Non bruci la compassione a Samos!

Mazì è la scuola, fondata da Nicolò Govoni nel 2018, che ogni giorno accoglie i bambini siriani del campo di Samos. Ieri notte ha ospitato le famiglie in fuga dall’incendio, scoppiato in quella stessa polveriera. In greco vuol dire insieme, solo così si può stare. La traccia di oggi prova a legare la Samos di Nicolò alla Bologna di Don Matteo Zuppi: perché è la stessa terra, la stessa speranza e siamo noi che abbiamo la responsabilità di non mandarle in fumo completamente.

samos incendio

Ieri notte sono divampate le fiamme nel centro di accoglienza di Samos. In un luogo che tutto ispira tranne il senso di accoglienza, il fuoco improvviso si è aggiunto alla disperazione quotidiana. Per trovare informazioni su quanto accaduto bisogna cercare: i quotidiani nazionali riportano notizie frammentate, riprese da giornali greci. Parlano di una rissa tra profughi degenerata e forse di un bambino ferito a morte. Saperne di più non sarebbe difficile, basta collegarsi ai profili social di chi è sul posto non da ieri, ma da anni per alleviare le sofferenze di coloro che sono vittime di quella che non si può considerare un’eterna emergenza. Nicolò Govoni, giovane attivista di Cremona, è riuscito a fondare una scuola proprio per i bambini del campo di Samos, da lì la sua squadra trasmette i video di quanto sta accadendo, mentre lui si trova al confine siriano con la Turchia a documentare altro orrore. 

Dalle sue parole di commento non emerge la sorpresa per l’incendio, ma la rabbia per una tragedia evitabile. Il disgusto per un’indifferenza nella quale muoiono tutti i giorni le speranze di chi è costretto a fuggire e vorrebbe solo ricominciare nella dignità.

Scrive Nicolò ed è importante riportare e leggere.

Si è trasformata nell’inferno che abbiamo sempre temuto. Sta accadendo in questi minuti. Nonostante gli infiniti appelli, le autorità non hanno mai fatto nulla, e alla fine è successo. È il caos più totale. Glielo avevamo detto. Non hanno ascoltato. E ora è il purgatorio in Terra. È scoppiato un enorme incendio. Sta divorando la giungla in cui la gente vive in tenda, e si spinge sempre più verso i container. Il caos è sfociato in sommosse, lapidazioni, lacrimogeni. Parlano di un minore non accompagnato accoltellato a morte. Mi sento molto impotente. Mi sento disgustato. Due anni di denunce contro le autorità, una causa penale contro l’amministrazione, due inchieste parlamentari in Parlamento Europeo per chiedere spiegazioni all’Europa, tutti i media italiani per rompere il silenzio e, poi ignorate tutto? E poi fate finire tutto in morte? Come osate! Il sangue di stanotte è sulle vostre mani.”

Il centro di accoglienza di Samos ospita più di 5.000 persone, cinque volte la sua capacità. La maggior parte di loro dorme in tenda senza servizi igienici, acqua potabile e medicine. Molti i bambini non accompagnati, L’Unhcr stima che in tutte le isole greche siano almeno 4400. A settembre sono approdate 10.258 persone per la maggior parte famiglie afghane e siriane. Un numero inevitabilmente destinato a crescere.

Nell’incubo che numeri e parole provano a descrivere, ci sono alcune piccole luci che non possono essere lasciate sole, ma fanno capire che si può fare qualcosa, che non tutto è perso per le nostre coscienze.

Mazì, in greco vuol dire insieme: è la scuola che Nicolò, insieme alla sua Onlus Still I Rise e oltre 200.000 persone che hanno deciso di contribuire, ha aperto nel 2018 proprio a Samos. Accoglie circa cento bambini a cui vengono insegnati inglese, greco, biologia, geografia, storia, cultura europea, musica, arte, falegnameria, danza e informatica. Ieri notte ha aperto le porte a coloro che fuggivano dalle fiamme.

Racconta sempre Nicolò, riportando le notizie del suo team.

Samos Mazì
Le famiglie in fuga dall’incendio ospitate nella scuola Mazì

Stanotte Mazì diventa rifugio e ospita oltre 250 persone tra bambini e famiglie. Vi invito a ringraziare il nostro Team sul campo che stanotte non chiuderà occhio per dare latte ai bebè, coperte alle madri, sacchi a pelo ai padri. Siete incredibili. Vi invito a ringraziare anche i nostri bambini, che nel caos generale hanno aiutato a creare un senso sicurezza accogliendo le famiglie nella Nostra Scuola. Siete dei supereroi.”

Domenica nella prima messa da Cardinale a San Petronio, Don Matteo Zuppi ha declinato la sua nuova responsabilità in una parola sola “compassione”, non come pena, ma amore e sostegno concreto dell’altro.

“In Africa dove il tamburo è grande e serve per chiamare e comunicare gioia c’è un proverbio che recita “Non serve rubare il tamburo”. Se lo prendiamo e teniamo per noi non possiamo più usarlo, senza gli altri diventa inutile. Suoniamo il tamburo perchè è motivo di gioia, un dono per me e per il prossimo. Gesù ha insegnato a non avere paura di amare, ci ha donato un cuore dove nessuno è straniero che dona senza cercare ricompensa, con la gioia della gratuità dell’amore.”

Vedendo quanto sta accadendo e quanto si adoperino nel silenzio, ma facendo risuonare il tamburo, persone come Niccolò e le tante ragazze, ragazzi, uomini e donne che non si rassegnano all’egoismo della ragione, il senso di queste parole appare ancora più profondo.

Mazì in greco vuol dire insieme, perchè solo così si può stare. Allora la traccia di oggi lega Bologna a Samos, perchè è la stessa terra: siamo noi che abbiamo la responsabilità di non mandarla in fumo completamente. Con piccoli gesti come potrebbe essere supportare la missione di Still I Rise “IBAN: IT72W0303240110010000024523 INTESTAZIONE: Still I Rise. Oppure aiutare alla costruzione della seconda Mazì, in Turchia, comprando il libro di Nicolò “Se fosse tuo figlio” che fa anche bene all’anima leggere. https://www.amazon.it/fosse-tuo-figlio…/dp/8817140929


A chi obietterà che ci sono tante persone bisognose nel nostro paese, a chi predica la compassione nazionalista, si invita a cercare di informarsi. Non si negano le difficoltà di chi vive anche nei confini nazionali situazioni di povertà, frustrazione e degrado, ma lo sguardo si deve allargare perchè solo insieme si può vincere una battaglia di civiltà globale.

Non chiediamo lacrime. Non vogliamo soldi. Desideriamo solo che la vostra voce si unisca alla nostra: se diventiamo uno, noi ce la faremo.”

Scrive Nicolò, un ragazzo italiano di 26 anni che ha deciso di non fermarsi al pregiudizio e alle parole, spingendo anche altri a creare speranze per tutti. Ieri davanti alle fiamme di Samos, ha concluso

“Questa non è l’Europa. Questa non è civiltà. Questi non siamo noi. Noi siamo meglio di così.”

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