Una ricetta è: rispetto delle tradizioni, lievi innovazioni accorte, osservazione, concentrazione, un tocco di mistero e passione sincera per l’arte della cucina. La caponata è una magia che, dall’isola meravigliosa, sprigiona frammenti di storia, gusto, fratellanza, accoglienza e amore, a chilometri di distanza, anche su una terrazza al centro di Pesaro, odorosa di piada e di passatelli.
“Mi raccomando taglia a cubetti e friggi tutti gli ingredienti separatamente, cambia l’olio spesso e assaggia solo quando è tiepida per l’agrodolce.” Mariagloria, figlia di un rinomato ristoratore del centro di Catania, ambasciatrice nel mondo della cucina italiana come anima di cene internazionali, mi risponde da una terrazza affacciata sul mare per raccontarmi la sua caponata. Ce la prepara da sempre e non rimane nemmeno un chicco di uva sultanina. Quando abbiamo pensato di organizzare una serata di piatti tipici non ho avuto dubbi: dovevo chiamare lei.
Mentre mi illustra ogni passaggio con precisione, consapevole sarà difficile io riesca a seguire, mi incanto: “devi prepararla almeno il giorno prima, perchè deve posare. E prendi verdura fresca!” Gli amici conoscono le debolezze di chi è abituato a comprare sedani imbustati. Al mercato ogni suo consiglio è un verso da condividere con la signora del banco: le melanzane lunghe e sode; i peperoni profumati; le olive verdi saporite; i capperi sotto sale; le cipolle dolcissime. Mai mi ha sentito così decisa nella scelta delle verdure.
Ieri notte, approfittando di un vento leggero e del tavolo libero da apparecchiare ho deciso di agire, posizionando tutti gli ingredienti, ognuno con il proprio piatto, coltello e padella, per provare a riprodurre la densa narrazione.
Mentre tagliavo, dividevo e assegnavo ogni creatura vegetale alla frittura di Gian, ho avuto netta la percezione dell’amore che Mariagloria trasferisce dal piatto a noi, tanto da farlo respirare anche nei messaggi con cui ha continuato a controllare ogni mio passaggio. “Il sale, poco, in ogni frittura! Zucchero e aceto di vino, falli sfumare cinque minuti!”
Una ricetta è storia, rispetto delle tradizioni, lievi innovazioni accorte, osservazione, concentrazione, un tocco di mistero e passione sincera per l’arte della cucina. Mia mamma ci ha cresciuto, narrando spesso dei suoi pomeriggi a fissare la famosa zia Enza mentre creava sul tavolone di marmo la sua torta paradiso o le coscette di pollo speziate. Non ha mai osato ripetere le sue preparazioni, assegnandole all’eternità del gusto. Io e Anne rimanevano imbambolate invece, mentre nonna Mena, con gesti rapidi e irripetibili, disegnava tavole e tavole di gnocchi ( la prima volta che ho provato a rifarli, il mattone di farina e acqua ricomposto, ha creato seri problemi gastrici a chi lo ha assaggiato) o lanciava la pasta filante nell’olio caldo, componendo magicamente le pizzelle.
“Sembra venuta bene, ora bisogna sentire il sapore”. A mezzanotte, ho inviato la foto di questa pagina di segreti e consapevolezze, passata attraverso qualche lieve distrazione.
L’abbiamo adagiata con movimenti lenti, sacri in uno dei nostri piatti da portata arabi, quasi come a ribadire l’incontro di culture: la base di molti cibi siciliani.
Un cucchiaino solo per capire se vagamente potesse ricordare il sapore unico della delizia di Mariagloria: “un po’ ci sta, facciamola freddare.”
Mi sono svegliata con le mani ancora colorate del nero delle melanzane e intrise dell’incontro dei profumi di cipolle, olive e uva sultanina.
Stasera la faremo provare a nuovi amici: penserò a quelli che sono lontani con cui l’ho sempre condivisa e proverò tutta la gratitudine possibile per Mariagloria. Perchè la caponata non è solo una ricetta, ma una magia che, dall’isola meravigliosa, sprigiona frammenti di storia, gusto, fratellanza, accoglienza e passione a chilometri di distanza, anche su una terrazza al centro di Pesaro, odorosa di piada e di passatelli.
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