletti, per cercare almeno una matita per gli occhi con cui segnarsi in fondo all’elenco. Non sono completamente impreparati sull’andamento dei figli per cui provano fiducia e rapida comprensione. Alle domande rispondono con altre richieste “giusto per vedere se avevo capito bene” e commentano con vaghi ricordi. Scherzano con battute improprie, esaltando i figli dei rassegnati e compatendo quelli degli arroganti. Il corpo docenti li riconosce da come si incastrano nel banco, dallo sguardo di dubbio ad almeno tre delle domande poste e dalla quantità di contro informazioni rilanciate. Escono, spingendo la porta che si dovrebbe tirare, sotto lo sguardo di diniego dei precisi.

I santi. Fanno passare avanti, hanno penne, caramelle e parole buone per tutti. Chi è preoccupato non deve temere; chi è rassegnato, troverà soluzioni; per i distratti, un sorriso; complimenti agli arroganti e suggerimenti dai precisi. Per le maestre solo massima approvazione e comprensione: riconoscimento dei difetti dei figli, ma tanta volontà di recuperare. Sorridono, attendono e poi sorridono ancora. Ma che se ridono!

I leggeri. Tra un impegno e l’altro, riescono a non mancare. Tengono alla scuola e ai figli, ma “take it easy”: va bene, ok; va male, andrà meglio. Invidiati dagli apprensivi, si muovono veloci. Trovano soluzioni anche per le maestre. “Ciao cari, alla prossima!” volano dal corridoio, lasciando il dubbio che ci siano passati.

Gli ubiqui. Hanno dai due ai quattro figli. La matematica li inchioda: nella più ardita delle ipotesi, almeno 16 prenotazioni per 16 colloqui. Le 4 ore previste non basteranno mai. Nello sguardo una fiamma di follia, mentre in un impossibile valzer tra piani, aule e a volte scuole diverse, cercano di non perdersi: non scambiare l’inglese della più piccola con la matematica del maggiore; non confrontarsi di pronomi con chi combatte con le equazioni. L’ammirazione da parte degli altri è manifesta, come il senso di inferiorità o di leggerezza al confronto. Nella loro borsa, tra merendine e quaderni, tutto rigorosamente etichettato: ricostituenti, analgesici per il mal di testa, i più realisti, un sano antidepressivo. Le maestre, varie, non aiutano quando infieriscono, paragonando fratelli e sorelle, alunni degli anni precedenti. Se riescono ad uscire dalla scuola, rischiano di finire sotto un autobus o di prendere un treno e scappare.

Gli amiconi. Quasi sempre sono i padri, soprattutto coloro che si ritrovano in ruoli mai ricoperti. Fanno battute con tutti, cercano di passare avanti, sono galanti con le maestre e una pacca sulla spalla con il maestro. Con i figli hanno un rapporto speciale: lo capiscono al volo e se sbagliano, pazienza, si correggerà. Di solito propongono aperitivo o pizza all’uscita.

Gli assenti. Non li vedi mai, non partecipano, ma vengono spesso evocati durante i colloqui, sia dai precisi, sia dai santi. Con riprovazione o con affetto, ci si rammarica “per il povero figlio”! Capita che le insegnanti li nominino come gli zii lontani che non partecipano mai alle cene, quindi spesso possono attribuirsi loro responsabilità senza altre motivazioni plausibili.

lilli e i genitoriSono diversi, si ritrovano solo due volte l’anno tutti insieme, costretti a condividere sedie rotte e corridoi gelidi o bollenti. Siamo noi che proviamo a inventarci un ruolo perché, seppure ci sia una biblioteca per capire come educare i figli, abbiamo sempre bisogno di costruirci un’identità di protezione. Sarebbe interessante che i figli andassero al colloquio dalle maestre dopo che sono passati i genitori per capire che voto danno loro.

Per consolarsi basta pensare sempre alla povera insegnante di religione che ha ascoltato tutti, ma proprio tutti.

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