Semplicemente sorelle

Le sorelle come noi lo sarebbero state anche se non si fossero ritrovate in ogni foto, sin dal nascita, l’una con la testa sulla spalla dell’altra. Destino ha voluto che fossi più piccola, ma più alta e da lì forse il tentativo di imbrogliare l’anagrafe. sorelle sca natalizie

“Sono tornate le zanzare di una volta, le riconosci perché pizzicano sulle mani, non sulle caviglie come le tigre.”

L’affermazione, articolata con dotta convinzione scientifica durante i festeggiamenti per i suoi 43 anni, rende inevitabile raccontare cosa sia, per me, mia sorella, autrice di diverse di queste disarmanti illuminazioni.

E’ evidente dai nostri capelli la differente capacità di complicarsi la vita. Io sempre lunghi, attorcigliati eppure fermi, lei corti e anarchici. Annelise che mi sforzo di chiamare Anne da quando siamo qui a Pesaro, Lilli, è il mio insostituibile alter ego semplificato.

Dove io complico, lei risolve, spesso senza nemmeno accorgersene con la praticità di un sorriso e di una battuta.

Quando sento che sta per affiorare, anche in lei, l’ansia della precarietà condivisa, non faccio in tempo ad intervenire che le è passata.

Non so quando si siano invertiti i ruoli e le età ed io sia diventata la più grande delle due, quella che si preoccupa e vuole pianificare. Sin dalle scuole elementari ricordo di essere stata una sua appendice, persino nelle foto di classe riuscivo ad intrufolarmi. Eravamo LilliValeria un nome solo, suo malgrado.

Insieme negli sport, dove lei riusciva sempre con più disinvoltura ed io arrancavo pigra, soprattutto timorosa che ci si potesse fare male; insieme nelle feste e nei pomeriggi con i suoi amici che diventavano anche i miei; insieme nelle prime uscite serali per cui ho bruciato i record con i miei coetanei, lucrando sui suoi orari da grande; siamo pure rimaste incinte quasi negli stessi periodi; insieme nelle crisi di famiglia; insieme nel caos lavorativo e insieme nel tentativo di ripresa nello stesso rifugio pesarese.

Insieme, ma diverse. Nella necessità viscerale di condividere la nostra essenza. Le uniche a poter intuire ,dall’accennata apertura di un sorriso e dall’impercettibile guizzo nello sguardo, il segno di improvvisi e inconfessabili motivi di allegria e a stringere il fianco nell’istante precedente la discesa di una possibile lacrima.

Lilli, la grande che però viene controllata da Valeria, la piccola.

Accadeva nelle serate dell’adolescenza. “E’ tardi, dobbiamo andare o si arrabbiano!” “Senti un po’ se si capisce che ho bevuto?” Un copione che si ripeteva quasi sempre in corsa, da piazza Sonnino a Monteverde, quando scoprivamo ( io in realtà lo sapevo, ma cedevo) che gli autobus non passavano più e dovevamo tornare a casa a piedi e in tempi da velocisti.

“Entriamo alla seconda ora?” Era invece la sua battuta delle mattine, nelle quali il ritardo, suo compagno fedele, diventava ormai incompatibile con la campanella di scuola. Io sudavo frustrata, prevedendo la reazione della vice preside del liceo, frequentato insieme per due anni: “Le sorelle Scafetta, di nuovo alle 9!”

La svolta si palesò quando lei si è diplomata e per la prima volta io mi trovai costretta a confrontarmi con uno spazio, non solo fisico, prima condiviso, senza la sua presenza. Volevo lasciare la scuola, iscrivermi a istituti privati per finire prima e magari seguirla anche all’Università. Prevalse la ragione preoccupata di mia madre: cambiai liceo e per un po’ smettemmo di essere un nome unico. Provai l’ebrezza di muovermi come Valeria. Arrivavo sempre in orario anche se la scuola era più lontana; trovai degli amici solo miei, concessi finalmente a Lilli di scegliere una strada lontana dalla mia.

Scoprimmo che le nostre personalità indicavano dei percorsi differenti che si sarebbero sicuramente incontrati, ci avrebbero viste presenti all’avvio, nelle curve e al traguardo di entrambi.

Crescere ha significato ritrovare l’identità separata che comprende di poter respirare lontana dall’altra, ma non troppo.

Capire cosa significhi essere sorelle, sia nelle fasi passate della nostra vita, sia nell’attuale, rappresenta la mia possibile certezza.

Sta nel mio continuo preoccuparmi per lei e nel suo tentativo costante di alleggerire le mie preoccupazioni.

Nella complicità costante che non prevede parole, ma se serve è pronta a trovarne, ad ascoltarne cascate, anche senza senso, che poi lo ritroviamo alla fine.

Nel non darsi consigli o suggerimenti, ma trovare le soluzioni insieme.

In quegli attacchi di risate incontrollabili di cui sfugge il movente perché non c’è.

In una mattina in cui sono corsa all’ospedale perché un matto l’aveva aggredita in pieno giorno al centro. Nel mio volerla accompagnare, in silenzio, per un anno alla fermata dell’autobus senza spostarmi fino a quando non si vedeva più il 64 su Corso Vittorio.

Nelle notti che abbiamo dormito nello stesso letto, singolo, per paure, dolori, separazioni, ansie: io russo e lei digrigna i denti.

Lei sull’impalcatura di Sant’Agnese che restaura un dipinto, io sotto che mi commuovo e tremo all’idea che possa cadere. Io che presento un libro o un’iniziativa politica e lei nel pubblico che applaude più forte degli altri.

Le delusioni da affrontare, unite, fino all’ultima stilla di rabbia.

E’ nella ridicola gelosia, più mia, prima tra di noi nei confronti dei rapporti con le amiche, ora riversata sui rispettivi figli, per essere le zie preferite.  

Fa tremare nel timore di non esserci sempre e nella maniera giusta e alleggerisce nella sensazione di non doverlo fare, perché la presenza è scontata anche se si è lontane.

Io disordine, lei cura maniacale; lei ritardataria, io puntuale; io mai serena, lei rilassata.

Io troppo spesso daltonica nello stile, lei sempre unica pure con i pantaloni non stirati. Le mie tante scatole di collane di bigiotteria, i suoi pochi anelli. Lei magra, io mangiona. La comune passione per il vino.

Le sorelle come noi lo sarebbero state anche se non si fossero ritrovate in ogni foto, sin dal nascita, l’una con la testa sulla spalla dell’altra. Destino ha voluto che fossi più piccola, ma più alta e da lì forse il tentativo di imbrogliare l’anagrafe.

Nella terza fase della nostra vita, con figli coetanei, compagni complicati, genitori confusi, precarietà diffusa, ci siamo inventate di nuovo una possibile strada comune, confermando le parti.

disegno lilli noi

“Lavoro per mia sorella”, ha dichiarato di recente Lilli durante una trasmissione sportiva in una rete privata alla quale ha partecipato come tifosa della Roma, continuando a superarmi in gesti folli. Mi ha fatto così ridere quella sua affermazione, rivelandomi un mio tono esageratamente autoritario e evidenziando una certezza che non si scalfisce: da 41 anni, le è toccato l’ingrato impiego che non prevede licenziamenti di essere mia sorella.

Ringrazio il destino e mi interrogo sulle diverse modalità di pizzicare delle zanzare.

LilliValeria.   

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