Maurizio e Gregory

“Un poeta non si può chiudere in una convenzione, per Corso era proprio impossibile. Usciva, girava per Roma e scriveva i suoi versi su pezzetti di carta, quando tornava a casa, li tirava fuori dalle tasche e li metteva insieme. Così nascevano le sue raccolte, i suoi libri.”

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Avere una cugina come la mia che vive le sue giornate con arte ed estro, in spregio a qualsiasi banalità convenzionale, anima di dibattiti ed eventi culturali nell’enclave trasteverina che resiste all’abbrutimento collettivo, è un privilegio ed una continua scoperta. Chiacchierando con lei, tra un pettegolezzo, sempre ben articolato, ed una seria considerazione sul glorioso passato della città, mi ha rivelato che il suo caro amico Maurizio Raso, alleato nelle battaglie per far prevalere l’entusiasmo sulla rassegnazione, ha vissuto un rapporto speciale di condivisione e complicità con uno dei poeti più rappresentativi della beat generation: Gregory Corso. Non ho resistito e ho chiesto l’intercessione per farmi raccontare di più: nelle parole di Maurizio, musicate da un orgoglioso accento saccense ( Sciacca, Agrigento), ho ritrovato le atmosfere speciali di una Roma aperta, vivace nella quale era naturale ritrovarsi tra artisti e creare: diffondere versi e libertà. Non c’è nostalgia, ma gioia di aver vissuto che resta, come la dedica su uno speciale libro di poesie.

La traccia: memorie trasteverine di Gregory Corso

“Sono arrivato nel 1967 a Roma da Sciacca in Sicilia. Mi ero iscritto a Biologia alla Sapienza, ma è scoppiata la contestazione studentesca e non potevo non partecipare. Ho vissuto per quattro mesi anche quella parigina: abitavo a boulevard Saint Michel, a pochi passi dalla Sorbonne nel quartiere latino, strada nella quale poi ho scoperto sono passati molti poeti della beat generation. E’stato solo il primo dei miei viaggi. Ho girato molto, abbracciando la vita hippy: le comuni, le prime canne, la libertà.

 

Ho abbandonato gli studi perché non stavo mai fermo, sempre pronto a partire. La mia base era Roma, cambiando vari indirizzi: per il primo anno Viale Ippocrate, poi via Frattina e via Croce, con un gruppo di artisti e un regista sopra la trattoria Otello.”

“Nel 1977 è iniziato il mio lavoro alla SIAE: era normale quindi conoscere e frequentare compositori, scrittori, poeti. Ero amico del grande Tony Scott che aveva suonato il clarinetto con Charlie Parker e Billy Holiday. Erano anni speciali nei quali si incontrava per strada chi ha fatto la storia della musica, della letteratura, del cinema ed era normale ritrovarsi a casa a chiacchierare e a bere.

Via dei Genovesi, Vincino e Gregory

Frequentavo spesso il vinaio di Campo dè Fiori con molti artisti, tra loro c’era anche Gregory Corso. Si beveva molto, per questo non mi sono stupito quando, nella primavera del 1985, Gregory mi chiese se potevo ospitarlo per una settimana a casa mia.”

“Io non lo conoscevo bene, tranne per le voci di certa irascibilità che mi preoccupavano un po’. Era un ribelle, ma a casa mia è stato perfetto, non ha mai creato problemi. Si sentiva così bene che c’è stato per tre anni e ha scritto tantissimo, compresa la raccolta con cui ha vinto il Leone d’oro alla Biennale della poesia a Venezia. Nel 1987 Gregory arrivò primo, secondo Carlo Rubbia e terzo Altan. Rubbia in particolare era un suo grande ammiratore. Mi raccontò che per tre giorni non si era mai staccato da lui.

Abitavo a Via dei Genovesi. A cento metri da lì, in vicolo del Canale, avevo vissuto invece con il pittore Marcello Crisi e, per due anni, con Paul Getty. In quel periodo la porta rimaneva aperta e non si notava chi entrasse e si fermasse. Il mio amico Vincino era stato un periodo da me, all’inizio degli anni 80, quando Il Male, la sua creatura che avevo visto nascere , era in un periodo di crisi. Noi venivamo tutti e due dalla Sicilia e ci conoscevamo da molti anni per questo lo avevo avvertito “Finché il giornale andrà, ti staranno tutti dietro, quando calerà non ti si filerà più nessuno.” Così, purtroppo è stato. Lui mi chiese aiuto ed io portai tutto il mio gruppo di amici, Michel Pergolani, Marcello Crisi e Galeazzo Nardini nella redazione del Male che si riprese. Organizzammo un grande evento con il giornale, il Festival Miseria 81. Tre giorni di musica, poesia, arte nell’ex Mattatoio che era ancora diroccato, ma ci fu concesso dal mio amico Renato Nicolini. ”

“A rifletterci oggi, non mi basterebbe un libro per raccontare tutti i personaggi che poi sono diventati celebri per arte, musica, storia con cui ho condiviso giorni della mia vita. Me lo hanno pure chiesto alcuni editori, ma non mi importa: sono i miei ricordi e mi basta averli vissuti.

Alcuni, a volte, li divido con gli amici di ora, proprio per raccontare quell’atmosfera speciale nella quale eravamo immersi senza accorgersene. Come la poesia di Gregory, così dirompente e poco convenzionale, che entrò nella mia quotidianità e per tre anni la caratterizzò. Sono stato il suo legame con diverse realtà.

Tutte le Università italiane volevano che lui partecipasse a delle iniziative ed io mediavo perché, nonostante avesse anche insegnato in alcuni prestigiose università americane, preferiva stare ore nelle biblioteche a leggere quantità incredibili di libri, rispetto che andare a parlare nelle aule.”

L’incontro con Gassman

“Io tenevo i contatti per Gregory, come accadde per l’incontro con Vittorio Gassman. Mi diedero un volantino nel quale si promuoveva uno spettacolo nel quale il mattatore recitava poesie in un teatro di Roma. Sapevo che di certo ne avrebbe declamate anche di Gregory, le aveva pure incise in alcuni dischi. Tornai a casa e chiesi a Gregory: “Conosci Gasmann?” Capii dallo sguardo che non sapeva chi fosse. Gli spiegai che era molto famoso e soprattutto che aveva recitato e registrato anche le sue poesie. Si arrabbiò tantissimo perché non gli pagava mai nessuno i diritti d’autore. “Devi andare a conoscerlo. Ti presenti al botteghino e lo fai chiamare.” Provai a convincerlo, fino all’unica minaccia che lo persuadeva: “O vai, o ti caccio via!”. Gli pagai il taxi e lo mandai.

Il suo racconto quando è tornato è stato esilarante. Fece quello che gli avevo consigliato. Arrivò, disse chi era e fece avvertire Gasmann della sua presenza. Ovviamente rimasero tutti colpiti: Gregory era un personaggio e poi non mi ero accorto che si fosse portato dietro la bottiglia di whisky. Quando Gasmann salì sul palco e disse che era particolarmente emozionato per la presenza del poeta di cui da tempo si onorava di leggere i versi, tutto il pubblico si alzò in piedi ad applaudire, mentre lui rimase seduto con la sua bottiglia. Poi si ritrovarono nel camerino e fecero amicizia. Per 3,4 volte Gasmann lo mandò a prendere dall’autista per averlo a cena a casa sua. Finchè Gregory non mi disse “Basta Maurizio, non ci voglio andare più!”. Ho dovuto gestirla io, chiamando e comunicando: “Il maestro non è più disponibile.” Nessuno si offese.”

Da Coppola a Fernanda Pivano

“Un poeta non si può chiudere in una convenzione, per Corso era proprio impossibile. Usciva, girava per Roma e scriveva i suoi versi su pezzetti di carta, quando tornava a casa, li tirava fuori dalle tasche e li metteva insieme. Così nascevano le sue raccolte, i suoi libri.

maurizio corso e rosselli

Era amato da tutto il mondo: un giorno mi portò a casa Frank Coppola, mi aveva promesso che avrebbe invitato anche Bob Dylan, ma io non mi sconvolgevo. Condividevo la sua eccentrica normalità. Se penso che dovevo gestire i contatti con il suo postino che era Allen Ginsberg: raccoglieva la sua corrispondenza a New York e me la spediva a me.

Andava spesso dalla sua amica Fernanda Pivano a via della Lungara e mi chiedeva di accompagnarlo, ma io non volevo, sapevo che avevano un rapporto speciale e non volevo intromettermi.”

maurizio corso e pivano“Ad un certo punto, io volevo tornare a stare un po’ per i fatti miei e ho dovuto dirgli che non poteva stare tutta la vita da me. Io ero un hippy e lui viveva bene a casa mia. E poi si era così affezionato che quando è tornato da New York di nuovo a Roma per girare un film sulla sua vita, ha voluto che io partecipassi. In quel periodo, però, è stato all’Hotel Raphael che non era proprio un posto per lui.

maurizio-corso-e-amici.jpgHo il grande rimpianto di non essere andato a trovarlo nella sua città: me lo ha chiesto tantissime volte perché voleva presentarmi tutti i suoi amici. Una volta, anzi, lo chiamai perché ero in America, ma a San Francisco e non a New York. Si arrabbiò tantissimo perché non ero passato da lui. “.

Ciò che rimane della Roma di Nicolini

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“Quando è morto, mezza città mi diceva che Nanda mi stava cercando. Allora sono andato a trovarla ed è diventata anche per me un’abitudine ritrovarci a chiacchierare, soprattutto di lui. Mi inserì tra le voci della sua enciclopedia sulla beat generation. Ne sono felice, perché ho vissuto con passione e entusiasmo quegli anni.”

“Era la Roma del mio amico Renato Nicolini che riusciva a trasformare le nostre idee in eventi. L’inventore dell’estate romana, un simbolo della voglia di creare, di stare insieme con la cultura. Ci siamo frequentati per più di 40 anni fino a quando ci ha lasciato, troppo presto.

Negli anni 90 è cominciato un lento declino. Non so decifrare bene le cause, ma la gente si è chiusa: c’è chi si è perso per la droga, chi ha preferito semplicemente rintanarsi. La discesa è proseguita con l’aumentare della paura, aggressività, diffidenza che si respira, purtroppo, oggi, nelle strade della città. C’è ancora chi ha voglia di realizzare iniziative interessanti, ma resistono poco, manca il seguito. Sono preoccupati e apatici sia coloro che non arrivano a fine mese, sia i miliardari.

Dal 2012 sono in pensione anche se continuo ad accompagnare degli autori amici a districarsi nei meandri della SIAE. Cerco di viaggiare molto e di non perdere il contatto con le persone. Mi mantengo in vita, io che ho vissuto tanto.”

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“Vado spesso al cimitero inglese, dove amava andare Gregory ad onorare il suo amato poeta Shelley. Me lo disse un giorno: “Se muoio, voglio essere seppellito vicino a lui e a Keats.” Così è stato. Io vengo qui, mi faccio una sigaretta e mi rilasso. Per pensare a quegli anni folli. ho anche la sua dedica nel libro con cui vinse a Venezia: “Maurizio, grazie per l’ospitalità.” Spero abbia capito che anche io l’ho ringraziato per avermi fatto scoprire chi fosse veramente il poeta eccentrico ed irascibile: un uomo sensibile e di una delicatezza incredibile.”

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La Traccia volante: non volendo abusare della pazienza di Maurizio, ho provato a scegliere io una traccia per lui. Consegno il mio rapporto: (così per ridere)./ Non ci sono collegamenti misteriosi / né atteggiamenti frivoli / né lassismi alla moda / abbasso i giorni di morte predeterminati / ah, questo trattato queste ore / io a Roma in tutto il mio fulgore – sì questa leggerezza brevità frivolezza/ così liberi e comodi, cavalcata di buon umore! ( da Rapporto di Campo di Gregory Corso).

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