“Al Liceo Virgilio abbiamo condiviso un periodo unico della nostra vita, forse anche di quella del paese. Il referendum del 48 aveva diviso le famiglie. Noi eravamo in mezzo, inevitabilmente, alla politica, ma anche coinvolti in una vita semplice di partecipazione e condivisione.”
Professor Francesco Margiotta
Gli anni delle superiori costituiscono capitoli speciali nella vita di ognuno: a volte sono paragrafi da dimenticare, più spesso rappresentano pagine intoccabili, da consegnare a figli e nipoti. I professori che improvvisamente diventano avversari o riferimenti a cui affidare il proprio destino; compagni che sono amici, vicini in diversi momenti fondamentali dell’esistenza; amori, abitudini, scherzi, debolezze, scelte, impegno politico, partecipazione sociale, tensione ludica. Dall’adolescenza alla maturità: nelle aule si cambia, tenendo impressi segni che connoteranno a lungo, forse per sempre, i ricordi legati alla scuola. In queste settimane di DAD nelle quali ragazzi e insegnanti si sforzano di mantenere rapporti umani e ricreare atmosfere dallo schermo di un computer, mi ha colto l’emozione del passato con il racconto di un liceale del 1950. Dalle parole del professor Francesco Margiotta, un curriculum denso di incarichi universitari da Urbino, Parma e Firenze, ho ricostruito stralci di cosa significasse frequentare il Virgilio, liceo storico della capitale, negli anni della ricostruzione, dopo la seconda guerra mondiale. A fianco a Francesco, la memoria costante del suo amico di avventure, Claudio Mancini. A lui, redattore del giornale scolastico, presidente della squadra di basket, fondatore del circolo per alunni ed ex allievi, è dedicata la traccia: aneddoti in cui si fonde storia personale e pubblica di un momento storico nel quale si poteva partecipare alla trasformazione della realtà. Si spera di generare un sorriso nei coetanei e infondere fiducia in figli e soprattutto nipoti.
La traccia: al Liceo Virgilio negli anni 50
“Dal 1948 al 56 ho fatto sia le medie, sia le superiori al Virgilio. I miei nonni abitavano a Piazza dell’Orologio, io al Ghetto, a piazza delle Cinque Scole. Le elementari le avevo frequentate, guerra in corso, alternando una settimana di mattina, una di pomeriggio. A Roma c’erano poche scuole attive: bisognava fare i turni. E’ una delle poche similitudini che mi sento di fare con quanto accade oggi. Nell’edifico delle medie del Virgilio siamo stati i primi a rientrare dopo che aveva ripreso la sua funzione: era stato adibito ad ospedale militare, c’erano ancora tutti i simboli fascisti attaccati.”
“La particolarità che unisce il periodo delle medie alle superiori, riguarda gli insegnanti di religione. Erano i parroci delle chiese vicine, creando un collegamento stretto con il territorio. Le parrocchie erano attivissime in quei tempi, ci trovavamo spesso coinvolti in attività sociali organizzate dagli oratori. Penso ai rapporti con gli orfanotrofi: andavamo a portare i regali ai bambini durante le feste. C’ è una vicenda molto dolorosa che porto dentro con un ricordo per fortuna a lieto fine. Ad Ostia trovarono un bambino, seppellito, probabilmente dai genitori naturali, sotto la sabbia: era ancora vivo. Fummo così colpiti da questa storia che chiedemmo al nostro preside di adottarlo: prendercene cura come scuola, benchè venisse affidato ad una struttura. Purtroppo, per quanto la memoria legata a quel periodo sia molto più prolifica di quella a medio periodo, non so quale sia stato poi il futuro di quel ragazzo. Ricordo bene, invece, che avevamo come confessore padre Carresana che condividevamo con il cardinal Montini. Rimase al suo fianco anche quando divenne Papa. Io e Claudio gli ripetevamo che con noi gli era andata male.
Non eravamo cattivi ragazzi, sicuramente venivamo da un periodo difficile, cercavamo di uscirne, vivendo appieno ogni emozione che i giorni ci offrivano, con semplicità, naturalezza e passione. Abitavamo quasi tutti nel centro della città, facevano eccezioni alcuni ragazzi che arrivavano da Monteverde o da Garbatella. Non c’erano differenze, però, tra di noi rispetto alla provenienza: invidiavamo solo chi aveva le merende più succulente.”
“Fino al quinto ginnasio eravamo divisi: maschi e femmine. Poi ci rimisero insieme: le ragazze sempre con il grembiule nero. Vigeva la regola: “mai con le compagne di classe!”. Dopo anni scoprii che una di loro aveva partecipato a Miss Italia, nemmeno la ricordavo. Mia madre, professoressa di latino e greco nello stesso liceo, me lo ribadiva: “niente amori sul posto di lavoro!”. Mio padre pure era stato uno storico insegnante di italiano, ma nel 41 dal Virgilio si trasferì al Visconti.”
“Io e Claudio eravamo nella sezione A: la migliore, la più tosta, con i professori più robusti e ostici. Il prof. Virginelli di italiano, era stato a Fiume con D’Annunzio; Nosei di latino e greco era uno dei responsabili, curatori dell’Enciclopedia Treccani. Solo per citarne due, matematica non mi sovviene il nome, non era la mia materia preferita. Il rispetto era massimo, ma i rapporti erano connotati da umanità e simpatia. Passavamo la maggior parte delle nostre giornate a scuola con loro e tra di noi.”
“Con Claudio ci conoscevamo dalle medie, ma al Liceo siamo diventati amici: non compagni di banco, di più. Abbiamo condiviso l’avventura de La Fronda, il giornale che realizzavamo, controllando persino le virgole nella tipografia che lo stampava, vicino a scuola. Non lo dirigevamo, ma scrivevamo noi due quasi tutti gli articoli, principalmente recensioni di libri e film. Lo distribuivamo nei corridoi e in cortile, mi sembra che ci facessimo pure pagare le copie. Una volta il preside, il mitico Dall’Oglio, ci chiamò per un pezzo su Giovanni Gentile: ci accusò di essere fascisti perché pareva ne parlassimo quasi bene, non era proprio possibile in quegli anni. Chiarimmo e continuammo ad uscire. Non si incrinarono nemmeno i rapporti con il preside, tanto che Claudio si fece assegnare un’aula, entrando, al piano terra, a destra, dove fondò il circolo del Virgilio. Era uno spazio di ritrovo molto utilizzato dagli studenti per riunirsi, studiare, confrontarsi che poi accolse anche gli ex liceali per mantenere la memoria storica. In questo modo Claudio era il collante tra passato e presente. Ci venivano a trovare l’archeologo Filippo Coarelli, Rosa Russo Jervolino, Linda Germi, Andrea Ginzburg.”
“Oltre al giornale e al circolo, Claudio si dedicava con particolare passione alla squadra di pallacanestro, tanto da organizzare campionati e tornei anche quando frequentava l’Università. Era l’unico sport che praticavamo durante le ore di educazione fisica, rigorosamente divisi: noi in palestra al piano terra, le ragazze in quella dell’ultimo. All’uscita andavamo a prendere le studentesse del professionale Colomba Antonietti a Piazza della Quercia. Non essendo compagne di classe, era consentito corteggiarle. Il pomeriggio si studiava a casa dell’uno o dell’altro per poi ritrovarsi, di nuovo tra ragazzi, a giocare a calcio in piazza Farnese.
Un po’ di sport a scuola, le passeggiate nel quartiere, l’impegno sociale con la parrocchia e politico con i primi movimenti giovanili dei partiti. C’erano poche eccezioni di svago degne di memoria. Penso alle prime televisioni in casa, attorno a cui ci ritrovavamo. Paola Amendola, della storica famiglia omonima, fu la prima in classe ad averne una. Andavamo da lei, all’Aventino, a seguire i programmi che iniziavano a trasmettere. Leggevamo molto, comprando e vendendo ai banchetti dell’usato a Santa Lucia.”
“Era una scuola viva, la nostra, indimenticabile come i rapporti che si crearono nelle aule, tra i banchi. Con Claudio abbiamo proseguito il percorso di studi insieme. Ci siamo iscritti alla stessa facoltà: giurisprudenza. Non eravamo studenti “signorini”: lavoravamo, facendo pratica, quindi non frequentavamo. Claudio però continuava a gestire il circolo e i tornei al Virgilio, oltre a commentare le partite fino al 63 (era diventato pure corrispondente del Tempo). Continuavamo a vederci per gli esami. Poi lui si è trasferito a Ceccano, dove è diventato un riferimento culturale come insegnante e in qualità di fondatore dell’Inclito rompi club: lo spirito attivo del Liceo non lo lasciava mai. Io pure non mi sono fermato: ho girato in varie città con i diversi incarichi universitari, ma non ci siamo mai persi del tutto.”

“Abbiamo condiviso un periodo unico della nostra vita, forse anche di quella del paese. Il referendum del 48 aveva diviso le famiglie. Noi eravamo in mezzo, inevitabilmente, alla politica. Ne eravamo attratti, ogni partito aveva il suo movimento giovanile a cui aderire per partecipare alle trasformazioni della realtà. Purtroppo è un aspetto che ho visto scemare sempre di più, osservando i miei ultimi studenti all’università. So che Claudio fino al 2005 ha continuato a frequentare il circolo ex allievi da lui fondato. Io sono andato in pensione nel 2011. Non conosco bene i ragazzi di oggi, mi piacerebbe essere smentito, ma temo che questo tipo di impegno non ci sia.”
“Non frequento i giovani del 2021, ed è tanto tempo che non torno in centro a Roma. Da anni vivo a Firenze. Mi è dispiaciuto non aver potuto salutare Claudio: con sua figlia Beatrice ci siamo promessi che, non appena finiscono le restrizioni del virus, ci rivedremo per ricordarlo insieme. So che a breve inaugureranno un parco pubblico in piazza della Moretta, davanti al Virgilio e il nuovo campo da basket della scuola: sono contento che si valorizzino i luoghi nei quali siamo cresciuti e che difficilmente dimenticheremo. Potrebbe essere un’occasione perfetta per ricordare Claudio, il giornale, il circolo, e gli anni nei quali, dal Liceo, siamo stati formati per poter dare il nostro contributo al mondo.”
La traccia volante: Lo scopo della scuola è quello di formare i giovani a educare sé stessi per tutta la vita.
Robert Maynard Hutchins
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