“Non voglio rifiutare le mie origini, né rimanervi totalmente ancorata. Tahar Ben Jalloun ci ha definito una generazione non volontaria, non abbiamo deciso noi di migrare ma i nostri genitori e ci troviamo nel mezzo. E’ importante trovare un equilibrio: l’alternativa è vivere la frontiera, da lì crescere, considerando la resilienza un valore aggiunto.“
Ci sono ragazze e ragazzi, donne e uomini, italiani, nati in altri paesi. Sono cresciuti qui, hanno studiato la lingua e la storia dell’Italia; praticano attività sportive in campi e palestre nazionali; fanno volontariato in associazioni e realtà locali; progettano il loro futuro professionale e personale nelle città in cui vivono. Vogliono viaggiare, riscoprire i loro luoghi di origine, ma dare il proprio contributo di sapere, competenze e amore al loro paese, l’Italia. C’è chi crede che tutto questo debba essere un privilegio da conquistare per meriti eroici o per cui aspettare tempi lunghi di assegnazione di una cittadinanza che, una volta ottenuta, è a rischio di revoca. La conquista dell’uguaglianza dei diritti passa attraverso una battaglia che rischia di diventare sempre più difficile da affrontare, ma chi crede nel dialogo, nella conoscenza e nel confronto, come strumenti essenziali per la vittoria, è una strada da percorrere senza timore. Marwa Mahmoud è tra loro. Responsabile dei progetti di educazione interculturale del Centro Culturale Mondinsieme di Reggio Emilia, è nata ad Alesssandria d’Egitto. A quattro anni era già in Italia dove ha studiato e si è laureata. A 18 anni ha chiesto la cittadinanza, per 4 ha dovuto aspettare in assenza di diritti. Non ha mai smesso però di costruire ponti e relazioni per abbattere pregiudizi. Nel direttivo del Coordinamento Nazionale delle Nuove Generazioni Italiane è in prima linea in ogni occasione istituzionale, dibattito o manifestazione per ribadire che, lei e la generazione sempre più numerosa di chi è nato o cresciuto qui con origini diverse, sono italiani a tutti gli effetti. Il suo impegno è la sua idea di politica che ora ha deciso di mettere al servizio diretto dei suoi concittadini, candidandosi alle elezioni amministrative del 26 maggio. La traccia di Marwa affascina, coinvolge e spingerebbe a prendere la cittadinanza emiliana per poterla votare e gioire insieme alla sua meravigliosa bambina.
La traccia: progetti e impegno per le nuove generazioni italiane
“Quando sono diventata maggiorenne, ho fatto la richiesta, aspettato 4 anni e sono diventata cittadina italiana. Sono arrivata a Reggio Emilia con mia mamma e mio fratello che avevo 4 anni. Qui ho trovato un tessuto sociale, culturale ed un clima di apertura e di inclusione che ha condizionato, in positivo, la mia crescita ed il mio percorso.”
“Mio padre faceva il saldatore ed era venuto tra Modena e Reggio Emilia perché c’era molta richiesta del suo lavoro. Io e mio fratello siamo nati ad Alessandria d’Egitto, poi l’abbiamo raggiunto con nostra madre. Ho frequentato tutte le scuole a Reggio Emilia, mentre l’Università a Bologna: “Lingue e letteratura straniera” perché volevo riprendere il contatto con la lingua del mio paese di origine. In casa si parlava il dialetto, non la lingua classica che si legge sui giornali e nei libri. Per me è stato importante riscoprire un’appartenenza.”
Ponti nel dialogo
“Spesso mi chiedono se mi senta più legata all’Italia o all’Egitto, rispondo che è come scegliere tra la mamma e il papà. In Egitto sono molto straniera, riconoscerebbero subito dal mio modo di parlare che sono cresciuta altrove, ne ho una prospettiva idealizzata, tratta dai racconti dei miei.”
“Sono sempre stata attratta dall’incontro e il confronto delle culture. Alle superiori rimasi colpita quando ci portarono al Centro Interculturale Mondinsieme dove si respirava l’atmosfera della conoscenza e del dialogo. Cominciai a frequentarlo, facendo volontariato, appena diplomata scrivevo per una redazione interna, poi ho iniziato a seguire dei progetti sull’educazione interculturale fino a diventarne responsabile. Sono 12 anni che lavoro qui.”
“Per il Centro mi sono dedicata e continuo ad occuparmi di percorsi legati alla condizione femminile e al dialogo interreligioso.
Ho cercato di creare ponti. “
“Dall’attentato contro la redazione di Charlie Hebdo a Parigi, il 7 gennaio del 2015, primo attacco al cuore dell’Europa, soprattutto tra i giovani si è avvertito il bisogno di cercare dei punti di riferimento per una mediazione possibile. Ho provato a farlo, intessendo relazioni con la conoscenza dei luoghi. Un conto era sapere ci fosse un Circolo sociale islamico, un altro entrare, visitarlo, interagire per abbattere gli stereotipi ed attraverso essi, le paure.
Per arrivare a questo punto bisogna conoscere le comunità e fare in modo che si incontrino i diversi rappresentanti, non solo religiosi, anche atei ed agnostici.”
“E’ stato importante per la cittadinanza reggiana confrontarsi in questo modo. Ho sempre notato come, all’indomani di un evento terroristico, dato che non si conosce abbastanza e i media, spesso, tendono a confondere ancora di più, si manifestino timore e resistenza da tutte le parti coinvolte. Oltre alle vittime direttamente colpite, mi sembra ce ne siano altre, toccate in seconda battuta. La comunità musulmana è quasi obbligata a prendere le distanze, anche se non c’entra nulla con chi ha commesso l’attentato. Ci si aspetta questa reazione a cui non vorrebbero essere costretti tutte le volte i fedeli.
E’ un meccanismo di fraintendimenti che si potrebbe risolvere con l’incontro e il dialogo. Basta dire che le vittime sono tutte e che i terroristi non rappresentano i fedeli.
Provare ad utilizzare un grandangolo invece dello zoom su quei pochi per raffigurare tutti.”
Resiliente nella frontiera
“Questo mio impegno per il confronto continuo, finalizzato a spezzare pregiudizi e timori, si incontra con quello per il riconoscimento di un’identità e dei diritti per le seconde generazioni. Io sono donna, mamma e figlia di migranti, da sempre mi confronto con diverse componenti identitarie.
Da che parte sto? Non voglio rifiutare le mie origini, né rimanervi totalmente ancorata. Tahar Ben Jalloun ci ha definito “una generazione non volontaria”: non abbiamo deciso noi di migrare, ma i nostri genitori e ci troviamo nel mezzo.
E’ importante trovare un equilibrio: l’alternativa è vivere la frontiera, da lì crescere, considerando la resilienza un valore aggiunto.”
“Si sa che bisognerà dimostrare il doppio per veder riconosciuto il proprio valore, ma abbiamo dalla nostra parte una elasticità mentale con cui ci confrontiamo sin da piccoli. In casa cresciamo con i nostri genitori che non vogliono farci perdere il legame con le nostre origini, tramandandoci lingua e tradizioni. Quando si esce c’è la società, gli amici e la scuola che rappresentano la maggioranza con una cultura diversa. “
“A Reggio per fortuna si lavora da tempo sul tema delle discriminazioni, non mi sono mai sentita la figlia di immigrati, se non nei momenti burocratici, quando dovevamo fare la fila di notte per il rinnovo dei documenti. A scuola non c’è nessuna differenza, sei come gli altri, stessi giochi e uguali materie, poi, però, per lo Stato sei straniero, anche se hai vissuto da sempre in questo paese.”
“Dai 18 ai 22 anni, mentre aspettavo di ottenere la cittadinanza, ho provato cosa significasse avere diritti diversi. Non ho potuto partecipare al progetto Erasmus perché non potevo lasciare l’Italia, d’altronde il mio percorso universitario era già stato condizionato dalla scelta di una facoltà che non prevedesse l’iscrizione ad un albo per cui fosse necessaria la cittadinanza. Non ho potuto votare e ci tenevo molto, sia a livello nazionale, sia a livello locale. Ho provato la grande sofferenza, improvvisa, di essere estromessa dalla partecipazione alla vita della comunità. Senza cittadinanza non ho avuto accesso nemmeno ai concorsi pubblici per i quali avrei avuto tutti i titoli. “
“Si è acuito il senso di ingiustizia sociale che ha aumentato la mia esigenza di essere sempre pronta a dare il mio contributo su questi temi. Faccio parte del CONNGI Coordinamento nazionale nuove generazioni italiane, un organismo che ha avuto origine dall’interesse del Ministero del Lavoro nel 2014 ed è stato presentato ufficialmente nel 2017. Raggruppa 30 associazioni e si riunisce in tavoli istituzionali ed Inter istituzionali, nazionali ed internazionali. L’obiettivo è proprio far sentire la nostra voce: far capire quanto la realtà stia cambiando, quindi servano politiche di inclusione e partecipazione che rispondano più efficacemente ai reali bisogni delle nuove generazioni.”
“Anche oggi, nonostante l’atteggiamento poco accogliente del governo, andiamo avanti per costruire e consolidare percorsi di dialogo, confronto e collaborazione con istituzioni e organizzazioni.
Non siamo invisibili, il nostro numero cresce sempre di più e questo vuol dire adattare politiche scolastiche e lavorative per non creare discriminazione.”
La resistenza collettiva
“Oltre al mio ruolo istituzionale nell’organizzazione, in cui intervengo in rappresentanza del Centro Mondinsieme, sono impegnata in prima linea nelle manifestazioni, negli incontri e nei dibattiti. Con il Movimento Italiani senza cittadinanza si sperava di poter arrivare all’approvazione di una riforma di una Legge che ci riconoscesse finalmente uguali diritti mentre con la normativa Salvini siamo precipitati indietro verso un accanimento burocratico nei confronti dei figli degli immigrati. Si sono allungati i tempi e aumentate le spese per il riconoscimento della cittadinanza e l’inserimento della revoca mette definitivamente in discussione l’equità tra i cittadini.”
“La resistenza è diventata quindi permanente, ma anche trasversale. Noi lavoriamo insieme a Non una di meno e all’Arcigay, perché se si lavora insieme per i diritti è più facile che si venga ascoltati e si possa ottenere successo per tutti.”
“Ho sempre pensato che questo fosse il mio modo di fare politica: se c’è un’ingiustizia sociale, vado e provo a risolverla, faccio rete per arrivare ad una soluzione. Ho capito però che è necessaria anche una rappresentanza politica per ottenere i risultati, per questo ho accettato la sfida che mi ha lanciato il Sindaco di Reggio con cui collaboro già da tempo: ho deciso di candidarmi come Consigliera comunale per le amministrative che si terranno il 26 maggio.”
“Non vivo in funzione della mia elezione, ma sento la responsabilità di quanti vedrebbero nel raggiungimento di questo risultato una proiezione anche del proprio riscatto sociale oltre ad una maggiore possibilità di ascolto per le proprie istanze. Miro a lasciare messaggi importanti alla politica, per questo ci metterò la faccia e il cuore.”
“Mia figlia di sette anni è la mia prima sostenitrice: è gasatissima. Ha sempre partecipato alle manifestazioni con me. Ho voluto che maturasse da subito una consapevolezza: conosce la storia della nostra famiglia, i nonni cercano di insegnarle la loro lingua. Noi parliamo in italiano, ma la riprendo in arabo. L’abbiamo portata in Egitto che era molto piccola sa che potrà tornarci quando sarà più grande.
E’ consapevole e convinta che la sua mamma si impegni per il bene comune.
Già questo mi sembra un grande risultato.”
La traccia volante: Il mondo è a colori non in bianco e nero, sforziamoci sempre di vederli tutti.
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