A 3650 giorni dal terremoto: il futuro nella memoria

“Non si può e non si deve dimenticare. C’è il rischio che una tragedia possa superare l’altra anche nel ricordo, come se ci fosse una gara di memoria tra morti e distruzioni. Chi viene per ultimo passa avanti nell’attenzione. Ci sono le persone con le loro storie passate e presenti che rivendicano un futuro.”

Erano le 3.32 del 6 aprile del 2009. Io ero incinta di Viola e il letto cominciò a muoversi per un evento che a Roma non si era mai sentito con tanta intensità. Ci alzammo e il lampadario del salotto non smetteva di oscillare. Dai social, che ancora non erano il primo canale di informazione, cominciò ad arrivare qualche notizia che solo poche ore più tardi divenne la terribile certezza: il terremoto aveva distrutto L’Aquila e diversi comuni dell’Abruzzo. Nella concitazione iniziale non erano chiari i numeri che purtroppo aumentarono fino ad una angosciante cifra finale: 309 morti, 1600 feriti, 80 mila sfollati, 57 comuni colpiti.  Sono passati dieci anni, domani saranno 3650 giorni, nei quali c’è chi non si è mai fermato perché non si dimenticasse nessuno di quei 309; perché si mantenesse viva una comunità, perché si ricostruisse in maniera trasparente; perché si continuasse a raccontare, ad occuparsi di ciò che è avvenuto; perché si ragionasse per non farsi trovare impreparati qualora dovesse di nuovo accadere. L’anniversario ha prodotto diverse iniziative per evidenziare il lavoro fatto: oltre a quelle che saranno le celebrazioni istituzionali, ci sono state e ci saranno intere giornate di dibattiti, presentazioni di libri, documentari e spettacoli teatrali dedicati a quanto i singoli cittadini abruzzesi, le organizzazioni, le associazioni hanno portato avanti. Nel centro storico si è istituito un presidio “Fatti di memoria”, aperto e gestito, dal 30 marzo al 7 aprile, da chi, con diversi ruoli ed esperienze, ha vissuto direttamente il sisma anche dopo le scosse. Alcuni di loro hanno consegnato la propria testimonianza nel documentario I 3650 giorni dell’Aquila di Pino Ciociola. Il giornalista de l’Avvenire è stato tra i primi ad arrivare nel capoluogo abruzzese quel 6 aprile. In questi dieci anni è tornato spesso per documentare, ma anche solo per capire e valutare come stesse cambiando la città e come si stesse resistendo per non abbandonarla. Pino ha concesso di condividere il lavoro che ha realizzato per il suo giornale e ci ha raccontato come lo abbia realizzato e perché sia giusto perdere il sonno per dare un contributo alla memoria. A lui si sono raccontati i protagonisti di una storia civica che continua: Antonietta Centofanti del comitato familiari vittime della casa dello studente ; Ciro Improta di Bibliobus; Carla Cimoroni  e Francesca Tarantino dell’associazione L’Aquila in Comune; la giornalista Michela Santoro; Giancarlo Gentilucci di Arti e Spettacolo; Massimo Prosperococco del Comitato Scuole sicure L’Aquila; Davide Massimo e Lorenzo Micarelli, studenti di ingegneria, vincitori del Bando per la costruzione del Memoriale della casa dello studente.

“La mattina del 6 aprile alle 9 ero lì: quei luoghi mi sono entrati dentro, tanto da non poter smettere di tornarci. Ho cominciato a ragionare ad un modo per raccontare questi dieci anni passati. Ho parlato con tanta gente ed ho scelto solo testimoni diretti che so, hanno vissuto sulla loro pelle ognuno di questi 3650 giorni.

pinoHo seguito diversi terremoti nella mia carriera, ma la mia prospettiva è cambiata dopo quello di San Giuliano di Puglia del 2002. Avevo un bambino della stessa età di coloro che sono morti nel crollo della scuola. Ogni 31 ottobre io vado nel cimitero per ricordarli uno ad uno. Da allora ogni volta che accade un evento drammatico quale un sisma è, il primo luogo della mia attenzione sono proprio le scuole .Ad Amatrice ho pensato con terrore, camminando sui resti di un istituto che se fosse accaduto di giorno e durante l’anno scolastico, ci sarebbe stata un’altra strage di bambini.”

“Ci sono due elementi oggettivi che ritrovo quando arrivo nei posti dopo le scosse. Saltano le tubature dell’acqua e del gas. Le strade si allagano e nell’aria si diffonde un forte odore di gas. Negli occhi, però, sono altre le immagini che non se ne vanno più: gli sguardi degli anziani, seduti davanti alle porte delle loro case distrutte, sembrano fissati nel buio. A L’Aquila mi colpì il sangue sui marciapiedi, perché, anche se hai visto tanti morti, vittime di catastrofi, non ci si abitua mai, non si può.

Mi ricordo che entrai da uno degli ingressi della città, sulla mia sinistra c’era una palazzina completamente crollata: subito ebbi la sensazione che sarebbe stato uno scenario continuo. Lungo il corso principale, verso sera, venni attratto da una finestra nella quale c’era ancora una luce accesa che sfarfallava. La misura visiva di quanto era accaduto me la davano anche tutti i manichini riversi nei negozi. Mentre le scosse non si fermavano, io memorizzavo le facce di mi veniva incontro.”

“Non si può e non si deve dimenticare. C’è il rischio che una tragedia possa superare l’altra anche nel ricordo, come se ci fosse una gara di memoria tra morti e distruzioni. Chi viene per ultimo passa avanti nell’attenzione. Ci sono le persone con le loro storie passate e presenti che rivendicano un futuro. Il dovere di noi giornalisti dovrebbe essere raccontare, denunciare e ricordare.”

fatti di memoria“Io ho cercato di farlo, mettendo insieme le testimonianze di tutti coloro che hanno vissuto direttamente quanto è accaduto il 6 aprile e nei giorni seguenti. 10 anni che possono sfiancare e anestetizzare anche le reazioni. Hanno contribuito con la loro presenza, la loro attenzione, le iniziative di denuncia e di ricordo alla ricostruzione, ma temono che non basterà per consentire a questi luoghi di tornare a vivere.

Il centro storico sta venendo bene, ma la domanda è: pure se sarà bellissimo, chi verrà a viverlo. Molti si sono ormai abituati ai nuovi contesti nei quali sono andati ad abitare, famiglie con bambini che sono cresciuti per cui ora non è facile pensare di cambiare nuovamente abitudini. Devo ammettere che gli aquilani hanno dimostrato un attaccamento speciale alla loro terra ed è evidente dalla passione con cui ne parlano, ma il futuro non è facile e automatico.”

“Mi preoccupano i tanti cartelli di vendesi e affittasi che vedo sulle case, non vorrei che si lasciasse la città preda di speculazioni per cui si possono comprare ora appartamenti a prezzi bassi da rivendere poi in futuro con notevoli rialzi. Ma chi li acquisterà, chi tornerà a far rivivere queste strade e piazze?

Ritorna il tema della stanchezza di chi in questi dieci anni ha provato a non allontanarsi, patendone tutte le conseguenze anche per le attività quotidiane più semplice, come la difficoltà di trovare negozi vicini dove fare la spesa.”

terremoto io non ridevo“C’è un altro rischio che può essere provocato dall’usura del tempo: dimenticare quelle terribili risate di chi vide nel terremoto un modo per guadagnare. Contro questo cercherò di dare sempre il mio contributo. Nel video ho riproposto la telefonata che dimostrò come sulla distruzione c’è stato chi voleva solo lucrare, e lo rifarò anche qualora dovessi realizzare un altro documentario a 20 anni dal terremoto.”

“Antonietta Centofanti dice: il futuro collettivo è la memoria. Io credo profondamente nelle sue parole anche quando avverte che “proteggere il territorio significa proteggere le vite”. Lo dice lei che ha provato sulla sua pelle il dolore di questa affermazione.

Io che non ho sofferto conseguenze dirette dalle scosse, ho fatto la mia parte in questo senso.

Lo abbiamo girato in venti giorni e montato in due, notti comprese. Lo potrà usare liberamente chiunque vorrà per ricordare.”

“Domani sarò, come tutti gli anni, a L’Aquila, a partecipare ad un dibattito con Antonietta. Non so se proietteranno il filmato, ma non mi importa, non l’ho fatto per questo. Io ho voglia di esserci, come ogni 31 ottobre sono a San Giuliano. Non è solo lavoro, anche il documentario l’ho realizzato perché sentivo di farlo e ho tentato di riuscirci al meglio delle mie possibilità: per coloro che ho raccontato, per chi mi ha aiutato a farlo e per chi non c’è più. Perché quello che è accaduto agli aquilani poteva accadere anche a noi: non si può e si deve dimenticare.”

La Traccia Volante: Il futuro collettivo è la memoria. Antonietta Centofanti, comitato familiari vittime della casa dello studente.

 

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