”Finchè posso difenderò la storia, non consentirò che venga messa da parte come sembra si stia facendo con tutta la cultura, e lo farò da qui dalla mia amata provincia piacentina.”
Il 25 aprile è una data che appartiene a tutti gli italiani: segna la vittoria della democrazia, del cammino dei diritti, del riconoscimento dell’uguaglianza. Non ci dovrebbero essere condizionali o tentennamenti nel ricordarsi di celebrare e festeggiare il significato, ricordando chi ha dato la vita perché lo si potesse fare. Non c’è limite all’incredulità di quanto sta accadendo in questi giorni: ministri e amministratori che prendono le distanze e annullano le manifestazioni, attacchi diretti contro simboli della memoria, segnali inquietanti di un’identità che vuole essere dimenticata. Per arginare un fenomeno che rischia di allargarsi bisogna tornare all’unico grande alleato: la storia. E’ ancor più necessario dimostrare quanto insegni, a tutti, ciò che accadde nelle giornate precedenti che portarono al 25 aprile e ci fece diventare un popolo. Iara Meloni ha 32 anni, è una storica, appassionata soprattutto a vicende e personaggi che caratterizzarono la Resistenza a partire da quella meno conosciuta delle donne. Ha girato per la provincia di Piacenza, la sua città che ama profondamente, alla ricerca delle testimoni dirette di quegli anni che ha intervistato e racchiuso in un libro Memorie resistenti: le donne raccontano la Resistenza nel piacentino. ( Le piccole pagine 2015). La sua collaborazione con il Museo della resistenza provinciale e con l’Istituto Nazionale Ferruccio Parri, prosegue lungo questo percorso: conservare la memoria orale e tramandare quella scritta per lasciarla a chi mai dovesse provare a dimenticare. La sua traccia conta passi ben fermi che partono dalle ombre impresse da chi ha fatto la storia per portarle su altri sentieri verso il futuro.
La traccia: studi e testimonianze per non dimenticare
“Quando frequentavo la facoltà di Scienze storiche all’Università di Bologna, mi mandavano spesso a fare delle ricerche in archivio. In particolare, una delle mie professoresse, mi chiese di occuparmi di sovversivi. Si tratta di quei soggetti che, per motivi politici, venivano fatte seguire, perché considerati pericolosi. Andai a visionare dei fascicoli che erano stati appena resi disponibili dalla questura.
Trovai quello di una studentessa di Bologna, Aurelia Benco, seguita perché comunista negli anni del fascismo. Era stata arrestata, poi, tornata nella sua città Trieste, era diventata una parlamentare. Come se non bastassero questi dettagli, del suo fascicolo mi colpì che, a differenza di quelli di altri sovversivi, trascritti senza nessun intervento diretto, nel suo c’era una lettera che lei stessa scrisse al questore. La sua famiglia era influente ed era riuscita a farla scarcerare, ma lei ribadiva che non voleva questo privilegio rispetto agli altri suoi compagni imprigionati. Sono andata a cercare chi ci fosse ancora di questa famiglia, ho trovato le figlie a cui ho consegnato l’emozione di questa memoria. E’ come se l’avessero ritrovata accanto e per me fu un’illuminazione.
E’ questo che volevo fare!”
Fuori dall’archivio a conoscere le partigiane piacentine
“Finiti gli esami, volevo dedicare la tesi alla storia della mia provincia a cui sono molto legata. Sarà per via del fatto che sono nata in Brasile durante uno dei tanti viaggi dei miei genitori, io, raramente mi allontano dalla mia Piacenza. Molti miei coetanei sono andati a Milano, anche chi aveva la mia stessa ambizione di fare ricerca, visto che a livello provinciale sembra impossibile. Io però amo le mie colline e queste terre nelle quali sono nati i miei nonni. Volevo sapere di più e scrivere della Resistenza in questi luoghi di cui si sa poco. “
“Ci sono, invece, libri su libri, simboli, altari riguardo a quanto accadde a Modena, Reggio o a Bologna. Ho intrapreso una strada ancora più tortuosa: occuparmi della resistenza delle donne nella provincia piacentina. Subito, mi è stato palese che le figure femminili vengono citate nei documenti scritti solo come soggetti da allontanare dalle brigate perché foriere di disordini per questioni morali. In pratica non potevo fare il mio lavoro. Sembrava che la resistenza femminile nel mio territorio non avesse lasciato tracce scritte. Comparivano donne solo come aiuto per alcune imprese.”
“Trovavo testi sulla resistenza scritti da uomini, ho capito, approfondendo che è difficile, in generale, che le donne di quella generazione raccontino la loro esperienza. Gli uomini invece privilegiano la narrazione di azioni militari che mirano a rappresentarli come un esercito.”
“La fortuna l’ha rappresentata l’incontro e la conoscenza dell’Associazione italiana di storia orale che utilizza la testimonianza diretta come fonte storica. Sono uscita dall’archivio e sono andata a chiedere un aiuto al Museo della Resistenza della provincia, tenuto aperto da dieci anni, grazie alla passione dei volontari. Sono loro che mi hanno trovato alcuni dei contatti di 30 donne da intervistare: erano negli archivi di chi aveva visitato il museo e magari consegnato un loro oggetto significativo.”“Protagoniste a vario titolo di queste pagine della storia, son andata ad incontrarle nei vari paesi della provincia. Impegnate nei diversi ruoli che potevano ricoprire, tutti con una funzione precisa ed importante: consegnare messaggi, nascondere, sfamare, vestire, studiare tattiche per favorire gli spostamenti. Azioni che non vengono considerate da partigiani, ma che invece hanno reso il movimento che si creò durante la Resistenza, civile, morale e popolare. Oltre al museo ho potuto contare sul sostegno e l’aiuto anche dell’ANPI. “
“Giravo con la mia videocamera in paesini nei quali non c’era quasi nessuno per la strada e chi ci si trovava si chiedeva chi fossi e cosa volessi. Hanno anche pensato che volessi truffare le anziane che cercavo per l’intervista. Loro, invece, le protagoniste, oltre una certa diffidenza, hanno mostrato soprattutto timidezza e il timore di sbagliare nei ricordi. Le rassicuravo, dicendo loro che nella storia orale poi si trascrive tutto e si possono correggere eventuali errori di date. Nessuna mi ha chiesto di farlo, ha prevalso la fiducia e il grande rispetto nei miei confronti: “lei che ha studiato, che dice: è giusto?” Alcune mi hanno accolto con i vestiti della festa.”
“Il risultato dei nostri incontri è diventato, prima la mia tesi, poi un libro, grazie ad un altro colpo di fortuna della mia vita: l’interesse di un accurato editore locale “Piccole pagine”. Mi hanno persino pagato i diritti, una rarità per altri amici e colleghi che hanno pubblicato con case editrici piccole o medie, con i quali ho potuto proseguire altre ricerche.”
“Le mie protagoniste hanno capito il senso del mio lavoro quando hanno visto il libro e gli articoli. Si sono emozionate perchè i nipoti, magari anche da altri paesi, leggevano di loro su Facebook.
Quando abbiamo fatto le presentazioni, volevano raccontare di nuovo con più forza e, ormai acquisita sicurezza, la loro storia.”
Il racconto continua
“A quel punto anche io non potevo fermarmi, dovevo continuare il mio racconto. L’ho proseguito collaborando con il Museo della Resistenza, per cui ho raccolto altre testimonianze da condividere con le classi delle scuole che vengono in visita. Il mio impegno a studiare e diffondere la conoscenza di quel periodo storico, fondamentale per il nostro paese, l’ho portato anche nella collaborazione con l’Istituto Nazionale Ferruccio Parri. Intanto l’editore mi ha chiesto un altro libro che uscirà a breve. La mia attenzione si è spostata dalle vittime ai carnefici, sono tornata in archivio per cercare tutti i documenti legati ai processi ai criminali fascisti tra il 1945 e il 1947.”
“E’ dura la vita dello storico, oltre alla difficoltà di trovare risorse per le ricerche c’è anche un problema di riconoscimento pubblico del nostro ruolo. Quando si dice che si fa questo lavoro, molti pensano che sia un vezzo da ricchi quando non si viene direttamente derisi o etichettati come adepti di qualche corrente politica. All’estero riescono ad avere borse di studio, qui è quasi impossibile, soprattutto per chi come me, si incaponisce a voler lavorare nella provincia, poi esagero volendo occuparmi anche di resistenza e addirittura di donne. La diffidenza è palese da chi parte dalla convinzione che la storia la scrivano i vincitori, ma io ho 32 anni, per me la storia è una scienza non un’opinione. Non si riconosce il valore di uno studio che segue determinate tecniche di ricerca, una disciplina nell’utilizzo delle fonti. Siamo visti quasi come mistificatori non come ricercatori che elaborano e consegnano i risultati di lunghi anni di attività.”
“La situazione diventa ancora più drammatica se si pensa che molti dei testimoni diretti, partigiani, reduci dei campi di concentramento, stanno venendo a mancare, anche alcune delle mie donne non ci sono più. Ci sarà sempre più bisogno di storici per mantenerne la memoria.”
Ed ora la storia deve resistere
“Nel 2017 insieme ad altri storici, insegnanti, sociologi, giornalisti, scrittori, bibliotecari, antropologi, archeologi abbiamo deciso di fondare Pop History, un’associazione senza scopo di lucro, che sia innanzitutto la casa di chi si riconosce nella Public History elaborata nelle comunità.”
“Partendo dalla scientificità del metodo storico, vogliamo ritrovare la profondità della storia e promuovere un uso critico del pensiero storico che possa spiegare la complessità del presente, attraversando confini e culture. Ci stiamo occupando anche di nuove modalità di trasmissione della storia attraverso i social media. Per questo vogliamo elaborare un lavoro di confronto e condivisione su percorsi interdisciplinari e multidisciplinari, che concretizzeremo in ricerche storiche di Public History, nella realizzazione di eventi, spettacoli, filmati, siti web, app, progetti di didattica storica, consulenze a enti privati e pubblici, utilizzando tutti i linguaggi e le tecnologie proprie del nostro tempo, a seconda dei contesti e dei contenuti trasmessi.”
“E’ dura, affrontiamo la domanda quotidiana anche dei nostri genitori “perché non fai domanda al Ministero?” “Quando partecipi ad un concorso per insegnare?” Finchè posso difenderò la storia, non consentirò che venga messa da parte come sembra si stia facendo con tutta la cultura, e lo farò da qui dalla mia amata provincia piacentina.”
La traccia volante: dal romanzo Austerlitz di W.G Sebald
“L’oscurità non si dirada, anzi si fa più fitta al pensiero di quanto poco riusciamo a trattenere, di quante cose cadano incessantemente nell’oblio con ogni vita cancellata, di come il mondo si svuoti per così dire da solo, dal momento che le storie, legate a innumerevoli luoghi e oggetti di per sé incapaci di ricordo, non vengono udite, annotate o raccontate ad altri da nessuno”
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