Come passerotti

Lentamente si spensero: le palpitanti A, le sbadiglianti B, le luminose G, le chiassose M, le curiose S. pronte a ritrasformarsi in occhi, sorrisi, mani alzate, domande inopportune, risate e silenzi liberi.  

Oggi, per i bambini della scuola materna e primaria, potrebbe essere l’ultimo giorno della DAD: la famigerata, angosciante, inevitabile, didattica a distanza. Tra adulti ci si è divisi, scontrati, attaccati, offesi e rassegnati. Ma se si guardasse a queste giornate da una prospettiva diversa, più piccola? Ho tentato. Con la fantasia, strumento di sopravvivenza unico, democratico e garantito, ho trasformato, giusto un poco, la realtà, rendendo persino la DAD un ricordo più allegro. Protagonisti quegli eroi, colorati e flessibili dei bambini. Il risultato è un piccolo racconto, disegnato con il cuore da Anne, che dedico a: Luca, Valeria, Francesco, Viola; ai loro compagni di classe e non; alle maestre, ai maestri, tante e tanti che hanno superato l’impresa con passione; a noi genitori, pesanti ma resistenti; ai nonni, anche in questa occasione, un prezioso aiuto. Buona primavera di sole dalla finestra o in strada, a tutti. Dopo Pasqua, forse, si torna in classe!

“Maestra: Stefano c’era, forse è andato in bagno!”

Le letterine coloravano il buio dello schermo, celando le voci e gli occhi dei venti alunni della I D della scuola primaria Camilla Cederna. Da qualche settimana, ogni mattina, si trasformavano: la A diventava Alba; la B sbadigliava in Bruno; la G brillava come Gemma; la M rideva da Massimo; la S di Stefano chiacchierava sempre.

Non si trattava di magie tecnologiche: era semplicemente la DAD.

Si sapeva che, purtroppo, non per responsabilità delle corse furtive nel cortile, o per lo scambio sacrilego di un temperino, una terza ondata del virus avrebbe portato all’inevitabile blocco delle lezioni in presenza. Già il giorno dopo la comunicazione ufficiale del Ministero, era pronto il nuovo orario per gestire italiano, matematica, persino motoria, a distanza. I bambini ne erano quasi entusiasti; gli insegnanti si mostravano più disinvolti nell’utilizzo del mezzo; i genitori, tendenzialmente, si dimostravano affranti.

Il programma era stato intenso: ripassate le paroline con MB e MP; imparato le lettere straniere dell’alfabeto J, Y, X, K, W; disegnato gli oggetti legati ai cinque sensi; confezionato maracas con i ceci;  innescato gare di addizioni e sottrazioni; per finire, ritmato i movimenti di canzoncine inglesi.

Puntuali, alle nove, le letterine si schiudevano  in domande inopportune “maestra hai fatto già la cacca?”; in sfide all’ultima alzata di mano virtuale “l’ho detto prima io, ti ho fregato!”; in curiosità esterne “ma dov’è il cane di Giacomo? Paola, ci fai vedere tuo fratello piccolo?”. Ultimamente, però, avevano iniziato a perdere sfumature e ridurre suoni. La presenza dei genitori diventava fondamentale per spengere, accendere, ridurre e “resisti, dai è quasi finita!”.

La maestra Enrica aveva capito; la collega Mara provava ad inventare nuove strategie di coinvolgimento; mentre l’inflessibile Wanda, continuava nelle sue interminabili ore, intervallate dal grido “rifaccio l’appello, guai a chi si distrae!”.

Stava accadendo anche quella mattina.

“Stefano ci sei, sei andato via, rispondi o ti metto assente!”

La S, di norma, era la prima ad animarsi, con uno sfondo sempre diverso: lo sguardo vispo sbucava tra fuochi d’artificio o palme di isole esotiche. Pronto a rispondere, non si faceva mancare dubbi e proposte. Si era dovuto assentare il giorno prima: motivi famigliari avevano scritto i genitori nel registro elettronico. La mamma aveva comunicato alla maestra Enrica che si era ammalato il nonno e doveva partire per andare ad accudirlo.

Forse, non riuscirà a connettersi, magari sarà un po’ agitato, confido in lei”, aveva aggiunto, caricando, la già sensibile insegnante, di una ulteriore responsabilità.

I sentimenti dei bambini erano rimasti l’àncora silenziosa di ogni casa. Potevano esserci problemi economici, di lavoro, attriti, dolori, distanze prolungate, ma loro, i guerrieri flessibili, non mollavano, mostrando il più largo dei sorrisi per scavalcare ogni difficoltà, evitando di trasformarsi in una di esse.

Porta questo a nonno e digli che appena sta bene ci giochiamo insieme!”

L’aereoplanino di carta di Stefano era un prodigioso origami, perfetto per far arrivare a destinazione un bagaglio di immagini allegre da far tornare la voglia di stare in forma.

La prima l’aveva caricata la maestra, rassicurando la mamma.

Non si preoccupi, suo figlio è una forza della natura, sono certa che troverà il modo per continuare a sottoporci le sue domande più bizzarre.”

Un incoraggiamento da riportare all’orgoglioso nonno che aveva trasmesso il gene della curiosità e della scoperta al nipote.

Nel frattempo, la responsabilità educativa era passata al padre. Era riuscito ad installare classroom, facendosi guidare dai messaggi solidali nella chat, aveva messo sulla scrivania, schierati: tutti i libri, i quaderni, la matita, i colori temperati e la gomma.

Dalla stanza, in cui squillava di continuo il telefono, riusciva a vedere la postazione.

Stefano, aveva acceso la sua espressione ironica dietro la S., a metà della lezione, però si era spostato. Poco, giusto, qualche metro, tanto da lasciare un frammento riflesso nello schermo nel quale non aveva creato sfondi speciali.

C’è, maestra, non lo vede: è in un angolo!”

Lo aveva notato solo Alba, innamorata di ogni dettaglio del suo compagno.

“Stefano! Ste! Biondino! Ohiii!”

Si accesero tutti i microfoni, anche quelli delle letterine spente. L’insegnante ordinò di tacere.

Smettetela! E tu torna davanti la videocamera! Cosa è questo mormorio?”

Un cinguettio, poi due, tre: una melodia improvvisa irruppe in DAD.

Ma chi continua a cantare?

 Le note non si erano fermate. Solo tre palline azzurre si muovevano oltre a quelle dell’alterata docente.

Insomma basta!”

La S verde si spense per pochi secondi, il tempo di riaccendersi davanti al sorriso di Stefano con in mano un passerotto.

“Guardate, è venuto a trovarmi! Nonno sta sicuramente meglio!”

“Certo, tesoro, è bellissimo!”

La maestra Enrica aveva preso in mano la situazione.

Che nome diamo a questo nuovo amico?”

Dadino, Lo Ste, Lyon, Primo, Wanda!”

A turno le letterine avevano ripreso a brillare.

“E voi: chi e cosa vorreste trovare fuori dalla finestra?

Il sole, il pallone, i gelati, il mare, le corse insieme, i cuginetti di Torino, la nonna da Palermo, le lezioni di judo, l’allegria, i clacson, i bomboloni al bar, la strada senza paura…”

L’ora passò velocissima, come non era mai successo prima. Non ci fu bisogno di chiedere di partecipare o di tacere: a turno, i sentimenti dei bambini della I D della scuola Camilla Cederna, mostrarono di essere ben presenti e di voler essere condivisi.

Adesso ci salutiamo: niente compiti! Tanto, dopo Pasqua si torna a scuola insieme!”

Evvai!

Le urla attirarono il padre di Stefano: si accorse della finestra aperta e della postazione piena di piume.

“Ma che hai combinato! Ero al telefono con mamma, nonno è uscito dall’ospedale. Se non metti a posto non ti faccio portare il regalo che ti ha fatto, sicuramente, comprare!”

“Io ce l’ho già! Guarda papà: lasciamolo volare via insieme!”

Lentamente si spensero le palpitanti A, le sbadiglianti B, le luminose G, le chiassose M, le curiose S. pronte a ritrasformarsi in occhi, sorrisi, mani alzate, domande inopportune, risate e silenzi veri.  

Stefano e il papà liberarono nel cielo colorato di primavera il passerotto dai tanti nomi.

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Una risposta a "Come passerotti"

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  1. Complimenti, è una storia davvero bella in cui sono stati centrati appieno i sentimenti e le emozioni di questo periodo di difficile comprensione. Melania

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