“Ho 25 anni e ho visto cambiare l’atteggiamento degli italiani. Ora pare quasi che ci si senta deliberati ad attaccarci in quanto neri. Viviamo in una tale condizione che ormai è il gesto bello a sorprenderci. Non ho paura, mostro fiera l’appartenenza a entrambi i miei paesi e lavoro per dare il mio contributo concreto allo sviluppo, sia dell’Italia, sia del Ghana.”
Non si ferma l’ondata di razzismo, minimizzata e sottovalutata da una politica e un’opinione pubblica, pronta a schierarsi, ma non ad affrontare il problema in maniera seria e costruttiva. Provano a farlo, nella realtà quotidiana, ragazze e ragazzi italiani, nati da famiglie con altre origini: crescono e diffondono la conoscenza e il rispetto per le loro radici. C’è chi fa ancora di più: crea ponti tra le società, per aiutare nello sviluppo di una cultura, di una economia, di un futuro che si arricchisca nello scambio e non nello scontro. Tra loro c’è Susanna Owusu Twumwah, romana del Ghana, da poco laureata in cooperazione internazionale, è una Social Media Manager specializzata nella comunicazione interculturale. Il sogno di Susanna è continuare a vivere tra i suoi due paesi, dando un contributo ad entrambi, anche se riconosce l’aumento degli attacchi razziali e della diffidenza insensata degli italiani verso gli stranieri. Spera che per arginare le conseguenze di tutto questo si creino figure professionali in grado di capire e strutturare strategie concrete. Studia e si adopera anche per questo, convinta che rafforzando se stessa si possa aiutare a rafforzare anche gli altri.
La traccia: progetti di inclusione e connessione tra i popoli
“Sono nata e cresciuta a Roma, dove 30 anni fa sono arrivati i miei genitori dal Ghana. Ho avuto la cittadinanza quando sono diventata maggiorenne, ma questo non mi ha creato troppi problemi: ho dovuto solo rinunciare ad un campo scuola a Londra perchè la mia famiglia avrebbe dovuto sostenere anche le spese per il visto. Per fortuna mia mamma è stata meticolosa nel raccogliere tutti gli attestati e i documenti necessari, così, appena compiuti i 18 anni, sono diventata ufficialmente italiana, velocemente. Ho sempre cercato di mantenere forte il legame con le mie radici: andando spesso in Ghana per fortificare la lingua. Superata l’adolescenza, durante la quale avevo provato a nasconderle, ho deciso di mostrare le mie origini anche dal punto di vista estetico: capelli corti, naturali e liberi. La mia identità passa anche attraverso il mio aspetto che non aveva senso occidentalizzare. “
“La mia volontà di portare avanti un impegno che guardasse ad entrambi le mie comunità di riferimento, mi ha portato a prestare supporto come interprete di fiducia per i richiedenti protezione internazionale. Quando viene rigettata la richiesta e si procede al ricorso in appello, io svolgo la funzione di mediatrice linguistica. Con l’associazione di cui faccio parte, organizzo poi tantissime iniziative per creare percorsi di inclusione, senza rimozione. Sto cercando di fare per gli altri quello di cui ho sentito bisogno quando ero più piccola. La mia famiglia mi ha incoraggiato ad essere fiera della mia storia, ma mi serviva una figura che mi facesse capire e vivere entrambi le mie realtà di appartenenza. Siamo ibridi, racchiudiamo diversi aspetti che ci rendono difficili da comprendere. Mi mancava, credo non ci sia ancora chi possa trattare in maniera professionale diverse problematiche che ci riguardano. “
Le figure che mancano
“L’anno scorso ho scritto un articolo riguardante le conseguenze che colpiscono le vittime delle micro aggressioni razziali. Ho trovato diversi studi condotti in America su questo tema, da varie prospettive, anche quella psicologica: emergevano dettagli che pure le persone nere tendono a sottovalutare, mentre sono fondamentali per proporre soluzioni. In Italia di questi fenomeni se ne occupano gli attivisti che si sono fatti carico di alcuni singole istanze, ma mi sembra non ci sia un interesse accademico ad approfondire. Ho assistito a conferenze nelle quali a parlare di diversità culturali erano stati invitati solo speaker bianchi: come si fa ad avere contribuiti sostanziosi ed esaustivi sul tema, se non si include nel panel anche chi il tema lo vive direttamente! E’ come se non si volessero interpellare, a livello accademico, coloro che potrebbero parlare e interessarsene con il punto di vista più vicino ai protagonisti dei fenomeni trattati. “
“Prendo ad esempio il caso recente dell’attacco ad un bambino nero durante una partita: la sua squadra di calcio ha pensato, come risposta, sicuramente in buona fede, di proporre a tutti di tornare in campo con le facce dipinte di nero. La blackface è una soluzione sbagliata, fin dalle origini ha sempre avuto uno scopo profondamente razzista e denigratoria, ma chi sa spiegare questo e soprattutto quale potrebbe essere la strategia corretta per evitare traumi a quel bambino, in maniera seria e costruttiva? Aiutiamo le vittime a superare il dopo. Penso a me, a come mi sentivo dopo che mi insultavano per il colore della mia pelle. E’ giusto che ora si pongano queste domande e si cominci a richiedere la formazione di chi sia in grado di rispondere. Le migrazioni sono un fenomeno abbastanza nuovo, sono sicura che tra dieci anni ci saranno, per forza, coloro che ricopriranno questo ruolo: sono ottimista di natura.”
Il futuro senza etichette
“Mi sono laureata in cooperazione internazionale e sviluppo, ma ho deciso di proseguire gli studi con un corso magistrale sulla comunicazione per il sociale che prevede anche ricerca applicata. Ho avuto la possibilità di essere una formatrice in molte iniziative promosse da organizzazioni internazionali e da realtà disseminate nel territorio italiano, tutte attività volte all’inclusione, integrazione, cittadinanza attiva, cooperazione allo sviluppo, dialogo interculturale, identità e rappresentatività. In quanto afro-discendente, afro-italiana, italiana, ghanese, romana, africana, studentessa, lavoratrice e qualsivoglia etichetta si possa affibbiarmi il mio compito è proprio quello di demolire le etichette che la società continua a volermi addossare.”
Da poco mi racconto nel mio piccolo blog in cui ho intenzione di pubblicare liberi pensieri, sentimenti, essenze, dubbi, scoperte, viaggi e tanto altro. (https://akosuamind.wordpress.com/author/susannaowusu10/).
“I miei genitori sono contenti che io abbia intrapreso questo percorso: ci sono ragazzi che sono cresciuti in maniera totalmente distaccata rispetto alle origini. Mamma e papà coltivavano terre in Ghana, sono venuti in Italia per migliorare le condizioni della nostra famiglia, hanno fatto i lavori più diversi, senza risparmiarsi. Ci hanno permesso di scegliere la strada e il paese nel quale stare: i miei fratelli non vivono in Italia e ho due sorelle in Ghana. Per il momento, io ho deciso di rimanere. Ho 25 anni e ho visto cambiare l’atteggiamento degli italiani nei confronti miei e dei rappresentanti della mia comunità. Ora pare quasi che ci si senta deliberati ad attaccarci in quanto neri. Non è solo una suggestione, ho trovato la documentazione ufficiale, registrata da parte dell’Osservatorio che presso il Ministero dell’Interno monitora questi fenomeni e ne attesta l’aumento. Viviamo in una tale condizione che ormai è il gesto bello a sorprenderci. Non ho paura, continuo a indossare, in ogni occasione speciale, gli abiti tradizionali che faccio realizzare su misura da una sarta ghanese: alla mia laurea ho fatto un mix, camicia occidentale e pantaloni con stoffe africane.”
“Non so se vorrei continuare a vivere in Europa e far crescere qui i miei figli. Per il mio ruolo di adesso e quello che vorrei ricoprire in futuro, dovrei riuscire a dividermi tra Italia e Ghana: quest’anno l’ho già fatto due volte e tornerò una terza, ma non escludo di rimanerci. Ora c’è una maggiore stabilità economica e si stanno promuovendo politiche sociali e culturali affinché le diaspore tornino a impegnarsi per lo sviluppo del paese. Finchè riesco, viaggerò, poi chissà: l’ho già detto che sono un’ottimista.”
La traccia volante: Empower yourself to empower others. Lo traduco come: rafforza te stesso per rafforzare gli altri.
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