Inizia come un movimento leggero del piede, poi si irradia alla gamba, quando arriva a farmi muovere le braccia in maniera oscillante, è fatta: lo spirito di Mariah Carey si è impossessato di me. Non c’è modo di resistere, mi muovo posseduta da una corista di Sanremo, ispirata come in un gruppo gospel di Harlem. Senza imbarazzo, conquisto il corridoio e lo percorro, schioccando le dita a tempo, roteando il capo, ricoperta di paillettes e aghi di pino. Comincia la decorazione della casa per Natale.
Sì, anche quest’anno che non c’era tempo, che il disordine dei lavori sul terrazzo trionfa sovrano, che non sappiamo ancora come organizzeremo la logistica delle tre giornate cruciali: abbiamo deciso di abbandonarci al clima delle feste.
Mi sono occupata delle scale con le mie maldestre capacità artistiche, aggrovigliandomi nelle catenelle di plastica rosse e dorate. Intanto i bambini lanciano palline sull’enorme albero finto che ci ha obbligato a spostare tutti i mobili del salotto. Gian, si dedica al portico, creando un sorprendente disegno di luci e di inquietanti babbi impiccati.
Il caos natalizio è completo. Se all’inizio cerchiamo un ordine nell’allestimento, poi veniamo presi dall’anarchia. Fiocchi storti, lavoretti sbeccati, angioletti privi di un’ala, campanelle di ogni risma, appesi con scotch, puntine, aggrovigliati su libri e mensole.
Quando ormai la sala è un bazar cinese, arriva George Michael che ci fa ballare, indifferenti alle turbe sue e della sua ex che non riescono a godersi la cena nella baita con la torma di amici, pensando con risentimento al precedente Natale, intimo e romantico.
Luca, mistico, canta “Tu scendi dalla stelle”. Viola si è già stancata e sogna le gioie libere del Carnevale. Gian è quasi rimasto fulminato, ma il terrazzo sembra l’ingresso di una casa coloniale americana. Io, fermato il ritmo di Mariah, sento che mi sale l’ansia della liturgia che va di pari passo con l’entusiasmo, sovrastandolo: la spesa, i regali, i giri parenti, e poi mettere tutto a posto il 6 gennaio.
Meglio uscire. “Bambini si va al Quasi Natale!” Un pomeriggio di iniziative miste, organizzato da Erika, gestrice eclettica del Moka Bar di Via Gramsci.
Le note del Ginger Chorus, i grandi del Giardino delle voci, il gruppo musicale nel quale si esercita anche Viola, ci accolgono. La maestra Paola Urbinati, con la sua bacchetta magica, dirige le ugole di Mattia, Alice, Flavia, Elisa, Riccardo e gli altri, nelle atmosfere di antichi canti ebraici fino a John Lennon. I bambini sono affascinati, non quanto mia sorella Annelise, direttamente dalla pubblicità della Coca Cola degli anni 80 con tutta la candela.
Il cd del Ginger, Christmas on air, è una storia di impegno e di amore per la musica che racconterò, intanto mi piace l’idea di promuoverlo per sentirlo risuonare nelle case pesaresi e non solo, pensando che so da chi arrivano quelle voci: non hanno mantelline provocanti in mezzo alla neve o la fissità rigida di cori militari.
Può mancare il laboratorio? Vaschette di bottoni, merletti, pannolence, colle, forbici e cartoni riempiono il tavolone su cui si affiancano, nello spirito non proprio fraterno del furto delle stelline adesive, bimbe e bimbi, intenti a decorare il loro alberello di carta. Tutti, tranne mio nipote Francesco che “odia” questi momenti: bivacca con sguardo torvo su di una sedia, continuando a ripetere che vuole tornare a casa a leggere Topolino.
Lavoretti realizzati, senza troppo ingombro per le mensole, pronti a perdere i pezzi nello scatolone delle decorazioni del prossimo anno ed è il momento dello spettacolo. Bussano dalla porta delle cucine e chi potrà mai essere?
Entra un curvo Babbo Natale, accolto con un certo scetticismo, tranne Raffaele: sulle gambe della mamma si sbraccia per manifestare il suo tifo calcistico verso il suo mito anziano. In scena anche una donna renna, Lappy ed un aspirante sostituto del dispensatore di regali, ottimo interprete di diversi ruoli e dialetti.
La trama, tratta dal libro “Il Mal di schiena di Babbo Natale” di Giovanna Renzini, riesce a prendere il pubblico. La più esaltata rimane sempre mia sorella. Si parla di pensioni anche nella fantasia fiabesca: il povero Babbo vorrebbe smettere di lavorare, afflitto dalla sciatica, mette un annuncio sul giornale, ma rispondono solo arrivisti, affetti da egoismo e spirito di protagonismo. Vince l’amore dei bambini per l’originale, in un trenino di supporto a consegnare regali meno pesanti e ad allungare sine die il lavoro di Babbo. Si balla, insieme, sulla non troppo fantasiosa sorte dei lavoratori italiani. Fuor di cinismo, scattiamo foto, i piccoli prendono il pensierino dal sacco e si mangia pane e nutella, adulti compresi.
D’accordo mi arrendo. Vedo la squadra dei cugini romani, abbracciati, che tornano verso casa, confrontando i reciproci regalini: quasi felice anche Francesco, mentre Luca e Valeria dissertano sulle difficoltà dell’anziano Babbo.
Risento salire il ritmo.
E’ sera: il portico si illumina, il camino è acceso, abbiamo i lavoretti, le mollettine con le renne, la bocca sporca di cioccolata, fa freddo, stiamo abbracciati sul divano.
Hai vinto tu Mariah e scusaci George, anche quest’anno è quasi Natale: andremo sotto il grande albero illuminato di Piazza del popolo; forse oseremo issarci nella colorata torre panoramica; respireremo il vento gelato; ci compreremo le caramelle, litigando per quante liquirizie mettere nel sacchetto e penseremo che, almeno per due settimane, si può provare a guardare ogni cosa con lo sguardo del piccolo Raffaele o quello di mia sorella Annelise, mantenendo il sano spirito critico di Francesco.
Il 7 gennaio, febbraio, marzo forse toglieremo le lucine e le catenelle dalle scale, le ho strette così tanto…
Rispondi