“Mi dovevo abituare all’idea che sarei stata sola ad affrontare questa avventura. Di contro, a guidarmi, è sempre stata la volontà di pensare anche agli altri, a chi come mio figlio non ha voce per rivendicare i propri diritti.”
Irene è una delle lettrici più affezionate delle nostre tracce ed è per me grande motivo di orgoglio. Irene è una donna eccezionale, un aggettivo che non utilizzo nell’accezione eroica che la fa giustamente innervosire, ma in quello letterale di una eccezione, straordinaria, singolare rispetto a tante persone che capita di incontrare nella vita. Ha affrontato diverse difficoltà nella vita, senza farsi inglobare e definire da esse. E’ rimasta Irene nella battaglia per i diritti e per il rispetto di suo figlio Tommaso e di tutti i ragazzi autistici; nella sua lotta contro un tumore al seno; nella difficoltà a trovare alleati con cui condividere la sua quotidianità; nella determinazione a costruire un futuro diverso per i suoi figli. E’ Irene nel suo sorriso che riesce ad essere sempre aperto e limpido, come le sue parole scritte, in nome di una passione che ha resistito nel tempo. La sua traccia è quindi impressa in vari solchi che aiutano a ritrovare la strada per uscire da un buco nero anche attraverso i colori di un quadro e la pagina di un romanzo.
La traccia: sfide quotidiane per i diritti e il rispetto per suo figlio.
“Tommaso compie 30 anni tra poco. 27 anni fa quando abbiamo avuto la diagnosi, in Italia l’autismo era Rain Man, non se ne sapeva nulla. Ho cominciato subito ad informarmi. Ho scoperto che solo in America esistevano gruppi e organizzazioni dedicate in maniera specifica. Qui c’era l’ANFFAS e cominciava a nascere l’ANGSA. Ho pensato, con puerile entusiasmo: facciamo un’associazione di genitori anche qui! Intorno mi sono accorta, però, di avere il deserto. Ho capito da subito che i genitori dei ragazzi con autismo si dividono tra: super depressi, iper stanchi, rassegnati e poi c’è chi come me e altri temerari, non la smette di rompere le scatole per cercare soluzioni. Non giudico, anzi, capisco la stanchezza, ma, sin dall’inizio di questa mia nuova vita, ho rifiutato l’idea di arrendermi e provato a non dimenticare completamente me stessa.”
“Sono nata a Taranto, ma a 7 anni ero già a Napoli dove ho vissuto la parte preponderante della mia vita. Sono terrona e me ne vanto. Mi sono laureata in lingue all’Orientale: russo e inglese. Pensavo di lavorare soprattutto grazie al russo. Con una borsa di studio sono andata in Ungheria e ho conosciuto mio marito che lavorava lì. Comunque mi sono laureata e venuta a Roma per seguire l’amore. Ho trovato lavoro prima in uno studio di architetti, poi ho avuto Giulia, la mia prima figlia. Volevo vederla crescere quindi ho cercato un part – time. Pensavo di aver trovato finalmente la mia dimensione in una ONG che si occupava di progetti interessanti nell’America centrale e in Africa. Poi è nato Tommaso, quando ha compiuto un anno è stato nominato un nuovo presidente nella mia organizzazione. Nella sua idea di cambiamento c’era l’allontanamento dei soci fondatori e di chi era a loro legata. E’ finita la mia esperienza lavorativa e, con la consapevolezza sulle condizioni di Tommaso, anche la possibilità di trovare un’altra occupazione. Ho cercato, senza vergogna e con assiduità, e ancora continuo a farlo a 63 anni.”
Dal sospetto alla conferma
“Non sono una che si abbatte facilmente, credo sia la mia risorsa maggiore, grazie alla quale ho resistito e resisto a quanto il destino ha deciso per me. Mi sono accorta lentamente che Tommaso avesse dei problemi: notavo delle differenze tra la sorella più grande e lui, ma pensavo fosse legato al fatto che le femmine crescono prima dei maschi. Mia figlia era particolarmente sveglia, quindi non mi sembrava giusto fare dei confronti. Avevo però dei quaderni nei quali avevo annotato per Giulia e segnavo per Tommaso, tutti i cambiamenti dei primi anni di vita. Per mio figlio, in un anno, avevo scritto sempre le stesse cose, come se non ci fossero progressi. Lo dicevo al padre e mi si accusava di essere troppo apprensiva. Era più facile considerare Tommaso un genio perché a un anno e mezzo sapeva a memoria tutti i nomi degli animali delle figurine che gli regalava la sorella e non vedere questa sua capacità mnemonica come una spia di un comportamento anomalo. Mio padre, il nonno, ne era al contrario estasiato: “sa chi è il facocero!” Invece la ripetitività è un problema che fa parte del pacchetto.”
“Quando è andato al Nido Montessori, le insegnanti hanno dimostrato come, i miei timori, purtroppo, non fossero infondati. “Non partecipa, non risponde, si rifugia dai più piccoli.” Ci consigliarono di andare subito da uno psicologo per capire di cosa si trattasse. La lunga ricerca di uno specialista adatto ci portò, grazie al suggerimento di una mia amica di Napoli, dal professor Giannotti alla Neuropsichiatria di via dei Sabelli.
Iniziò la mia vita, in bilico tra Prati, quartiere dove ancora viviamo, e San Lorenzo dove sono andata per anni a bordo di quel luogo dei pensieri mobile che è stato per me il tram 19.”
“Dopo il day hospital ci mandarono all’asilo terapeutico sempre all’interno della Neuropsichiatria, un progetto che avevano realizzato proprio Giannotti insieme alla professoressa Carratelli e alla dottoressa Eleonora Fe’ d’Ostiani. Quest’ultima, in particolare, è stata una figura per noi fondamentale per la sua storia sempre dedicata agli altri e per la generosità: comprava di tasca sua presidi e giochi. A Tommaso prese lo stesso cavallo della Chicco che aveva a casa per farlo sentire più a suo agio. Frequentavamo questo luogo speciale nel quale si facevano diversi laboratori, 3 giorni a settimana, gli altri tre andavamo all’asilo vicina casa, dove avevamo una maestra fantastica che incontriamo ancora con gioia.”
Sola su un tram
“A via dei Sabelli anche noi genitori seguivamo delle terapie che non sono la panacea, ma danno la possibilità di guardare da un’altra prospettiva, quello che dovevo abituarmi a fare definitivamente. La prima cosa che ci dissero i medici fu: “fate venire più persone possibili che sono intorno a Tommaso. Possono essere utili, a noi per capire meglio il bambino e a loro per ricevere indicazioni necessarie per stare con lui.” Venne solo la sua baby sitter dell’epoca, nessuno della famiglia.”
“Mi dovevo abituare all’idea che sarei stata sola ad affrontare questa avventura. Di contro, a guidarmi, è sempre stata la volontà di pensare anche agli altri, a chi come mio figlio non ha voce per rivendicare i propri diritti. Sono diventata iperattiva anche io, fino a quando non è arrivato il momento della consapevolezza che ha dato la conferma della mia strada. Ironia della sorte, la luce si è accesa sul tram. Qui ho capito che dovevo prendere la vita di petto e combattere colpo su colpo per ogni mancanza di rispetto che avrebbe subito Tommaso e quindi tutti coloro che si trovano nelle sue stesse condizioni.”
“Ho dimostrato nei fatti quello che si può fare. A 63 anni, posso però affermare con nettezza un consiglio a tutte le donne che cominciano il mio percorso: ”non lasciate mai il vostro lavoro, anche se avete sensi di colpa dilanianti, lasciatevi aperta la possibilità di non essere solo la mamma di.” Bisogna essere determinate perché tanto è così difficile trovare chi possa starci accanto nella lotta. Non so quanti mi abbiano detto di non sentirsi all’altezza della mia forza nell’affrontare la quotidianità, di ammirarmi per questo. Io continuo a ripetermi: ma perché, se capitava a voi che facevate abbandonavate i vostri figli? Non c’è nulla di eroico, anzi temo che l’eroismo sia una scusa di chi non vuole darmi una mano. Pensano di farmi sentire speciale e si mettono a posto la coscienza: nessuno come me può stare dietro a tutto e in particolare a Tommaso, quindi perché provarci. Mai che qualcuno si sia proposto di stare un’ora con lui per consentirmi di fare anche solo una passeggiata.”
La battaglia per la scuola
“E dire che i chilometri non mi sono mancati, soprattutto per garantire a mio figlio un percorso di vita il più normale possibile, a partire dalla scuola. Alle elementari la presenza di diversi insegnanti poteva disorientarlo, ma non ci siamo fatti scoraggiare. Nemmeno quando in seconda ce ne era una che lo teneva fuori dalla porta. Per fortuna, in quel caso, non sono stata sola, anche gli altri genitori, che conoscevano bene Tommaso, mi hanno accompagnato nella protesta. La preside provò a liquidarmi: “signora ma che vuole la scuola ad immagine e somiglianza di suo figlio!”. Credo che sobbalzò per il pugno che diedi sul tavolo: volevo ribadire che si trattava solo della richiesta di applicazione di una legge dello stato, la 104. Era quindi suo dovere risolvere il problema che aveva quella maestra per consentire a Tommaso di stare in classe con gli altri, luogo nel quale, doveva mettersi l’anima in pace, sarebbe rimasto fino alla quinta. Stranamente quell’insegnante è stata spostata. Alle medie abbiamo trovato, in compenso, una insegnante di sostegno così empatica con Tommaso che lui non voleva fare gli esami per paura di perderla. Mentre c’era un prof di matematica che giustificava le carenze della classe con la presenza di quell’alunno speciale.“
“Tommaso si fa capire, ma non può sostenere un’interrogazione orale. Utilizza la comunicazione facilitata, per questo, forse, poteva sembrare un azzardo a tutti i presidi degli istituti del circondario a cui mi sono rivolta, fargli frequentare le superiori. A tutti, tranne che a quello del Liceo Mamiani: il professor Guarino. Mi accolse e rassicurò: “se lei decide per la nostra scuola, noi non ci tiriamo indietro. Sarà difficile, ma faremo quello che si può.” Alle prime riunioni con i professori, sia al ginnasio, sia al liceo, alcuni di loro pensavano che fossi matta ad aver scelto il classico ed erano convinti fossi io a fare i compiti a casa per Tommaso. Invece lo spronavo tutti i giorni a studiare e fare tutto da solo, su programmi che erano quasi uguali a quelli dei suoi compagni. Purtroppo non ha potuto studiare il greco perché non abbiamo trovato un insegnante di sostegno che conoscesse la materia, se tornassi indietro mi batterei anche per questo perché la legge prevede che si possa e si debba supportare l’alunno per ogni argomento curriculare. Abbiamo supplito con un surplus di letteratura greca ed andando anche a vedere le tragedie al teatro greco di Siracusa, un luogo incredibile dove Tommaso è stato seduto e attento per una intera tragedia.”
Ha cambiato anche qui 8 insegnanti di sostegno diversi, una è scomparsa pochi giorni dopo averlo conosciuto. Tommaso non è ossessivo, non può spaventare, è tranquillo, al massimo, ogni tanto fa una corsetta o un urletto. Ogni anno io e il preside eravamo in provveditorato a lottare per le ore di sostegno. “
“Ha trovato però tanti amici che ancora oggi vengono ogni anno a festeggiare il suo compleanno e che spesso si sono uniti a noi nelle nostre gite domenicali ai Fori e in altri luoghi storici di Roma che Tommaso ama. Una volta, mi ha scritto che gli sembrava di vedere gli antichi romani all’interno dei Fori, guardando dalla Rupe Tarpea. Ama l’archeologia e l’arte, ma davanti alle giuste obiezioni di alcuni professori, mi sono dovuta fermare nella ricerca di una facoltà universitaria in cui iscriverlo. “Suo figlio è in grado di sostenere una lezione frontale di 2 ore in un’aula con 300 persone?”, mi chiese un preside di facoltà di Roma 3. Non potevo negare l’evidenza, non ce la poteva fare Tommaso. Non volevo però che perdesse la dimensione scolastica che lo aveva fatto stare così bene e sentire integrato rispetto agli altri. I professori del liceo hanno avuto solo attestati di stima reali e commoventi nei suoi confronti. Chi aveva dubbi iniziali si è battuto con me perché lui potesse sostenere l’esame di maturità come gli altri suoi compagni, consapevoli che potesse farlo. La prof di latino del biennio a cui lui chiudeva il libro alla fine della spiegazione, decretando la fine della lezione non appena suonava la campanella, nell’ovazione della classe, l’ultimo giorno del secondo anno gli ha detto: “E’ valsa la pena stare in questa classe per due anni solo perché c’eri tu.””
La sfida per il futuro
“Come potevo garantirgli la prosecuzione del benessere provocato da questa dimensione di confronto e conforto? Intanto abbiamo incanalato la sua iperattività in diversi sport. Abbiamo poi trovato una fattoria sociale da fargli frequentare alcune ore a settimana e l’ho iscritto ad un corso di batteria. Manca però l’idea di un luogo che possa unire le diverse attività e consentire di scegliere una strada che diventi anche un progetto di vita. Mi sono battuta e continuo a battermi con le istituzioni locali perché capiscano l’importanza del Casale delle Arti che aveva ideato e promosso, a Roma, Gianluca Nicoletti. Un posto dove i nostri ragazzi possano passare un tempo continuato come quello scolastico, svolgendo e provando diverse attività sia ludiche, sia creative, sia professionali. Mi sono poi messa in contatto con una mamma, Stefania Ruggiero, che si è inventata una bella realtà di lavoro in Trentino “I biscotti di Alberto”: un laboratorio nel quale i ragazzi non solo realizzano il prodotto, ma lo inscatolano pronto per la vendita e creano contatti per venderli. Attività ripetitive nelle quali serve precisione, una delle qualità degli autistici. Ho provato a capire se potessi riprodurre l’idea anche qui, ma mi sono scontrata con la burocrazia e la richiesta di documentazioni e certificati per ogni passaggio. Ho capito ancora di più la determinazione di Stefania che è anche la mia.”
“Io non chiedo molto: voglio e devo occuparmi ora di quello che accadrà di Tommaso quando non ci sarò più, senza pensare che finisca tutto sulle spalle di sua sorella. Non voglio soldi ma possibilità: una prospettiva legata ad una imprenditoria per disabili. Chiederei una legge in tal senso che liberasse, chi ci vuole provare, proprio dalla morsa della burocrazia.
La mia vita ora si divide tra l’ansia di un presente nel quale devo trovare il modo di far trascorrere il tempo a mio figlio e l’angoscia, determinata, per il futuro. Tommaso non sa esprimere il dolore, chi capirà quando sta male? Quando era ancora a scuola è stato operato di urgenza di un volvolo, ma è stata un’impresa, prima di tutto capire che avesse un problema. Per la prima volta ha pianto per il dolore e siamo andati al Bambin Gesù, dove è stato seguito bene, ma non in maniera risolutiva. Il caso ha voluto che stesse di nuovo male mentre si trovava in viaggio negli Stati Uniti, con il padre, in una città universitaria dove, all’ospedale riuscirono a capire cosa avesse e l’operarono immediatamente. Io, ovviamente, sono partita subito e ho trascorso con lui 6 settimane in un luogo sperduto a tre ore da Chicago da cui siamo partiti che aveva attaccato il suo sacchetto perché non avevano potuto fare l’operazione di ricongiungimento. Ci è andato anche a scuola con la busta, per mesi e senza fiatare. Per fortuna poi l’equipe meravigliosa del Sant’Andrea ha sistemato tutto. 20 giorni e 20 notti in ospedale, seguiti in un modo tale che ho scritto una lettera ai giornali per elogiare tutto lo staff medico e infermieristico.”
L’isola della scrittura
“Ho inviato tantissime lettere nella mia vita: a due presidenti della Repubblica, vari ministri, provveditori, direttori di giornale. Tutto inutile.
La scrittura, non solo epistolare, mi ha sempre salvato. Sin da quando a cinque anni ho imparato, guardando in tv le lezioni del mio mito, il maestro Manzi. E’ la mia via di salvezza da una vita complicata. E’ un’isola felice grazie alla quel avrei voluto anche mettere insieme il pranzo con la cena: ho bussato a varie porte, mandato racconti e articoli, ho fatto traduzioni, ma il massimo è stata la soddisfazione di pubblicazioni gratuite. Ho trovato una dimensione piacevole di scrittura amatoriale con Writer Monkey e sono felice di avere ben tre racconti nel libro “Ti racconto una donna” risultato di questo progetto. Uno l’ho scritto quando mi hanno operata di tumore al seno (non mi sono fatta mancare niente!) per incoraggiare a fare prevenzione, per mio grande orgoglio è stato pubblicato anche nella rivista Nazione Indiana. Il secondo si intitola “Numero 3”: prende spunto da un albero tra viale Mazzini e viale Angelico che fiorisce nel periodo più freddo dell’anno, solo lui. Ci ho costruito una storia che racconta anche l’autismo. Il terzo “Il grande inganno” è finalmente una storia sulle dinamiche amorose. Scrivo nelle giornate sì, quando non sono sprofondata, presa ad uscire dai buchi neri. Mi piace capire, apprendere e mettere in pratica: quando imparo qualcosa e me ne impadronisco, anche solo di un programma del computer, sono contenta.
L’importante è fare diventare il poco un po’ di più.”
La traccia volante: Mai arrendersi. Impossible is nothing. Uno dei miei prossimi obiettivi è buttarmi con il paracadute. Ogni giorno posto nel mio profilo Facebook la copertina di un libro che ho letto e l’immagine di quadri che ho scoperto (mi sono creata un invidiabile archivio) è il trucco per dare un colore diverso alle mie giornate verso quell’aereo da cui mi lancerò libera nel cielo.
Grazie Valeria, sono commossa. Il disegno è meraviglioso! Ed essere traccia volante per una che aspira a buttarsi con il paracadute è il massimo!
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