“In fila, distanti e silenziosi. Inevitabile percepire l’aria tesa, più forte, però, era la sensazione di far parte di una squadra, ancora più coesa e determinata, orgogliosa di dare il proprio contributo in una partita così difficile da vincere.”
Hanno chiamato anche me dall’Avis provinciale, ma sto lottando con la mia emoglobina bassa e ancora non posso donare. Sono in tanti, però, a rispondere positivamente, per compiere un gesto che, in questo periodo, riesce ad assumere un valore ancora più importante. Le file di donatori di sangue davanti ai centri trasfusionali, rappresentano una immagine che dobbiamo conservare, di altruismo, generosità e speranza. Tra loro, ieri mattina, c’era anche la mia amica Cecilia Ramieri: dalle 8 all’una ha aspettato, in silenzio, rifocillata dalla gentilezza degli infermieri e dalla consapevolezza di partecipare ad una piccola impresa condivisa con un significato grandissimo. Tornata a casa, ha raccontato alle sue bambine, preoccupate per il primo lungo distacco di questi giorni, una traccia che sono grata abbia accettato di diffondere per ricordare quanto l’amore valga in questa battaglia.
La traccia: donare il sangue ai tempi del Coronavirus
“Sono donatrice da 5 anni, finora sono riuscita a fare una donazione l’anno. Quando mi hanno chiamato, due giorni fa, ho capito che non potevo rimandare. Ho pensato: se poi dovesse venirmi un piccolo raffreddore, viviamo ormai in terrazzo, può accadere, o imponessero ulteriori divieti per uscire? E poi so che stanno finendo le sacche: in questo momento il mio 0 negativo è ancora più prezioso. Immaginavo avrei fatto un po’ di fila, ma sono andata. Ho preso il mio caffè e un biscotto, pensando che sarebbero bastati. Alle 9 ero il numero 59, davanti alla sede della Croce Rossa di via Ramazzini.”
“Distanziati l’uno dall’ altro, ma sotto il sole, abbiamo aspettato senza osare la minima lamentela per i ritardi. Già normalmente donare mi genera energia positiva, riempie di una soddisfazione intima nella sensazione di fare qualcosa di concreto per gli altri: ieri le emozioni arrivavano decuplicate. L’atmosfera silenziosa e la consueta gentilezza di infermieri e operatori hanno reso l’attesa non solo sopportabile, ma anche difficilmente dimenticabile. Ci hanno rifocillato di acqua, succo, fette biscottate, caffè, mentre ci misuravano la febbre e ponevano domande ulteriori rispetto al questionario classico, per approfondire su eventuali contatti con zone rosse.”
“Il termometro con me si è fermato a 35, mentre il mio ultimo viaggio risale a 20 giorni fa e in una zona di montagna nella quale, ancora oggi, non risultano contagi. A mezzogiorno sembrava finalmente arrivato il mio turno. Il timore è sempre la pressione bassa, invece: “70 – 130. Emoglobina 14,5.” Stavo in forma come non mai, non so se sia stato un caso. Un’altra ora e sono entrata nello stanzone: ci attendevano le quattro postazioni a distanza raddoppiata. Ci si osservava tra di noi, senza fiatare. Pensare che di solito è il momento in cui si scambia qualche battuta, soprattutto con gli infermieri che però erano stremati al sessantesimo prelievo in quattro ore. Inevitabile non percepire l’aria tesa, ma più forte era la sensazione di far parte di una squadra ancora più coesa e determinata, orgogliosa di dare il proprio contributo in una partita così difficile da vincere.”
“Sdraiata, concentrata nei mie pensieri, sicuramente in parte comune a chi avevo di fronte, a cui si aggiungevano i messaggi da inviare alle maestre, ho sentito salire una seria, ma bella consapevolezza della necessità di ciò che stavo facendo. Se avessi potuto, avrei voluto abbracciare i tanti ventenni che ho visto nella fila, come il ragazzo con mamma e sorella che subito dopo aver donato, è svenuto. “E’ la prima volta, può succedere!” ripeteva orgoglioso, nonostante il crollo per non aver voluto mangiare nulla sin dalla prima mattina e il leggero caos, creato per riuscire a sollevarlo, rispettando le distanze e le norme di sicurezza. C’erano altri suoi coetanei con i genitori: simili, ma così diversi da coloro che negli ultimi giorni hanno dichiarato di non poter fare a meno di prendere l’aperitivo insieme.”
“Quando ho finito, mi sono alzata, sorridendo, sperando che il ragazzo si fosse ripreso completamente e immaginando la sua epica narrazione agli amici. Io, tornata a casa, ho voluto raccontare alle bambine, un po’ preoccupate dal mio ritardo. “Sapete che ho donato anche altre volte, ma adesso non potevo proprio rimandare, anche se c’era una fila lunga. La situazione è particolare. Noi stiamo bene, per fortuna, ma non è per tutti così, ognuno deve fare la sua parte: rimaniamo a casa, tranquilli e usciamo solo per motivi seri, come quello per il quale oggi ho dovuto lasciarvi per ben 5 ore.”
Poi ho dato loro i pacchetti di figurine de La Sabri, comprati al volo, qualche piccola leggerezza bisogna conservarla.”
La traccia volante: Squadra. Ognuno ne fa parte, anche da solo e in silenzio.
Rispondi