In questi mesi sto raccogliendo storie vere, dalle voci, che si confondono nei dialetti, ma si ritrovano nel calore, di chi vive la propria vita con passione, spinti a lasciare un segno per gli altri di ciò che fanno. Entusiasmo e speranza. Nella piazza del leader del paese, oggi, ho respirato un certo astio e tanta indolenza.
Bisogna conoscere a fondo per capire, cercando di spogliarsi di alcuni pregiudizi, senza perdere l’àncora delle proprie certezze. Con questo stato d’animo e molta curiosità, ho deciso che sarei andata ad ascoltare il Ministro dell’Interno, oggi in visita promozionale qui a Pesaro. Mi interessava anche vedere e sentire le opinioni di chi lo attendeva e di coloro che lo avrebbero inneggiato. Confesso l’ansia per la volontà di mia madre di andare ad urlargli contro il risentimento di una generazione combattente, ma democratica.
“Ho solo un quaderno e un libro, piccolo” ho detto ai poliziotti che presidiavano ogni ingresso della piazza. “Basta che non glielo tiri” è stata il viatico con il sorriso.
Obiettivamente ci sono molte poche persone, sotto gli ombrelli, ricreando l’incubo di ogni organizzatore di iniziative elettorali: più gente sul palco a parlare che sotto ad ascoltare. I messaggi degli aspiranti candidati, giunti da ogni paese della provincia, sono abbastanza ripetitivi. Va forte la chiosa, in climax crescente: “prima i pesaresi, prima i marchigiani, prima gli italiani.” Gli applausi scarseggiano, il freddo aumenta, per cui con mamma decidiamo di andare a prendere un caffè al Ducale. Pochi clienti anche qui. Mi colpisce una donna graziosa e saltellante che dialoga, con l’unico possessore di bandiera leghista finora individuato: “stavo correndo, mi hanno detto che c’era lui, mi son detta: che figata, mi fermo!” Non voglio cedere alla troppo facile deduzione che collega tale dialettica alla scelta del destinatario di cotanto entusiasmo, mi rende perplessa più il seguito. “Ma non era già venuto qui poco tempo fa?” “Mi pare, forse…” risponde il militante. Vorrei ricordare che era stato qui in veste istituzionale dopo che era stato commesso un omicidio di mafia, anche se non erano mancati sorridenti selfie nemmeno allora, ma sorseggio il caffè e mi taccio, riflettendo su queste lacune degli adepti rispetto ai percorsi del loro capitano.
Si respira un’atmosfera indolente, interrotta solo dall’enfasi del presentatore: “provateci voi a parlare davanti a tremila persone!”, esclama per incoraggiare gli interventi fiacchi. Sono consapevole che non sia facile parlare in pubblico, l’emozione è giustificabile, anche davanti a 200 persone ( ad esser generosi) con l’ombrello.
Individuiamo sotto i portici il signor Marco, ex vicino di casa e ci avviciniamo. “Siam qui per sentire, vero Vale?” Mi accoglie netto. “Certo” e gli mostro il mio libro “Lettera ad un razzista del terzo millennio” di Don Ciotti. Capisco che il luogo scelto è in gran parte popolato da uditori con il nostro stesso scopo.
“Piove, la sinistra ci boicotta sempre” ironizza un candidato che non si emoziona.
“Ma allora è vero che lassù son comunisti” scherza una signora al mio fianco.
Venuta per ascoltare le opinioni dei sostenitori, mi trovo coinvolta nella tribuna degli ospiti, anche se tali non si sentono, come ribadisce il signor Marco ad un conoscente che, simpaticamente, gli chiede perché gli avesse preso il posto: “noi stiam qui tutti i giorni dalle sei del pomeriggio: la piazza è nostra!” Lo spazio per le battute mi sembra limitato: non c’è tensione, nonostante donne e uomini delle forze di polizia ovunque. Si percepisce una sensazione di velata amarezza da parte di questo gruppo di pesaresi: non si aspettavano di sentirsi ripetere che finora sono stati secondi (non si sa a chi) e temono che pure qui, nella piazza del Popolo, dove i bambini giocano, si organizzano eventi di cultura, si sta insieme sereni, possano echeggiare parole ostili.
“Sta tranquilla Vale, son pochi…” forse interpreta la mia espressione, alla quinta volta che si richiama la “presa della città”.
In ritardo, perché c’era traffico ( una vera novità che porta dopo 70 anni in città), arriva il leader leghista, indossando uno scintillante giubbotto blu, stile happy days, con l’immancabile scritta “Italia”. Non c’è tripudio, qualche fiacco “Matteo”. Quasi ci rimango male.
Scatta la contestazione di un gruppo di ragazzi al centro della piazza ( lo spazio c’era): saranno una ventina, ma si fanno sentire e vengono subito accerchiati, pacificamente ( mi preme dirlo, perché anche i volti degli agenti mi sembravano rassegnati) dai poliziotti.
L’attacco del Ministro è immediato: “andate a scuola, le mamme non vi hanno educato bene, noi non veniamo alle vostre manifestazioni, Bella ciao la canta meglio il Volo.” Sembrano anche queste battute da copione, l’unico dubbio è che i tre del Volo sappiano di essere citati come mediocri esecutori di Canti che rappresentano il patrimonio culturale del paese. Attendo ormai con ansia, quasi come fossi andata ad un concerto di Albano per l’acuto di Nel Sole e mi ritrovassi a sentirlo ricordare quando andava a raccogliere l’uva con il nonno.
“Abbiamo fatto chiudere tre negozi di cannabis nella notte!” è la prima argomentazione forte. “Siamo contro gli spacciatori!” Pensare che il punto vendita sotto casa nostra vendeva solo pasta e tisane, forse per questo ha fallito dopo pochi mesi.
Ora arriva, la botta, dai. “Abbiamo diminuito gli sbarchi e fermato chi ci guadagnava.” Oh, finalmente, l’ha detta. “Datemi i vostri codici fiscali che ve li mandiamo a casa vostra i migranti!”.
Mi sono persa: ma a chi si rivolge? Vedo il dubbio negli occhi di alcuni presenti. Parla con i venti contestatori, non con la piazza. “C’è chi ha paura dei libri e impedisce la libera cultura. Proibendo ad alcuni di andare al Salone del libro.” Metà della metà della piazza non afferra e neanche su questo passaggio arriva grande entusiasmo.
“Viva Pesaro, Viva le Marche, liberiamo questo paese. Hasta la victoria!” Dieci minuti, con provocazione finale.
Siamo ormai nel gruppo dei contestatori, inevitabile collocazione, anche per recuperare quel minimo di adrenalina che si dovrebbe respirare al comizio di un leader. I ragazzi fischiano, pure mamma. I pochi giornalisti presenti fanno domande, più a loro. Gli altri, i 300/3000 che avrebbero dovuto applaudire e sostenere le tesi del loro capitano, sono ora concentrati in quello che sembra il ruolo riconosciuto. D’altronde il ministro stesso ha ripreso il microfono proprio per ribadirlo. Prima un accenno alla castrazione chimica per gli stupratori che gli era sfuggito e poi, senza soluzione di continuità: “ed ora chi vuole farsi una foto con me, si metta in fila.” Sono tutti lì: le transenne, che non hanno contenuto folle e nemmeno violente contestazioni, servono per dare l’ordine ai selfie.
Insieme a mamma ci aggiriamo con espressione dubbiosa: “che ha detto? Ma è già finito? E Siri, la violenza indiscriminata contro i rom, gli ultimi arresti per corruzione, la lotta alle mafie (oggi si ricorda Impastato), qualche accenno specifico al territorio da liberare?”
Salutiamo i ragazzi, mamma ne abbraccia uno che rivendicava con orgoglio le sue origini siciliane. Un rapido scambio con Musli, il candidato che voterò per il consiglio comunale e ce ne torniamo verso casa. Intorno il silenzio, passa una scolaresca di bambini allegri ed una signora che ci ferma: “ma che c’era in piazza che non si poteva passare?”
Il senso della mattinata sta nella mia difficoltà di rispondere, in maniera argomentata, alla domanda. Volevo capire e sono rimasta perplessa. Pesaro è una città tranquilla, lo so, come direbbero a Roma “tutto le rimbalza”, ma non riesco a togliermi l’impressione di aver partecipato ad una farsa.
In questi mesi sto raccogliendo storie vere, dalle voci, che si confondono nei dialetti, nelle età, ma si ritrovano nel calore, di chi vive la propria vita con passione, spinti a lasciare un segno per gli altri di ciò che fanno. Spesso, quando finisco di parlare con loro o di riscrivere quanto mi hanno generosamente offerto, mi commuovo e conforto nella consapevolezza dell’esistenza di un paese di donne e di uomini che mettono le loro parole, la loro forza, il loro entusiasmo al servizio di una collettività, spesso in maniera inconsapevole.
In piazza, oggi, non c’era nulla di tutto ciò.
Ero andata per capire, per conoscere, sono tornata con grandi dubbi. Per fortuna rimangono le certezze. Starò sempre con chi non ha problemi ad accogliere; chi non offende chiunque esprima la propria opinione; chi si informa e lotta contro le reali forme di illegalità diffusa; chi crede nella giustizia e nel valore riabilitativo della pena; chi legge e non brucerebbe mai nemmeno un Harmony; chi ama il territorio nel quale ha scelto di vivere e ne riconosce la bellezza, preservata da oltre 70 anni, da parte di chi lo ha amministrato; chi si emoziona; chi canta Bella Ciao anche se non è il Volo e chi non fa la fila per scattarsi una foto, ma per vedere un’opera d’arte.
Mi ero portata un libro, la Lettera a un razzista del terzo millennio, scritta da Don Luigi Ciotti. Non l’ho tirato verso il palco, come temeva il poliziotto, forse avrei dovuto passarlo a chi è intervenuto, perché ho letto il contenuto più volte.
Scrive Don Luigi: “Il tempo che viviamo è segnato da una dittatura dell’effimero, da un eterno presente in cui tutto accade senza lasciare traccia. Conta l’emozione, il clamore, la polemica del momento, ma poi tutto finisce lì, soppiantato da altre emozioni, clamori, polemiche. Calato il polverone dell’emergenza, il paesaggio che si offre ai nostri occhi è sempre lo stesso, solo più desolante e trascurato. E’ bene essere consapevoli. E reagire. Bisogna abbandonare l’odio, ma anche smettere di stare a guardare al balcone. I tempi sono bui e le prospettive ancora più fosche, ma non abbandono la speranza.”
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