“Ieri, 8 aprile, giornata internazionale dei Rom, ho suonato con l’Orchestra europea della pace nel teatro lirico di Cagliari, per un pubblico di duemila persone: continuerò ad esibirmi, ovunque, fiero delle mie origini.“
Un mio caro amico scrittore, un giorno, mi assegnò un soprannome: “ranì”, signora nella lingua rom. Diceva rispecchiasse la mia libertà oltre ad un certo mio stile di abbigliamento dell’epoca. Sono rimasta affezionata a quella mia identità e, anche se stupidamente mi sono arresa al nero, grigio e blu, ho avvertito l’esigenza di capire meglio una cultura che sento vicina. Ho constatato la mia colpevole ignoranza sulle radici e l’attualità di un popolo. La mia voglia di conoscere è cresciuta. Ringrazio quindi chi cerca quotidianamente ed in ogni contesto, con la propria arte, impegno, costanza, di far andare oltre i pregiudizi e gli stereotipi riguardo quella che è la minoranza etnica più grande in Europa e la discendenza più antica in Italia. Oltre al mio amico Musly Alievski di cui ho scritto la traccia (https://traccevolanti.com/2019/02/25/musli-e-i-diritti-umani-senza-confini/), ho avuto la fortuna di condividere una chiacchierata piacevole e sincera con Gennaro Spinelli, violinista Rom abruzzese, che con la sua musica riesce a portare nel mondo l’orgoglio di una tradizione millenaria. Tra note e parole, abbiamo scoperto legami comuni con la terra di Abruzzo, chissà che non emerga che il soprannome forse non era legato solo alle gonne lunghe e i piedi scalzi, ma realmente a qualcosa di più profondo. Seguendo questa ispirazione, sono orgogliosa di raccontare la storia di chi non nasconde le origini anzi le rende melodia. Gennaro con suo padre Santino Spinelli o da solo, ha suonato per tre pontefici, diversi capi di stato, riempito teatri e arene in ogni angolo del mondo, gli manca solo Sidney ma presto ci arriverà. Sul palco è felice, non emozionato perché suona da quando ha quattro anni e si sente grato per tutti i bei momenti che riesce a vivere e condividere. Questa gratitudine la porta anche nel suo impegno a difendere le ragioni del suo popolo, oltre ogni strumentalizzazione.
La traccia: la musica del violino come strumento di conoscenza e di incontro
“I rom italiani sono 180 mila, arrivati nel 1300, la prima domanda che mi pongo quindi è: “quanti italiani possono far risalire la propria discendenza a 700 anni fa?” Solo 20 mila sono coloro che vivono nei campi. Il 90% vive in casa. Secondo dubbio che mi viene: “quanti problemi può creare una percentuale così piccola e come può giustificare un così grande odio sociale?” Le risposte che mi sono dato sono diverse, ma partono dalla necessità storica di trovare un nemico comune, indifeso, perché da sempre attaccato. Purtroppo, difficilmente, qualsiasi parte politica ha trovato il coraggio di sostenere le nostre ragioni. Chi può salvarci? Noi stessi, facendo conoscere la cultura romanì. Superando i confini che ci impongono gli altri e che spesso, per paura e necessità di protezione, poniamo anche noi.”
“Partiamo con lo sfatare gli stereotipi che ci vogliono definire. Noi non siamo nomadi per scelta, ma siamo stati da sempre perseguitati e quindi obbligati a spostarci. La maggior parte di noi però vive tranquillamente in casa. Dobbiamo metterci insieme, raggruppare le fila, mostrarci ed essere fieri delle nostre origini.”
“Io lo sono, anche grazie alla musica, al mio violino che suono da quando ho 4 anni. Mio padre è musicista: sono il primo dei suoi tre figli, ho due sorelle. Mi ha prima dato una chitarra, poi, ricordo ancora quando in macchina mi chiese se volessi provare con il violino. L’ho fatto e non ho più smesso. A 6 anni ho tenuto il mio primo concerto con lui, ero spaventato, ma quella adrenalina ce l’ho ancora dentro.
Ho studiato prima privatamente a Lanciano, il mio paese, poi mi sono iscritto al Conservatorio di Pescara, diplomandomi a 17 anni, in tempo per frequentare e poi laurearmi nella facoltà di Lingue e Letteratura straniere.
Intanto non ho mai smesso di fare concerti. Per imparare qualcosa la devi fare: la musica è esperienza.”
L’orgoglio rom nella musica
“Nel mio repertorio da sempre c’è la musica etnica. Al Conservatorio mi sono dovuto adattare alla musica classica che si insegna. La nostra è diversa. Ha una struttura modale non tonale, ed è per l’80% improvvisazione, quindi non si sentirà mai lo stesso concerto. E’ il jazz manouche scoperto da Django Reinhardt, chitarrista sinto francese che, insieme ad un musicista italiano, ha inventato il jazz europeo. Lo suono volentieri.
Ho studiato la musica classica, ma nel cuore ho sempre custodito l’etnica che è la mia, quello che siamo.”
“La nostra musica etnocentrica ha influenzato storicamente tutte le altre. Si crede che i nostri siano i suoni dei Balcani, ma i Rom provengono dal Nord dell’India. La musica del nostro popolo, durante le migrazioni che hanno attraversato tutto il medio oriente e il mediterraneo, ha lasciato tracce e si è arricchita di altre, acquisendo un carattere di universalità comune a pochi altri generi.”
“Basta pensare alle origini del flamenco in Spagna che porta nella storia e nei suoni l’incontro tra rom, arabi ed ebrei. Insieme ci siamo ritrovati in Andalusia, dove l’integrazione passò attraverso secoli di persecuzione, durante i quali le nostre culture si mescolarono, rendendo la musica stessa un veicolo di comunicazione e di ribellione. La malinconia e la fierezza contraddistinguono il flamenco. Il termine stesso flamenco deriva dall’unione delle parole arabe “felag“(contadino) e “mengu” (errante, fuggitivo).”
“Le nostre tracce sono ben presenti nella musica classica: Mozart non avrebbe composto la Marcia alla Turca se non fosse stato ispirato da nostri musicisti ungheresi che hanno influenzato anche le danze di Brahms e la rapsodia di Lizst. Per capirlo basta sentire le scale che vengono utilizzate per eseguirle con la quarta aumentata tipica della nostra tradizione musicale. “
“Con questa consapevolezza ed orgoglio porto la nostra tradizione musicale nel mondo. A 14 anni ho iniziato a girare per i continenti con mio padre, suonando per pontefici e capi di stato. L’ho sempre considerata la mia passione e la mia professione.
Ho suonato ovunque: 1500 concerti al momento. Mi manca l’Opera di Sidney che rimane come un mio sfizio perché ancora non sono riuscito ad andarci.
Lavoro e formazione continua. A 15 anni ho strutturato un repertorio più completo. Mi esibisco con mio padre, ma anche da solo.
In teatri con migliaia di spettatori non mi emoziono, mi carico.
Sul palco io suono, le emozioni vere le provo con le persone che amo. Le ho sicuramente sentite quando ho salutato in musica mia nonna. “
L’impegno oltre il palco
“E’ la nostra cultura che ha un rispetto assoluto per gli anziani. Io sono cresciuto con i nostri valori, fiero di essere rom. Certo poi a scuola, come gli altri, ho scoperto di essere zingaro nel senso dispregiativo che si dà al termine. Per questo partecipo spesso ai progetti di Intercultura: mi piace parlare con i ragazzi.
Cerco di far capire che essere rom non è un difetto da nascondere o cambiare, ma è una cultura che, per fortuna, rimane per sempre.
“A 20 anni ho avuto la consapevolezza che dovevo impegnarmi in questa missione per ascoltare e sensibilizzare: quando puoi devi, perché la conoscenza è l’unico strumento per combattere l’ignoranza. Nel nostro caso bisogna impegnarsi ancora di più.
Durante i concerti intesso un discorso socio culturale con il pubblico per utilizzare anche la musica come arma per combattere l’odio. Racconto di Reinhardt, delle origini del flamenco. Quando c’è mio padre lo fa lui: è il più anziano che parla.”
“Non mi spaventano i politici, porta bandiera del pensiero razzista, temo di più che il razzismo possa dilagare ed attecchire su chi non ha consapevolezza di quello contro cui scarica la propria rabbia e violenza.
Voglio essere un portavoce non solo per difendere, ma soprattutto per spiegare le nostre ragioni.
Con i social si possono raggiungere migliaia di persone a costo zero. E’ il momento di farlo, per smuovere altri, avvocati, medici, intellettuali rom a venire allo scoperto e a mostrare l’orgoglio dell’appartenenza Rom.”
“Io sono membro attivo permanente dell’IRU International Roman Union, ente nato a Londra nel 1971, riconosciuto all’Onu che rappresenta i rom di decine di nazioni. Si occupa di monitoraggio e prevenzione: non si può muovere in maniera effettiva, ma ne siamo parte ed è un luogo nel quale si può riferire e soprattutto ci si può confrontare con diverse esperienze.”
“Solo in Italia ci sono i campi nomadi, un retaggio del nazi fascismo che vuole continuare a ghettizzare. Chi offre un lavoro a chi vive nel campo, quanto sono distanti le scuole per chi vuole studiare e vive lì? Far entrare le persone in una casa è essenziale per eliminare le differenze.
Scontiamo il fatto di essere pochi rispetto ad altri paesi e quindi dover lottare più duramente per chiedere il rispetto dei nostri diritti. Nel resto d’Europa ci sono 14 milioni di Rom che hanno rappresentanti eletti a livello politico. Per non parlare del Brasile che ha avuto un presidente Rom, Juscelino Kubitscheck.”
“I nostri 150 mila con diritto di voto non fanno abbastanza gola per essere rappresentati. Io però sono sicuro che stia cambiando qualcosa anche per noi e non solo in senso negativo. Vado avanti: con la mia musica che è una parola universale per unire e con il mio impegno per farci conoscere realmente.
Ieri, 8 aprile, giornata internazionale dei Rom, ho suonato con l’Orchestra europea della pace nel teatro lirico di Cagliari, per un pubblico di duemila persone: continuerò ad esibirmi, ovunque, fiero delle mie origini.”
La Traccia Volante: Che bei Momenti! Me lo ripeto da quando ho capito l’importanza di quanto facessi. Non solo devo ringraziare, ma anche godermi quanto sto vivendo.
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