La lotta di una madre per il figlio

Dal 7 giugno sono in un girone dantesco, ma non mi arrendo. L’avvocato sta facendo il possibile sotto il profilo legale perché si risolva tutto per il meglio nel minor tempo possibile. Tuttavia spero che le autorità competenti si facciano carico di questo abuso e liberino mio figlio velocemente. Tutta la procedura del prelievo è stata anomala. In un paese civile ciò non dovrebbe mai accadere”

madre e figlio finestra casa famiglia

Il business spietato degli affidi, scoperto nella provincia di Reggio Emilia, provoca rabbia e inquietudine perché le vittime sono bambini indifesi. Raggirati, traumatizzati, forse lesi per sempre nella loro capacità di discernere e di sentire, proprio da parte di chi dovrebbe tutelarli. Un sistema che fagocita innocenza, pensieri e sogni dell’infanzia per trasformarli in vergognose convenienze. Un tunnel di assurde coincidenze nel quale si può trovare imprigionata, all’improvviso, una madre a cui viene tolto il proprio figlio, senza alcuna giustificazione, legale e umana, plausibile. Unica possibilità di uscirne, resistere nella consapevolezza dei propri diritti e nell’amore per il proprio bambino. E’ l’incubo che sta vivendo una libera professionista romana a cui, il 7 giugno, hanno portato via, senza alcun preavviso, il piccolo di tre anni e due mesi, basandosi su motivazioni pretestuose. Il suo caso è stato sollevato dall’associazione Maison Antigone che la sta sostenendo e ha lanciato una petizione per chiedere al Presidente Mattarella di farle riavere suo figlio (https://www.change.org/p/presidente-repubblica-sergio-mattarella-riportiamo-angelo-alla-sua-mamma.). Chi tocca una madre e soprattutto pregiudica il futuro di un bambino, si mette contro un popolo che non può tollerare una simile ingiustizia. Ho parlato telefonicamente con questa donna, lucida, forte, due lauree e un master all’estero, ora disperata, ma certa che non si arrenderà fino a quando non riporterà a casa suo figlio. La  sua storia non è isolata. Molte donne sono colpite dalla piaga dei prelievi coatti e dall’incubo delle case famiglia, quasi sempre tacciono, per tutelare i figli e loro stesse. Questa traccia, che non può riportare i nomi dei protagonisti, può però servire a fare in modo non si dica di non sapere.

madre bambino che soffre

Sono in corso di separazione giudiziale. Ho molto amato mio marito e ora tento di mantenere un rapporto sereno con lui per il bene del nostro bambino, che comunque è fuori dai nostri contrasti. E’ cresciuto in un ambiente sano, amato e protetto, circondato dalle cure amorevoli della famiglia. Ci sono stati, purtroppo, episodi di conflittualità con denunce, come spesso accade in questo tipo di separazione. Da protocollo, nei casi in cui ci sono minori, la polizia è tenuta ad allertare gli assistenti sociali per accertamenti.”

Il 7 giugno ci ha convocato un assistente sociale a cui ho manifestato l’intenzione di riavvicinarmi geograficamente al padre (per alcuni mesi siamo stati da mia madre), e tornare dove abbiamo tutti la residenza, lavoriamo e abbiamo casa, cosicché il bambino fosse pronto a frequentare l’asilo comunale dove da settembre prossimo è stato iscritto di comune accordo col padre. Durante questo incontro in conseguenza del fatto che il mio ex marito, davanti all’inerzia dell’assistente sociale, ha continuato ad urlare e sporgersi verso di me, per timore che, nella concitazione, potesse farmi male, come riportato anche nelle denunce di cui sopra, mi sono nascosta dietro la scrivania. Dopo che il mio ex marito è uscito dalla stanza imprecando, l’assistente sociale mi ha intimato di non lasciare la città. Mi chiedo se avesse la competenza giuridica per farlo, ammesso che ce ne fosse la ragione”.

Preso e allontanato

A un’ora da quell’unico colloquio, mi hanno chiamato dalla scuola del bambino per avvertirmi che era arrivata la polizia con gli assistenti sociali a prelevare mio figlio e che non avevano lasciato nessun atto perché era un provvedimento d’emergenza. D’emergenza rispetto a cosa continuo a non capirlo, ma, come ogni madre avrebbe fatto, mi sono precipitata in polizia per avere delucidazioni. L’assistente sociale è stata molto vaga, affermando che il bambino sarebbe stato al sicuro in ambiente protetto, anche se continuo a non capire da cosa dovesse essere protetto, visto che è stato strappato alla famiglia per essere portato tra estranei. Non solo non è chiaro dove fosse l’emergenza per un provvedimento così drastico, ma nessuno prelevando il bambino si è preoccupato di chiedere la cosa più importante: la sua cartella clinica. Infatti il mio bimbo è cagionevole di salute, soffre di convulsioni febbrili, allergie a farmaci e insetti. Ero preoccupatissima per lui e non sapevo con chi e come mettermi in contatto per far presente la problematica”.

madre e bambino casa.jpg

Sono passati 5, interminabili, giorni, durante i quali sono riuscita a sentirlo solo per poco e, finalmente, l’ho rivisto. Strappare un bambino felice e sereno dal seno materno per farlo soffrire è sadismo gratuito e i suoi pianti disperati per tornare con me e con la famiglia che lo ama, è materia per il Tribunale dei Diritti Umani. Me lo hanno preso dalle braccia in lacrime. Mi chiede continuamente di tornare, di andare a prenderlo subito, dice che il letto è scomodo, che è stanco di stare lì, che vuole i bacetti sui piedini: si dispera e io sono impotente. Da qualche giorno sento che si sta rassegnando e la sofferenza nel vederlo spegnersi così è inenarrabile. Lo posso vedere un’ora a settimana e, già nelle ultime due occasioni prima di rispondere alle mie domande, cercava il consenso dell’educatore prima e dopo aver risposto. Diceva che i bambini cattivi vanno a dormire presto. Ci sono inquietanti somiglianze a quanto riportato circa il caso dell’Emilia Romagna. I vestiti che gli abbiamo portato non li indossava, lui mi ha detto che gli abiti sono di tutti. Se porto regali mi criticano dicendo che è un meccanismo compensativo, se porto giocattoli da casa dicono che non va bene perché si deve adattare alla nuova realtà e non pensare al passato. Su internet ho scoperto che questo processo si chiama “resettaggio”:  lo preparano così per un eventuale affido o per un’adozione, staccandolo progressivamente da me. Più il bambino è piccolo e più il processo è efficace e veloce.”

Resistere per amore

#183taglio

Mi sono rivolta ad avvocati specializzati nella materia. Dall’accesso agli atti è emersa una relazione manipolata, dove le mie affermazioni venivano travisate, i miei comportamenti riportati in maniera diversa, con interpretazioni faziose. Affermazioni che lasciavano intendere un comportamento inappropriato. Tutto amplificato per giustificare un provvedimento, in ogni caso inapplicabile, l’articolo 403, che viene adottato “quando il minore si trova in una condizione di pericolo per la propria integrità fisica e psichica.” Questo articolo si prevede quando si verificano “abuso fisico o sessuale, situazioni di droga, di stato di degrado, di incuria, quando i genitori sono pericolosi per i propri figli.” Nulla che riguardasse neanche lontanamente il caso in oggetto. Conduco una vita sana e tranquilla. Sono astemia da sempre, non fumo, non bevo neppure caffè, vado a dormire con mio figlio dopo le 20:00 tutte le sere. Amo il mio lavoro, i miei amici e la mia famiglia, non ho un nuovo compagno, né esco per locali. Né, d’altra parte, sono state fatte indagini sull’ambiente dove vive e interagisce il bambino: nessuna maestra o vicino è stato interpellato. Nemmeno la pediatra, che di solito è la prima a poter certificare le condizioni in cui il bambino cresce e vive. No, in meno di un’ora, un’assistente sociale col delirio d’onnipotenza ha ritenuto opportuno un intervento così urgente e grave sulla base dell’impressione avuta in pochi minuti.”

Il mio avvocato ha fatto ricorso al Tribunale dei Minori che però ha confermato intanto il collocamento del piccolo nella casa famiglia fino al 30 settembre. Non preoccupandosi di quelle che possono essere le conseguenze di tale provvedimento frettoloso. Sento il bambino su arbitraria decisione degli assistenti sociali. Le videochiamate sono vietate. Posso vederlo una sola ora a settimana. Il bambino sta soffrendo, è triste, è apatico e non ha voglia di parlare, lui che era un grande chiacchierone e giocherellone. Ho cercato di spiegargli cosa sta accadendo dicendogli la verità, per quanto sia complessa, ma sono stata ripresa più volte. La verità è l’unico modo per non perdere la fiducia di mio figlio che ogni giorno chiede e spera che vada a prenderlo. Non posso accettare che passino così mesi. Nel frattempo chi conosce il bambino e la mia famiglia è insorto, a cominciare dalla pediatra che, autonomamente e senza che venisse richiesto, ha prodotto una relazione che riportava come il piccolo fosse seguito e curato in maniera attenta e premurosa, indicando anche dell’errore macroscopico agli assistenti sociali e alla casa famiglia che l’aveva portato a visita. Alla pediatra si sono unite educatrici e maestre, direttrice, vicine, ginecologa e amici con relazioni dettagliate sul rapporto madre/figlio, sulla genitorialità, sulle abitudini e sul comportamento del bambino, pluralità di opinioni che comprovano l’infondatezza del provvedimento”.

madre e figlio mano

Dal 7 giugno sono in un girone dantesco, ma non mi arrendo. L’avvocato sta facendo il possibile sotto il profilo legale perché si risolva tutto per il meglio nel minor tempo possibile. Tuttavia spero che le autorità competenti si facciano carico di questo abuso e liberino mio figlio velocemente. Tutta la procedura del prelievo è stata anomala. In un paese civile ciò non dovrebbe mai accadere.”

Il mio bambino potrebbe subire danni irreversibili. Chi pagherà per questo? Tali provvedimenti d’emergenza dovrebbero essere applicati solo in reali e comprovate situazioni pericolose, non su giudizi approssimativi e arbitrari di un unico individuo che segnala a un giudice una situazione presunta che non ha attinenza con l’articolo applicato. Questi errori rovinano l’esistenza alle persone. Non doveva succedere. Invece il nostro caso crea un preoccupante precedente per cui chiunque possa essere vittima di un rapimento istituzionalizzato per futili motivi e manipolazioni.

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