C’è un primo giorno per tutto

C’è un giorno nel quale capiremo che per partecipare alla vita dei nostri figli dobbiamo stare da parte. Sarà tardi rispetto al nostro stato d’animo e alle infinite stupidaggini che avremo detto e fatto per coprirlo. Intanto li osserviamo mentre crescono, provando a sbagliare il meno possibile. 

viola primo giorno

Si è messa la sveglia da sola, non ha suonato, ma non ce ne era bisogno: alle 7.30 era in salotto, pronta a bersi il suo succo di frutta alla pesca. Lo zaino preparato ieri sera: giusto due quaderni, uno a righe e uno a quadretti ( non mi arrenderò agli “scacchi” fino a quando non vedrò copertine con alfieri e cavalli), regolarmente etichettati ( è una ossessione a cui le maestre non riescono a derogare). Nell’astuccio mancava il pastello color viola nonostante le quattro gradazioni di rosa: lo aggiungeremo alla lista copiosa degli acquisti che verrà assegnata oggi. Nella tasca davanti spazio per la borraccia con il numero 46, conquista orgogliosa di una giornata nel circuito di Misano con il padre, simbolo delle radici pesaresi che iniziano ad attecchire.

viola libriPer l’abbigliamento non ha sentito ragioni: “la polo della scuola per il primo giorno? Non se ne parla!”. Salopette jeans, maglietta bianca con il simbolo della pace, felpa d’ordinanza anche dovesse liquefarsi dal caldo, scarpe chiuse. Unica concessione alla didattica: il libro delle vacanze, “ma sì mettiamolo non si sa mai!”. Mia partecipazione alla preparazione pari quasi a zero, giusto un parere sulla correttezza delle odiate etichette e la pronta risposta alla richiesta del viola.

 

Dovevo aspettarmelo, ma arriva senza avvertimento, quell’attimo preciso in cui senti di non essere più fondamentale in ogni aspetto della vita dei figli. Lo percepisci quando rimettono nell’armadio i vestiti che hai provato a scegliere per loro e ne indossano altri di stile opposto, o quando camminano davanti, mentre dovrebbero passeggiare insieme a te, salutano coetanei che non riconosci subito e ti folgorano se intervieni, con un cenno amichevole, a ribadire una presenza. Lo sai che accadrà, lo hai atteso, mentre urlavi: “non vedo l’ora che iniziate ad essere un po’ autonomi, sempre attaccati a me”.Poi ti ritrovi a sussurrare: “sicura di aver preso tutto, vogliamo ricontrollare insieme, dai ti stiro la gonnellina rossa…” fino al patetico “giuro che ti lasciamo davanti alla scala e andiamo via, senza nemmeno salutarti, solo il primo giorno!”

viola primo giorno oggiEro lì a fissarla, mentre alle 8 e un quarto con un anticipo mai registrato da nessun orologio della casa (seguono tutti,inspiegabilmente, fusi diversi, neanche fossimo un aeroporto), si è affacciata alla finestra con lo zaino in spalla, i capelli pettinati e perfino i denti lavati a vedere il passaggio dei compagni, per decidere l’uscita strategica. Abitare davanti la scuola ha una quasi totalità di vantaggi tranne il difetto di negare qualsiasi possibilità plausibile di ritardo e l’immediata visibilità da parte di genitori, amici e insegnanti.

“Scendo!”. Lo ha detto. “Vado!” ha aggiunto.

“Ma dai almeno il primo giorno, fallo per tuo fratello, aspettaci!” Abbiamo arrancato, imbarazzati e imbarazzanti, sulla porta, io e Gian, trascinando Luca, molto meno motivato al ritorno in classe.

Ci ha concesso, solo per oggi, solo per il fratello, di passare insieme davanti all’ingresso e lasciarla.

Si sono tenuti per mano fino alle strisce pedonali: quasi un confine tra l’estate di giochi e scherzi da bambina e un autunno di impegni da ragazzina di quinta elementare. Noi, dietro, a fingere disinteresse, ci siamo rifugiati nelle chiacchiere di convenienza con altri genitori, pronti a giustificarsi: “ci ha chiesto di accompagnarlo per oggi, poi verrà con gli altri compagni anche lui.” Falsi, come noi, appesantiti, però, nelle nostre bugie, dalla distanza centimetrica della scuola.

“E’ l’ultimo anno, ce la faremo!” cerchiamo ancora di accomunarci ad un destino che sappiamo non ci appartenga più così direttamente.

“Guarda Viola, c’è Matilde…” ho osato indicare, raggelata da uno sguardo di tenero odio “l’ho vista già!”. La campanella è stata come una liberazione da questo stato di incomprensibile presenza. Le battute hanno lasciato nell’aria la consistenza della loro stupidità nel preciso istante in cui sono state solo pensate: “ mi raccomando, non vi perdete, dovreste conoscerla ormai la strada della classe.”

Prima di salire, si è voltata: “lo so perdonami, devo tacere!”.

“Mamma ci vediamo all’uscita!”

Si è fatta dare un bacio ed è scomparsa dietro lo zaino, tra quei padri temerari che salgono ancora le scale, le maestre e i piccoli con la maglietta della divisa, pronti al loro primo giorno.

Ho sospirato, senza negare la presenza di una lacrima mista di orgoglio, ansia, malinconia e tenerezza che si è dissolta nel canticchiare allegro di Luca. “Amore e capoeira…” ritmava con il suo passo ormai collaudato, nel breve tratto verso il suo ultimo anno di materna.

Ha abbracciato l’adorata Manuela, assistente tuttofare: l’ho fatto anche io con trasporto per alleggerire la tensione. Le maestre, abbronzate e dinamiche, pronte alla sfida. Non mi sono ritratta dall’ennesima battuta fuori luogo con Maria che balla il flamenco e ha preparato cartelloni per un’accoglienza degna di una materna di Madrid.

“Ma dove è andato?”

“E’ dentro, sta già chiacchierando con gli altri”

“Ma non mi ha nemmeno salutato, vabbè…”

C’è un giorno nel quale capiremo che per partecipare alla vita dei nostri figli dobbiamo stare da parte. Sarà tardi rispetto al nostro stato d’animo, alle infinite stupidaggini che avremo detto e fatto per coprirlo.

Intanto li osserviamo mentre crescono, provando a sbagliare il meno possibile. Dosando gli interventi e riempiendo i silenzi, sperando non si dimentichino che, semmai vorranno voltarsi, con un giro d’anca, tra flamenco e capoeira, noi faremo in modo di esserci.

Escono a mezzogiorno e mezzo.

Corriamo!

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