“E’ fondamentale che i ragazzi ricoverati siano accuditi oltre che curati. Si deve collaborare perchè avvertano che si sta costruendo un programma per occuparsi anche della parte emotiva. Evitare che lentamente pensino di diventare invisibili. Se investi su di loro, sentono di avere un futuro.”
A maggio ho conosciuto Sabrina Bergonzoni, mi aveva incuriosito il suo appello social per costruire una audioteca all’interno dell’Ospedale Rizzoli di Bologna, nel reparto di chemioterapia dei tumori primari dell’osso. La chiamai e mi raccontò i suoi progetti, frutto di una storia di dolore, all’epoca molto recente. Conobbi una persona forte e determinata: oltre agli audiolibri; aveva creato una lista su Amazon per raccogliere doni per i ragazzi del reparto; organizzava eventi per raccogliere fondi per la ricerca sul tumore osseo e stava per allestire una saletta giochi nel reparto di chirurgia oncologica. Nelle sue parole c’erano le sue figlie, suo marito, una quotidianità, caratterizzata da un amore costante per la sua famiglia e per gli altri. Dopo aver pubblicato la sua traccia, ho continuato a seguirla: le sue iniziative e l’impegno continuo a tenere accesa l’attenzione mediatica sul tema. Due settimane fa ho trovato un video nel suo profilo, protagonisti: infermieri, medici, maestre, genitori pronti a ringraziare Sabrina per tutto quello che stava continuando a fare per loro. Parole semplici e toccanti di chi sa bene quanto il sostegno del mondo di fuori sia fondamentale per non cadere nel dolore di dentro. Ci siamo risentite, perchè ho capito che i progetti stanno proseguendo e ce ne sono altri che è necessario far conoscere. E poi c’è una donna che, forse senza nemmeno accorgersene, sta portando avanti con il suo modo naturale di essere, un’immagine di resistenza, coraggio, forza, gioia, fondamentale per costruire relazioni che provino a superare il dolore e quella odiosa compassione che resta. Oggi che è la giornata mondiale dei diritti dei bambini e degli adolescenti, Sabrina si impegna per quello inderogabile e a volte così difficile da difendere, alla felicità dei ragazzi, sempre e comunque.
“Credo che ormai al Rizzoli ci sia l’audioteca più fornita della Regione. Ho fermato la raccolta di libri, mentre invece prosegue quella dei doni, attraverso la lista pubblicata su Amazon. Non è legata solo al Natale che anzi è il periodo nel quale c’è più presenza di iniziative. Certo sarà un buon periodo per raccogliere e poi distribuire durante tutto l’anno, quando l’attenzione dall’esterno rispetto al reparto, sembra calare. E’ fondamentale invece che i ragazzi ricoverati si sentano sempre accuditi oltre che curati. Si deve collaborare perchè avvertano che si sta costruendo un programma anche per occuparsi della parte emotiva, evitando che lentamente pensino di diventare invisibili. “
“Per proseguire verso questa direzione sto immaginando diverse iniziative oltre a quelle già organizzate. A gennaio creerò un’associazione in grado proprio di portare avanti progetti da realizzare in reparto. Il modello di riferimento rimane sempre l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, dove ci sono laboratori e attività tutti i giorni: almeno provare ad avvicinarsi alla loro attenzione costante. Stiamo pensando a corsi legati soprattutto agli interessi degli adolescenti ricoverati. Trovare il modo per farli uscire dalle stanze. Con i bambini basta poco, si riescono ad attrarre e distrarre con un gioco, il numero di un clown, un cartone; gli adolescenti sono consapevoli, arrabbiati, non si fidano, spesso nemmeno della loro famiglia.”
Dentro al reparto fuori dalle stanze
“Occuparsi dei pazienti che frequentano le medie o le superiori, è una sfida necessaria. Se investi su di loro, sentono di avere un futuro. Non sono più in un Purgatorio nel quale la loro condizione è sospesa, hanno il tempo impiegato nel fare cose. Anche nelle giornate peggiori, avere la testa impegnata può aiutare.”
“Nella lista di Amazon cerchiamo di mettere regali funzionali a questo scopo. Arrivano però anche doni adatti a bambini più piccoli. Le maestre e le infermiere hanno pensato bene di darli alle famiglie che hanno figli ricoverati e fratellini minori a casa. Non è facile per quelle madri e quei padri che vivono in ospedale, stare dietro a ciò che è fuori: capita che gli altri figli si sentano trascurati, non sempre sono tenuti a capire. E’ un intera famiglia che si ammala. Avere un dono inatteso può sanare gli equilibri con un semplice sorriso.”
“Nulla è scontato nella battaglia contro il dolore. Tempo fa abbiamo consegnato ad un ragazzo molto depresso un drone. Nei minuti in cui lo usava per girare dei video rideva, forse accadeva solo per quei brevi frammenti, ma quanto sono importanti! Chi c’è passato, porta su di sé cicatrici profonde che possono rappresentare l’esperienza per aiutare gli altri. Io so quanto ci fosse bisogno di momenti per staccare dai colori, i suoni, gli odori del reparto. Per questo sono felice che manchi veramente poco perchè venga messa a disposizione dei ragazzi appena operati, la saletta giochi nel reparto di chirurgia oncologica. Devo ringraziare l’ARCS che mi ha sostenuto in questo progetto e il Lions Club di Zola Predosa.”
“Con l’associazione potrò seguire meglio anche tutti gli eventi attraverso i quali raccogliamo fondi per la ricerca sui tumori ossei: è fondamentale studiare metodologie e sistemi per arrivare alla diagnosi più velocemente possibile. Mi contattano per diverse proposte di iniziative: devo strutturarmi per far fronte a questa bella marea di generosità.”
“E’ il mio modo per continuare a vivere. Mio marito non riesce più ad entrare in ospedale, io ci passo almeno una volta a settimana. Quando mi confronto con altri genitori, scopriamo che si crea come una famiglia e diventa un luogo dove si sta come in nessuna altra parte. Qui sai che tutti possono comprendere ciò che hai provato e cosa stai passando. Mia figlia minore vorrebbe venire con me, ha cambiato scuola e scelto una vicinissima all’ospedale. Questa estate ha comprato un drone con i suoi soldi e lo ha donato al reparto. E’ orgogliosa di vedere che noi andiamo avanti senza ripiegarci su noi stessi, anche quando il dolore si fa sentire forte. E’ la nostra terapia famigliare, post trauma.”
“Quando torno a casa, non racconto tutti gli aspetti negativi, a cui non mi sottraggo durante la permanenza in reparto, preferisco condividere i piccoli eventi belli, da cui si può trarre speranza. Cerchiamo di portare gioia, nei limiti delle difficoltà con cui ci confrontiamo: abbiamo organizzato il giro di Halloween mascherati senza nemmeno troppo preavviso. Non voglio invadere la sofferenza degli altri, ma dimostrare che si può affrontare insieme, senza richiudersi in una dimensione nella quale è difficile ammettere persino la propria sacrosanta paura.”
Niente compassione
“In questo mio percorso di consapevolezza devo ringraziare anche i social, attraverso i quali ho conosciuto e mi sono confrontata con tante persone che hanno vissuto lo stesso lutto o altre difficoltà. Ho intrecciato rapporti di scambio e di confidenza preziosi. Tra di noi ci capiamo come con nessun altro. Un tempo chi perdeva un figlio veniva etichettato per sempre, emarginato nella condizione di “chi ha perso il figlio”. Ora c’è il desiderio di non rimanere figure silenziose ,ma padri e madri in grado di portare qualcosa a chi sta attraversando simili percorsi di sofferenza e angoscia, ma anche a chi non è nelle stesse condizioni.”
“Basta alla compassione! E’ quasi il mio motto. Non mi devo sentire in colpa, né temere lo stigma sociale, perchè vado a mangiare una pizza insieme a madri conosciute in reparto e riusciamo persino a ridere e scherzare. Sarà la mia resilienza? E’ una parola che va molto di moda. “
“Intanto mi sta portando verso altre avventure. Una raccolta di doni che prosegue oltre ogni più rosea prospettiva, mostrandomi la grande generosità delle persone. Sto pensando di organizzare un vero e proprio Open Day a casa nostra, per accogliere chi vuole portare il proprio regalo fisicamente e magari non si fida molto dell’online. E’ importante il rapporto diretto con il donatore. Nei mesi passati sono riuscita a recuperare alcuni contatti di coloro che hanno contribuito alla precedente raccolta, risalendo alle identità dai bigliettini lasciati e li ho ringraziati personalmente.
E poi verrà l’associazione, la rete da intessere con realtà simili, i volontari da trovare, i laboratori da gestire, gli eventi da seguire e organizzare, nel nome di mia figlia, ma soprattutto per un presente e un futuro dignitoso per coloro che affrontano le sue stesse difficoltà e, come ragazzi, hanno tutto il diritto di provare ad essere felici.”
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