“Abbiamo un ruolo fondamentale di filtro, prevenzione e allerta per contrastare il virus e aiutare chi ne viene contagiato. Combattiamo anche contro il senso di abbandono che affligge soprattutto gli anziani. Basta una telefonata per chiedere loro come stiano. “Dottore, allora, non si è scordato di me!” è la risposta.”
In questa corsa contro il tempo per far cessare i contagi; arrivare mascherine e respiratori; inasprire per poi riuscire ad allentare le norme di contenimento; per assistere, curare, guarire, consolare, rasserenare, sostenere coloro che non stanno perdendo neanche un minuto nel fare la loro parte: un ruolo fondamentale, non troppo ribadito, lo hanno i medici di base. Spesso senza strumenti idonei per difendere sé stessi e i loro numerosi pazienti, costituiscono la prima linea per chi sospetta, manifesta sintomi, risulta positivo al Coronavirus. Nicola Converti, esperto di malattie infettive, un passato da guardia medica in diversi presidi del Lazio, è il medico di base di Villaggio Breda, periferia sud est della capitale. 1500 pazienti da seguire, 400 over 65: dall’inizio dell’emergenza non ha mai chiuso un giorno lo studio. Nelle ultime settimane, in attesa che arrivino altre mascherine, sta continuando il suo lavoro, seguendo tutte le accortezze possibili per diminuire i contatti diretti, eventuali fonti di contagio. Ha attivato altri canali di comunicazione: il suo telefono non smette di squillare come non hanno orari le chat whatsapp con messaggi a cui non manca mai la risposta e aumentano le consegne a domicilio delle ricette. Disinfetta da solo stanza e superfici. Il suo racconto è una traccia che dimostra, ancora una volta, come si possa fare il proprio prezioso dovere oltre le polemiche. Si spera, quando ne saremo fuori, che non ci si dimentichi di chi, come Nicola, ha rischiato ogni giorno, senza far mancare un consiglio, una ricetta, l’ascolto, l’assistenza e il supporto concreto ai suoi 1500 pazienti.
La traccia: la funzione di medico di base durante l’emergenza coronavirus
“Da 18 anni ho lo studio a Villaggio Breda. Sono il referente per dodici colleghi, per fortuna, al momento, tutti in salute. Fino a quando non presentiamo sintomi, possiamo andare avanti nel nostro lavoro e lo stiamo facendo. Sto cercando di mantenere la normalità che significa seguire tutti i pazienti che hanno malattie croniche quindi bisogno delle ricette per i loro farmaci. Devono essere rassicurati che non mancherà mai questo supporto burocratico che è per loro fondamentale. A questo si aggiunge il virus che ha modificato la nostra quotidianità, assegnandoci un ruolo centrale per non far intasare i numeri verdi, prevenire ogni accesso autonomo al pronto soccorso, accelerare terapie e interventi laddove capiamo sia necessario.”
“Sarò concreto e spiego. Mi chiama un paziente che ha 37,5 di temperatura, gli dico subito di rimanere a casa, provando a stare in ambienti separati rispetto al resto dei famigliari, prendendo antipiretici se la febbre supera i 38 gradi (altri farmaci sono contro indicati). In contemporanea mando una e.mail all’indirizzo che ci ha fornito la ASL, per segnalare un possibile contagio e attivare la necessità di effettuare un tampone a domicilio. Nei giorni successivi, nell’attesa che venga fatto, purtroppo sono pochi infermieri e tantissime richieste, sento mattina e sera il paziente per verificare se si aggiungano altri sintomi e bisogna richiedere interventi immediati. Mi è capitato con un assistito più anziano, ho parlato con la moglie e poi ho chiesto di sentirlo per capire se presentasse uno dei segnali più indicativi del virus: la dispnea. Percepito l’affanno, ho rassicurato entrambi su quanto sarebbe accaduto nelle ore successive. Ho chiamato direttamente io il 118: sono andati a fare il tampone dopo 2 ore, lo hanno ricoverato ed è risultato positivo.”
“Noi dobbiamo fare in modo di gestire il più possibile le nostre normali funzioni e quelle che si sono aggiunte con il virus, limitando gli accessi allo studio e i contatti diretti. Se mi ammalo io, rischio di contagiare, oltre ai miei famigliari, i miei pazienti. Ho messo ancora più a disposizione il mio telefono che, come in realtà facevo già, non rispetta nessun orario: ho perso il conto delle telefonate giornaliere. Tra queste una percentuale sono anche quelle che definisco “psicologiche”: pazienti che mostrano soprattutto ansie e paure a qualsiasi cenno di sintomo, noi dobbiamo esserci anche per loro. Mattina e sera nella chat si anima quello che abbiamo definito il “bollettino di guerra”: la temperatura di ognuno e l’elenco di raffreddori, mal di gola e tossi che vanno a diminuire o aumentare. Non mancano i vocali di diversi minuti, pure di chi vuole suggerire rimedi e terapie apprese non si sa da quali fonti. A tutti rispondo, anche con “stai tranquillo, prendi una valeriana!”.”
“Mai come ora è importante combattere contro il senso di abbandono che affligge soprattutto gli anziani. Anche se loro non mi chiamano, lo faccio io per chiedere come stiano. Basta questa minima attenzione per manifestare la vicinanza: “dottore non si è scordato di me!”. Preferisco poi passare a mettere nelle cassette postali le ricette a chi è meglio non si sposti da casa e magari non ha parenti che possano venire a prenderle al posto loro. Utilizzo molto anche l’online per chi ha già attivato questo servizio di ricezione delle prescrizioni.
“E’ il modo che stiamo adottando per tutelare noi e quindi anche i pazienti, non avendo a disposizione i presidi di protezione minimi: le preziose mascherine. Dovrebbero darcene un kit con almeno 3 da cambiare. Sollecito spesso il dirigente a farle arrivare, ma non è certo il momento per fare polemica. Quando finirò quelle che sono riuscito a rimediare, mi avvolgerò un fazzoletto da indiano sul viso e limiterò ancora di più i contatti, aumentando le accortezze. Spero solo che capiscano che se, come purtroppo sta accadendo nella provincia di Bergamo, ci ammaliamo anche noi, viene meno un filtro fondamentale nella gestione dell’emergenza.”
“Io, finchè posso, non mi fermerò, questo è il mio lavoro: l’ho fatto per 20 anni in vari presidi del Lazio come guardia medica; nel carcere di Velletri per 6 e da 18 nello studio del quartiere. Se, però, devo pensare ad una esperienza vissuta con una drammaticità simile per i pazienti, mi viene in mente la fine degli anni 80 quando lavoravo all’ospedale Umberto I e cominciavano ad esplodere i primi casi di AIDS. Sono specializzato in malattie infettive, la mia tesi riguardava proprio le patologie connesse all’HIV. Tutti coloro che ne erano affetti e ho visitato all’epoca, non ci sono più. Allora l’opinione comune era che fosse la malattia degli omosessuali o dei tossicodipendenti: si è avvertito per lungo tempo lo stigma e soprattutto la psicosi che non si potesse nemmeno salutare chi fosse potenzialmente contagiato. E’ servito il gesto del professor Aiuti che baciò una ragazza sieropositiva, per riportare la ragione. “
“Adesso l’angoscia percepita dall’opinione pubblica è ancora più forte, perché, malgrado si sia diffusa la concezione che il virus possa scatenare conseguenze più gravi su chi è anziano o con patologie pregresse, si sta realizzando che non se ne uscirà nei tempi brevi previsti. Se ragioniamo su come i virus mutino continuamente, la luce nel tunnel sembra ancora più lontana, ma urgente. Un esempio è l’influenza spagnola che causò 20 milioni di morti negli anni 20, colpendo soprattutto i giovani. Il virus passa da un soggetto all’altro, finito il passaggio più rapido tra gli anziani, potrebbe colpire anche i giovani, come purtroppo sta già cominciando a fare. Per questo l’unico messaggio di propaganda valido è quello dei fiammiferi che si accendono l’un l’altro: bisogna interrompere la catena. Per farlo, per prendere tempo verso l’unica soluzione definitiva che è il vaccino, bisogna stare a casa. Non si giri troppo intorno alla questione, abbiamo solo uno strumento ora, mentre proseguono ricerche e sperimentazioni: l’isolamento senza eccezioni. Basta un incontro per contagiarsi. State nelle vostre abitazioni, salutate i vostri amici a distanza di 20 metri.”
“Intanto io rimango allo studio, stessi orari, anzi aumentati rispetto al periodo che negli anni passati segnava la fine dell’afflusso continuo per le malattie stagionali. Chi viene a prendere la ricetta ha ormai imparato tempi e modalità. La lascio sulla scrivania dell’ingresso e mi richiudo in stanza. Uscito il paziente, esco, disinfetto e metto la ricetta per il successivo. Si allungano i tempi, ma aumentano le difese e diminuiscono i rischi. Andremo avanti così ancora per mesi, con il telefono sempre acceso, pronto ognuno a fare la propria parte per fronteggiare la situazione, certi che ce la faremo tutti insieme: medici e pazienti.”
La traccia volante: “Bisogna che non solo il medico sia pronto a fare da sé le cose che debbono essere fatte, ma anche il malato, gli astanti, le cose esterne.” Ippocrate
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