“Bisogna imparare e riconoscere il pericolo e allontanarlo prima che sia troppo tardi. Senza dimenticare che vanno educati gli uomini, fin da quando sono bambini, a capire che il garbo, la gentilezza e il rispetto li renderanno uomini veri, non la violenza, la possessività e l’aggressività.”
La violenza è subdola. Usa sentieri poco visibili. Chi li ha impressi addosso cerca di nasconderli. Parla la lingua meschina della sopraffazione, dell’annichilimento e della continua derisione. Lentamente macera, picchia lividi sull’anima, togliendo la voglia di respirare. Strappa la fiducia, riducendo al silenzio nel tentativo estremo di rendersi invisibili per difendersi da un attacco inevitabile. Il dolore e la sofferenza coprono la consapevolezza di quanto si subisce. L’attacco acquisisce vigore anche da una certa modalità diffusa di relazioni quotidiane negli ambienti di vita e di lavoro. Quella battuta, lanciata da un collega o da un conoscente, che rafforza la sensazione indotta di essere stupide, inutili, quindi quasi inevitabilmente vittime. L’arroganza vigliacca, la tracotanza ottusa, mostrata come fiera dimostrazione di virilità a confondere sulla forza della dolcezza degli uomini veri. Il male si insinua, lavora nel tempo così che poi ne serva il doppio per riconoscerlo e curarlo. Per questo quando chi ha sopportato la violenza, decide di condividere quanto ha provato, nel dettaglio dei comportamenti non normali accettati, bisogna ringraziare, seguendo quanto la sua angoscia superata, insegna. Giulia ha 34 anni, è una professoressa di inglese, ha una vita piena ed un amore vero, puro quello che merita ogni donna ed ogni uomo. La sua serenità, conquistata con i denti e ora espressa in occhi trasparenti, le ha permesso di diventare una testimone attiva per mettere in guardia su quei segnali che non si vogliono riconoscere. Lo fa, raccontando la sua storia ai suoi studenti e rivolgendo un necessario moto di attenzione a chi percepisce essere nelle condizioni nelle quali si è trovata e anche in quelle in cui viveva chi l’ha resa vittima. Oggi, nella giornata internazionale della violenza contro le donne, ha deciso, a 7 anni dalla fine della relazione che definisce tossica, di condividere, anche sui social, con un post pubblico, la sua esperienza “come modo più efficace per fare qualcosa di concreto contro la sempre più odiosa pratica di fare del male alle donne.” La sua traccia è una dichiarazione di rispetto per l’amore che non va mai confuso con il dolore.
La traccia: la testimonianza diretta contro la violenza
“Avevo ventiquattro anni quando sono andata a convivere: ne sono passati dieci e soprattutto sette dal giorno in cui ho deciso di andare via. Un gesto di consapevolezza, acquisito dopo una lunga terapia. La causa scatenante è stato l’ultimo campanello di allarme. Dopo l’ennesima lite, andai ad un colloquio di lavoro, quando tornai, trovai un vecchio i pad, regalo di un fidanzato del passato, rotto a martellate. Ho capito che la prossima ad essere ridotta in mille pezzi, anche fisicamente, avrei potuto essere io. Ho chiamato due amiche, fatto le valigie e lasciato la casa.”
“Fino a quel momento la paura era costante e le forme di violenza continue. Lui però era furbo, questo non sembri un complimento, ma la sintesi della sua strategia distruttrice: non mi ha mai colpito in modo visibile. Mi chiudeva la bocca quando volevo urlare, mi tirava i capelli se tentavo di allontanarmi, gesti che non lasciavano lividi, non sulla pelle.”
“Ricordo pranzi e cene, sempre seduti vicini: se tentavo di parlare con un ragazzo che capitava accanto, ricevevo subito sms in cui mi insultava. Un modo per fissare quel disprezzo e lasciarmene un monito persino nel telefono. E’ significativo quanto mi è successo a distanza di otto anni da una di quelle occasioni: ad un evento, ho incontrato un ragazzo che avevo il dubbio aver già conosciuto altrove. Dopo aver parlato un po’, mi ha inchiodato: “Ma non ci credo, tu eri la ragazza di I. Siamo usciti qualche volta insieme, ma non avevo mai sentito la tua voce!” Io logorroica di natura, ero stata ormai ridotta al silenzio. Rotti i rapporti con i miei amici , ero diventata invisibile e muta, tanto da passare inosservata.”
“Andare via, scappare e prima di tutto ammettere, chiedendo aiuto, mi ha restituito voce e identità. Purtroppo non si è subito arreso. Mi ha pedinata, controllata, continuato a chiamare fino a quando non l’ho minacciato di denunciarlo alla polizia. Nella sfortuna sono stata fortunata, perchè sapevo quanto fosse codardo e che la minaccia della denuncia lo avrebbe fermato.”
“C’è voluto tempo, dopo, per recuperare la considerazione di me e la capacità di vivere in maniera sana i sentimenti. A 32 anni, però, ho trovato colui che Frida Kahlo definisce l’amore che si merita: dolce, comprensivo, complice. Ho capito che questa è la normalità, non quella che ho vissuto credendola tale, quando sono stata annichilita, sopraffatta, cambiata, azzerata. Se però non avessi chiesto aiuto, se avessi pensato di farcela da sola, non sarei qui.”
“E’ una condizione difficile da definire, sono come una vittima scampata al pericolo finale che quindi ha il dovere di testimoniare. Ho deciso di farlo con gli studenti. Insegno inglese: quando capisco che è necessario, da alcune dinamiche che intuisco, mostro il video musicale di Rihanna ed Eminem “Love the way you lie”. Quasi un film, da cui emerge quanto sia difficile per entrambi coloro che vivono relazioni violente, uscirne, presi da una divisione di ruoli, vittima e carnefice, che può sembrare immutabile e necessaria per identificarsi. Al video aggiungo il racconto di quanto ho passato. Una testimonianza viva, reale che li scuote. E’ un meccanismo che attivo anche quando vedo uno dei ragazzi mostrare la sua presunta virilità attraverso atteggiamenti che sono solo violenti e dimostrano la sua insicurezza. La conclusione che offro loro è : considerate quello che vi ho raccontato e ponetevi delle domande in più, invece di tacere e subire. “
“Anche questa mattina ho voluto scrivere, non per essere compatita, è il rischio che si sente di correre, soprattutto durante queste occasioni, ma perchè credo sia significativo, in un sistema che non riesce a cambiare, dare le indicazioni di chi ci è passato per imparare a difendersi. Bisogna imparare e riconoscere il pericolo e allontanarlo prima che sia troppo tardi. Senza dimenticare che vanno educati gli uomini, fin da quando sono bambini, a capire che il garbo, la gentilezza e il rispetto li renderanno uomini veri, non la violenza, la possessività e l’aggressività.”
La traccia volante: Ti meriti un amore che ti spazzi via le bugie/ che ti porti l’illusione,/ il caffè
e la poesia. Frida Kahlo
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