Daniele dal Sud Sudan a Castel Volturno

“Provo un senso di vergogna come europeo, perché dopo aver distrutto e sfruttato il continente africano, ora ci si sta accanendo ancora con i migranti africani, dicendo anche bugie con una demagogia su cui si sta rafforzando il potere che cerca solo voti e consenso. L’umanità e la diversità si deve incontrare, non erigere muri e barriere varie.”daniele libro.jpg

Due anni fa, il mio amico Ettore Gobbato, giornalista raro che ho avuto il privilegio di vedere all’opera quando ho lavorato alla Presidenza della Regione, promosse un libro “Sud Sudan”, scritto da un suo amico missionario comboniano, Daniele Moschetti. Non conoscevo bene l’argomento, anche perché purtroppo non c’è una grande attenzione su quanto accade in questa zona dell’Africa, ad eccezione delle corrispondenze di Antonella Napoli per Rai news 24. Spinta dalla stima per Ettore che sapevo essere stato nei luoghi narrati dal libro con una Organizzazione non governativa e poi per il Ministero per gli affari esteri, ho deciso di comprare il testo e di organizzarne una presentazione a Pesaro. Mi misi in contatto con i comboniani della zona e con padre Daniele. Leggendo la sua narrazione sotto forme di lettere, nelle quali raccontava ai suoi fratelli le lunghe giornate dei suoi 7 anni nel Sud Sudan, sono riuscita a sapere di più su un paese potenzialmente ricchissimo, per questo sfruttato da potenze occidentali, passato dalla speranza di un nuovo corso dopo il referendum per l’indipendenza all’orrore delle guerre etniche. Alla presentazione non vennero molte persone, nonostante avessi coinvolto anche l’assessorato locale alla cooperazione e l’avessimo organizzata nell’accogliente biblioteca cittadina. E’ stata però l’occasione per conoscere di persona padre Daniele e ascoltare la passione con la quale parlava delle sue missioni non solo quella a Juba, ma anche quella precedente a Korogocho dove prese il posto e i sandali di padre Alex Zanotelli. Finito il giro delle tante presentazioni, con il quale ha provato ad accendere l’interesse di associazioni di volontariato, parrocchie, aule universitarie, su zone del mondo dimenticate, sarebbe partito per New York dove era stato incaricato di collaborare con altre congregazioni religiose per un ministero di giustizia, pace e riconciliazione presso le Nazioni Unite e nel Parlamento americano. Dopo un anno, però, padre Daniele è tornato in Italia e, così come aveva giò chiesto, ha scelto di occuparsi di migranti. Da 10 giorni è nella sua nuova missione a Castel Volturno. Appena arrivato, sta cercando di conoscere le persone e la zona, certo che non sarà facile la sua opera nemmeno in questo territorio, ma intenzionato a far prevalere, come sempre, la sua fiducia nel dialogo e nella pace. Prima di partire ho voluto dimostrare che anche questa volta partiva informato e non voleva farsi deviare dai pregiudizi. Ha pubblicato un video del giornalista Vincenzo Ammaliato nel quale si descrivevano le condizioni reali del comune del casertano, certo non facili, ma lontane dalle false notizie che non lasciano speranze alle tante persone oneste che ci vivono e provano a costruire il loro futuro. Dedico il risultato della nostra conversazione che è il racconto dell’esperienza umana e di fede dal Sud del mondo al Sud del nostro paese, a Ettore che sta lottando una sua personale battaglia, sperando di poter intervistare presto anche lui per narrare le sue avventure e il suo ultimo libro.

La traccia: missioni di pace in Africa e nel sud Italia

“A 15 anni lavoravo come apprendista impiegato a Morazzone in provincia di Varese. Dopo aver fatto il militare ritornai al mio lavoro, ma decisi di riprendere a studiare la sera: mi iscrissi a ragioneria con l’idea di far carriera nella ditta dove lavoravo e formare una famiglia con la mia ragazza. Nello stesso periodo conobbi Mani Tese e formai un gruppo locale a Gallarate con altri amici. Lentamente la mia idea di vita convenzionale che prevedeva una carriera professionale, andava sfumando. Scelsi di partire per un mese in Africa con la missione comboniana. Avevo lasciato la mia ragazza e cercavo una dimensione nuova di silenzio, spiritualità e di preghiera. Stavo mettendo insieme il mio impegno di lotta per cambiare il mondo, che sentivo come un’esigenza forte in quegli anni di contestazione, con una motivazione spirituale in una ricerca più intima di Dio.”

daniele giovane kenya“Sono stato solo un mese nella Repubblica Centrafricana, nelle capanne, confrontandomi con una vita molto povera e insieme ad altri 10 giovani. Alle domande che mi accompagnavano da tempo si aggiunsero nuove piste di riflessione. E’ stato un mese interessante e difficile, ma fruttuoso per le mie scelte di vita personali. Mi ricavai un altro anno per capire e discernere cosa volessi realmente vivere.

Mi accade sempre, prima di scelte importanti: mi prendo del tempo, nel quale non sto fermo, mi impegno in altri modi, per poi intraprendere il percorso in maniera più consapevole.”

Da Korogocho a Juba

“La prima esperienza che ho vissuto durante la mia formazione missionaria e teologale fu in Kenya nella baraccopoli di Kibera e Korogocho a Nairobi dove qualche anno dopo presi il posto del mio confratello e amico, padre Alex Zanotelli. Sono stato in tutto 11 anni a cercare di testimoniare e condividere speranza dove sembrava dominare la disperazione. Donne e bambini persi nelle discariche a cercare di recuperare scarti. Famiglie disgregate e miseria. Non tutto era perso, anzi ho fatto tutto quello che potevo per aiutare chi voleva venire fuori da quelle realtà. Tanto che quando è giunto il tempo di lasciare questa responsabilità ad altri miei confratelli, ho chiesto di potermi occupare di un’altra baraccopoli nell’Africa anglofona.”

“Nell’attesa che mi comunicassero la scelta per il mio futuro, andai in Palestina per circa un anno: a Betania nella zona est di Gerusalemme dalle missionarie comboniane. Ho potuto visitare e imparare molto nei luoghi nei quali è nata la civiltà cristiana, ma anche osservare le contraddizioni di quelle zone, nelle quali non si deve rinunciare a intessere un dialogo.”

“Quasi al termine di quel tempo, mi comunicarono che mi avevano assegnato al Sud Sudan, la terra del nostro fondatore Daniele Comboni. Una terra martoriata, appena uscita da 37 anni di guerre. Il mio nuovo superiore provinciale mi disse: “non ti preoccupare in Sud Sudan è tutta una baraccopoli.” In realtà all’inizio sono stato mandato nella foresta: passavo da Korogocho con 120 mila persone concentrate in un chilometro e mezzo a 100 mila vacche in uno spazio immenso e con poche persone. Mi sono comunque inserito, cercando di capire come stare dentro questa nuova situazione, costruendo dei progetti con i giovani e imparando il dinka, una delle tante lingue del Sud Sudan. Ho provato a diffondere i valori della pace, solidarietà, giustizia e perdono in una nazione nella quale i membri delle due etnie più grosse e influenti, Dinka e Nuer, si uccidono per avere il maggior numero di vacche e tutto il loro mondo ruota attorno ad esse. Dopo un anno, però, mi hanno chiesto di ricoprire il ruolo di superiore provinciale, andando a coordinare a Juba, la capitale, i 50 missionari comboniani sparsi in tutto il paese. In questo modo ho potuto visitare e conoscere meglio popoli e bellezze di questo paese, lavorare a stretto contatto con amministrazioni locali e governative e con i vescovi cattolici e protestanti nelle loro diocesi e con diverse realtà locali.”

 

daniele sud sudan“Mi trovai in un’atmosfera caratterizzata da grandi aspettative, vissute soprattutto dai giovani, per la nuova condizione che si stava per definire con il referendum per l’indipendenza del paese. Il 2011 in particolare è stato un anno molto bello, il 9 gennaio c’è stato il referendum per la secessione e il 9 luglio il Sud Sudan divenne indipendente tra i festeggiamenti, ma anche il dolore per i milioni di morti delle guerre degli anni precedenti. Sono stati anni di speranza e costruzione fino al 15 dicembre del 2013 quando è riesplosa la guerra fratricida. 400 mila morti, migliaia di donne stuprate, bambini bruciati vivi. Una strage di cui si conosce molto poco ed è continuata per 5 lunghi anni. Ancora oggi non c’è stabilità: hanno eletto un presidente e 5 vice presidenti, 35 ministri, 450 parlamentari. Tutti giorni ricevo notizie tramite mail da giornalisti locali, nazionali e internazionali, oltre alla corrispondenza dai miei amici e fratelli per restare informato e condividere, in solidarietà, nella preghiera, cercando di mantenere viva l’attenzione sulla situazione drammatica di questo popolo in una guerra dimenticata dal mondo.”

daniele sud sudan ok

 

“Dopo 7 anni a Juba, toccando con mano la speranza e i sogni dei giovani, ma anche la disperazione e dramma della guerra, ho potuto riflettere sulla differenza tra la miseria e povertà di Korogocho e la situazione del Sud Sudan.  La prima sembrava fosse senza speranza: bambini e donne che lavoravano nelle discariche, la perdita del senso della famiglia, il dilagare della droga. Ma anche la bellezza delle persone che lottano e resistono in mezzo a tanta disperazione ed emarginazione con tanto coraggio, fede e speranza per cercare di vivere e portare dignità ai più poveri e reietti della società. Nel Sud Sudan si cercava la pace, un futuro migliore, desiderio di cambiamento. Non c’era la rassegnazione, ma purtroppo prevalevano gli interessi di chi si voleva arricchire, specialmente i militari, aumentando il divario e soprusi con il resto della popolazione. Il Sud Sudan è una terra sfruttata da multinazionali e nazioni limitrofe e internazionali per le grandi ricchezze del sottosuolo. Una ricchezza che genera sempre più poveri, rifugiati e migranti.”

Verso nuove destinazioni

“Dopo aver vissuto, con alcune brevi pause, 18 anni a contatto con la disperazione e la miseria ma anche la speranza soffocata dei paesi africani, finita la missione a Juba, avevo lasciato libertà di scelta per la mia destinazione futura ai miei superiori, specificando solo che, se mi avessero lasciato in Italia, avrei voluto occuparmi dei migranti. Il padre generale dei Comboniani mi propose invece di andare negli Stati Uniti per un impegno di advocacy, giustizia e pace anche con altre congregazioni religiose, sia presso il parlamento americano, sia alle Nazioni Unite di New York.”

daniele presentazione libro“Prima di partire, ho potuto presentare in Italia il mio libro che avevo scritto sul Sud Sudan: oltre 60 incontri in 45 città, da Milano a Catania. In diversi luoghi ed eventi: aule universitarie, sale comunali, parrocchie, associazioni, celebrazioni. Mi ha colpito la mancata conoscenza dei temi di cui andavo a parlare e, di contro, la grande curiosità di conoscere anche in quale modo si potesse dare un contributo. Ho cercato di veicolare un messaggio sulle responsabilità dirette ed indirette, legate allo stile di vita occidentale che hanno ripercussioni negative sulle condizioni di chi vive nel Sud del mondo. Ho parlato del massiccio sfruttamento delle risorse  da parte delle multinazionali e di paesi potenti e sfruttatori di risorse. Ho provato a diffondere la conoscenza contro l’indifferenza o peggio l’aggressività e il razzismo nei confronti di chi scappa verso l’Europa o il Nord America alla ricerca di una speranza e di un futuro.”

Da Washington a Castel Volturno

“Prima di volare a Washington e New York, ho fatto un pellegrinaggio a piedi, percorrendo il cammino di Santiago di Compostela: 1200 chilometri fino a Finisterre, agli estremi confini dell’Europa. Un cammino che ho dedicato al popolo del Sud Sudan, per la pace per questo popolo martoriato da una guerra lunga oltre 40 anni della loro esistenza.”

daniele usa ok“Ho accettato la scelta dei miei superiori di andare negli Stati Uniti, c’ero già stato per un breve periodo di 40 giorni nel 2014. Non mi ero sentito particolarmente attratto da quello che mi sembrava un pianeta diverso, rispetto a quello che avevo vissuto finora. Ho trascorso i primi sei mesi della mia nuova missione a Washington, lavorando nel Parlamento con le altre associazioni, conoscendo anche molti rappresentanti della società civile e delle chiese protestanti. A giugno 2018 sono arrivato a Newark in New Jersey in una parrocchia che mi è apparsa molto chiusa e conservatrice. Mi dividevo quindi tra incontri ad alto livello nel palazzo di vetro con ministri, ambasciatori, rappresentanti di organizzazioni mondiali e giornate in una comunità locale diversa da quelle con le quali avevo convissuto negli anni precedenti. Ho proposto di riorganizzare il mio impegno, alternando alle attività istituzionali di advocacy, un lavoro nel territorio che prevedesse l’inserimento di almeno tre giornate a settimana insieme agli homeless, ai migranti e vivendo una realtà più inserita e accompagnata da una spiritualità incarnata nella realtà.”

“Non c’era personale e molto tempo per predisporre questo tipo di attività. Così, dopo un mio discernimento di qualche mese, ho deciso di  chiedere di tornare in Italia dove la direzione generale dei comboniani mi ha assegnato alla provincia italiana. E il superiore della provincia italiana sapendo che desideravo servire gli immigrati mi ha assegnato alla comunità di Castel Volturno, in provincia di Caserta dove abbiamo da quasi 20 anni una presenza con i migranti con una parrocchia ad personam. “

“Sono qui da una settimana, sto cominciando a conoscere le diverse persone e i protagonisti che ci vivono. E’ un paese nel quale più del 50% della popolazione è composta da migranti : 15 su 25 mila, per la maggior parte africani. Davanti alla nostra casa c’è il centro Fernandes gestito dalla Diocesi di Capua, con cui collaboriamo. All’interno dello stabile, 4 piani, si fa accoglienza di migranti e si offrono dei servizi importanti.  C’è un centro di ascolto e la parrocchia dove celebriamo l’eucaristia, frequentata da nigeriani, ucraini, polacchi.”

“Non è la realtà di Lampedusa o di altri punti di approdo nella quale si passa per andare altrove. Qui ci sono persone che vivono sul territorio da oltre 10 anni. C’è molta illegalità perché connessa con la camorra e delinquenza locale.”

“Non è un posto facile dove vivere: c’è la prostituzione, vediamo le donne sulla strada Domiziana. C’è il controllo della mafia nigeriana su di loro, come pure sulla droga. Il disagio c’è ed è palpabile, ma non si può esagerare, guardando solo a quello ed inventandosi emergenze. Si è parlato di traffico di organi, alcuni giornalisti hanno lanciato l’allarme, aggiungendo anche di una indagine della FBI, ma poi non si è scoperto nulla. Intanto si sono aggiunti elementi per raccontare una realtà data per persa senza conoscerla.”

“Io mi muovo con umiltà per capire ciò che mi circonda. Castel Volturno si sviluppa per 27 chilometri lungo la domiziana, ci sono 10 chilometri di pineta davanti al mare, un ambiente che potrebbe essere invidiabile se non fosse caratterizzato da un forte inquinamento e dalla presenza di numerose case abbandonate, occupate da disperati che vivono senza luce, acqua, fogne. Viste come punti di salvezza nei quali rifugiarsi.

Dove siamo noi, ci sono molti africani che tentiamo di integrare tra di loro e con la popolazione locale. Non è semplice. Io mi sto guardando intorno e vedo quello che hanno fatto i miei confratelli in questi 20 anni, valorizzando quanto ha funzionato. Bisogna approcciarsi con una terra nella quale da quasi 30 anni le istituzioni governative e locali non riescono a far sentire la loro presenza.

renato don diana ritrattoI migranti servono perché vengono utilizzati nei campi della Campania e Puglia e diventano una risorsa per la criminalità organizzata. La camorra c’è e si accorda con la mafia nigeriana. Si deve trovare il modo per creare dei ponti anche con le altre parrocchie per riuscire ad affrontare questi argomenti. Loro sono qui da anni e rimangono, noi siamo missionari, ma sentiamo l’impegno a parlare, riflettere: noi non possiamo permetterci di essere omertosi.”

“Ci sono anche molti cittadini del posto che si avvicinano a chiedere aiuto. La povertà è per tutti, abbassa le maschere e le differenze. Noi ascoltiamo chiunque venga, siamo in 4 comboniani al momento. La durata della missione è 5, 6 anni. Sarà una sfida grande non solo per entrare in contatto con i migranti, ma anche per dialogare con gli italiani. L’impegno è coinvolgere tutte le chiese locali ad affrontare il tema dell’immigrazione senza generare paura e falsi pericoli, salvando la comunità dai germi del razzismo e della xenofobia. Il cristianesimo si deve incarnare nella storia.

Non dobbiamo farlo solo in Africa, ma anche qui. Provo un senso di vergogna come europeo, perché dopo aver distrutto e sfruttato il continente africano, ora ci si sta accanendo ancora con i migranti africani, dicendo anche bugie con una demagogia su cui si sta rafforzando il potere che cerca solo voti e consenso. L’umanità e la diversità si deve incontrare, non erigere muri e barriere varie.”

daniele e il papa

La Traccia volante: PAMOJA TUNAWEZA!. Insieme ce la possiamo fare in swahili. Il cammino per la pace deve essere di comunione tra le chiese e diverse religioni. Tutti possono dare il loro contributo: credenti e non credenti, persone di buona volontà.

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