“Lo ripeto spesso alle ragazze che alleno oggi: “Voi siete fortunate perchè se vi impegnate potete fare questo come lavoro, prima era inimmaginabile.” Oggi si può scegliere e osare. Io dovrò sempre ringraziare la mia famiglia che mi ha permesso di seguire il mio sogno del calcio. La generazione che sta giocando i Mondiali è quella di chi ha voluto e vissuto il cambiamento, hanno quindi una motivazione in più per andare avanti. Sono amica di alcune, orgogliosa di loro: rappresentano la svolta.”
La Nazionale femminile di calcio è ai quarti di finale ai Mondiali. Finalmente si inizia a parlare di loro in termini atletici. Pregiudizi e stereotipi si stanno superando, grazie ai risultati che la squadra sta ottenendo. Non è stata facile la strada, non solo per il confronto con avversarie che provengono da contesti più storicamente strutturati, ma anche perchè le nostre calciatrici sono state giudicate e considerate, secondo canoni che avevano poco a che fare con lo sport. Le nostre campionesse sono andate avanti, dimostrando il loro valore nel campo, facendo tacere l’ignoranza con i goal e l’orgoglio con il quale stanno portando in alto i nostri colori. Prima di loro ci sono state altre generazioni a lottare ed aprire varchi. Maria Iole Volpi, per 10 anni capitano della Roma calcio femminile, ora allenatrice delle giovanili della AS Roma, ha vissuto una storia che meriterebbe un film. Partita da Rieti, dove non esistevano nemmeno scuole calcio maschili, è arrivata a fare i provini alla Lazio, così motivata dalla sua passione e preparata dal suo allenamento continuo, da finire subito in prima squadra e in Serie A. Ha deciso di trasferire la sua fatica per trasformare l’amore di una vita per il pallone in una professione: alle ragazze della AS Roma a cui ricorda sempre di essere fortunate ad aver potuto scegliere il loro sport; ai 30 insuperabili, disabili che con il calcio sfidano se stessi e le barriere poste da altri; alle rifugiate e richiedenti asilo della squadra femminile dei Liberi Nantes; alle compagne di squadra della San Lorenzo a 5. Dovunque può lasciare la sua traccia da capitano, Maria Iole va, giallorossa nel cuore, con il pallone sempre tra i piedi, come quando girava per Cottanello, sognando di segnare in un campo regolare.
La traccia: il calcio per tutti
“Ho iniziato a giocare a 15 anni, prima facevo pallavolo, ma sono da sempre appassionata al calcio. Giravo, anche in vacanza, nelle strade di Cottanello, il paese di mio padre, con il pallone tra i piedi. Non sapevo ci fosse la possibilità di frequentare una scuola o di allenarsi in squadre maschili, però non smettevo mai di farlo. Tanto che dei miei amici un giorno mi hanno proposto: “perchè non vai a Roma a fare un provino alla Lazio.”
“Convinta che non ce l’avrei mai fatta, non mi sono nemmeno comprata gli scarpini, sono andata con quelli di mio fratello, tre numeri più grandi del mio. Invece mi hanno preso: è cambiata la mia vita.
Ho avuto la conferma che per me non ci sono questioni di taglie e scarpini: il calcio è il mio vestito indossato a pennello.”
“La mia famiglia è stata la mia altra fortuna. Mi hanno accompagnato ogni giorno da Rieti a Roma, senza farmi mai perdere un allenamento. Avevo la stessa età delle miei compagne, ma loro avevano frequentato le scuole da 10 anni, quelle che da me non esistevano: io avevo sostituito con i miei allenamenti in strada. Con la Lazio siamo arrivate in Serie A. Fino a 18 anni facevo avanti e indietro da Rieti, poi mi sono iscritta all’Università a Roma. A 21 anni sono andata a giocare al Milan, poi un anno a Bardolino con il Verona e una stagione in Spagna.”
Finalmente alla Roma
“Al ritorno, a 24 anni, finalmente sono stata presa dalla Roma calcio femminile, la società che esiste da 53 anni. Giallorossa per dieci anni: non avrei potuto più giocare in un’altra squadra. Ho avuto l’onore di essere il capitano fino alla mia ultima partita. Il 22 maggio del 2015 ho dato l’addio ufficiale. Avrei voluto portare la squadra in A, ma non ce l’ho fatta. Mi hanno fregato i film: sognavo di portare i miei colori nella massima divisione. Dopo quattro anni ancora mi sto riprendendo dalla delusione.”
“Non mi sono mai risparmiata per onorare la mia maglia. Volevo tramandare la mia passione. Subito dopo aver smesso di giocare, ho avuto la grande opportunità di allenare le ragazzine che iniziavano il percorso nella As Roma, una delle prime squadre maschili a seguire la direttiva del Consiglio europeo e ad aprire la sezione femminile. Nel 2014 gli stati membri dell’Unione sono stati ufficialmente richiamati all’impegno per il superamento delle differenze di genere nel calcio. Ho vissuto in prima persona il cambiamento che si è verificato, in positivo, con l’ingresso dei grandi club nel nostro settore. Sono aumentate visibilità e opportunità.”
“Lo ripeto spesso alle mie ragazze: “Voi siete fortunate perchè se vi impegnate potete fare questo come lavoro, prima era inimmaginabile.” Oggi si può scegliere e osare. Io dovrò sempre ringraziare la mia famiglia che mi ha permesso di seguire il mio sogno. Solo da poco, ho potuto interpretarlo come la mia professione. Dopo dieci anni da capitano, quando ho deciso di smettere di giocare, sono passata subito ad allenare la giovanile. In parallelo però portavo avanti anche un’altra attività lavorativa.”
“Ho studiato e sono diventata Assistente educativo culturale nelle scuole. Ho sempre avuto un’attenzione speciale per i ragazzi con disabilità. Quando stavo per laurearmi, ho subito un infortunio serio in campo. Per due mesi ho camminato con le stampelle, constatando ancora di più le difficoltà di chi ha disabilità motorie. Ho deciso quindi di dedicare la tesi al tema delle barriere architettoniche, conoscendo diverse realtà, coinvolte soprattutto nella battaglia per abbatterle.”
Con 30 insuperabili in campo
“Con questa predisposizione, sei anni fa, sono andata a seguire gli allenamenti di una squadra di Rieti che aveva deciso di collaborare con gli Insuperabili. Si tratta di un progetto nato a Torino nel 2011: una scuola calcio per ragazzi e ragazze con disabilità fisico-motorie, cognitive, affettivo-relazionali, emotive e comportamentali. L’idea è di utilizzare il calcio per garantire la crescita e l’integrazione all’interno della società. “
“Ho conosciuto il presidente e gli ho chiesto “Perchè non facciamo una squadra anche a Roma?” Da allora alleno 30 ragazzi in due centri diversi della capitale. E’ una delle soddisfazioni più importanti della mia vita. Ragazze e ragazzi che prima non si relazionavano, ora hanno gruppi whatsapp in cui si confrontano sulle partite e non vedono l’ora di venire in campo. Hanno dai 6 ai 40 anni, formano 3 squadre. Gli allenamenti sono adattati alle loro problematiche, per provare a dare un contributo a superarle. Io sono responsabile di uno staff, composto da psicologi, tecnici, educatori, fisioterapisti. Spesso arrivano con un curriculum: a me basta capire la sensibilità. Non mi sono mai sbagliata: lavoro con persone splendide.”
Da Liberi Nantes alla San Lorenzo
“Sempre per caso, ho conosciuto un’altra persona speciale, Alberto Urbinati, il presidente di Liberi Nantes, dal 2007 l’unica Associazione Sportiva Dilettantistica in Italia, riconosciuta dall’UNHCR, che promuove e garantisce la libertà di accesso allo sport a rifugiati e richiedenti asilo politico. Stavano creando la squadra femminile. Alberto mi ha chiesto: “ sai chi potrebbe darmi una mano?”. “Senza impegno, ve la do io!” La mia risposta automatica.
Attraverso il calcio si possono aprire tante porte per il dialogo e l’inclusione. Da un anno alleno 10 ragazze che arrivano da diverse realtà: abbiamo iscritto la squadra ad un torneo amatoriale in cui giocano insieme a gruppi italiani. Per passione mi dedico ad un’altra realtà sportiva che incarna i miei valori: il San Lorenzo calcio. Quest’anno ho giocato nella squadra a 5.”
“Le mie giornate sono praticamente sempre in campo. Prima, la mattina ero a scuola come AEC, da un anno ho deciso di dedicarmi completamente al calcio. E’ il momento di impegnarsi ancora di più. Sembra si stiano abbattendo completamente i pregiudizi. Conoscere e mostrare quanto sappiamo fare in campo, sta consentendo di superare l’ignoranza alla base di tanti stereotipi. Siamo molto indietro rispetto agli altri paesi, ma recuperiamo. La generazione che sta giocando i mondiali è quella di chi ha voluto e vissuto il cambiamento, hanno quindi una motivazione in più per andare avanti. Le conosco, alcune sono mie amiche: sono orgogliosa di loro, rappresentano la svolta.”
La Traccia volante: “Sono un ragazzo fortunato perchè mi hanno regalato un sogno” cantava Jovanotti. Io sono fortunata anche a riconoscere di esserlo.
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