“La scuola deve lavorare sui contenuti, le metodologie, le prospettive. Nelle aule, i corridoi, gli spazi comuni nasce e cresce un progetto di società. Al Marco Polo siamo per l’accoglienza che è sinonimo di libertà, la condivisione, la creatività e quindi anche un po’ per la confusione. Il silenzio assoluto in un istituto con 1600 studenti, sarebbe la morte civile”
Il professor Ludovico Arte ha, già nel nome, l’evocazione del personaggio di un racconto di Calvino. Se poi si scopre che nell’Istituto tecnico per il Turismo Marco Polo che dirige a Firenze, lo hanno soprannominato “il Furia”, l’idea che a narrare le sue gesta si sia già tra le pagine del romanzo, viene naturale. Intanto la sua avventura umana e professionale, insieme a quella dei docenti e degli studenti che hanno contribuito a renderla paradigmatica di un modello di istruzione e di relazioni, è protagonista di “Marco Polo, un anno tra i banchi di scuola”. Il film documentario di Duccio Chiarini, presentato ad Alice nella Città durante la Festa del cinema di Roma sarà visibile domani, giovedì 28 novembre, alle 19 e alle 21, al Teatro della Compagnia di Firenze e dal 29 novembre al Cinema Stensen. Mercoledì 4 dicembre alle 21 di nuovo a Roma al Cinema Farnese e da gennaio si potrà vedere in altre città. La traccia di Ludovico però non racconta solo di questo progetto, ma di un percorso, mosso dalla volontà reale di cambiamento con la quale è riuscito a travolgere chi era abituato ad un quieto vivere, tendente alla rassegnazione, sia tra studenti, sia tra insegnanti e personale scolastico. Mostra come, senza fondi aggiuntivi o conoscenze speciali, ma insieme, li abbia resi persone degne e felici del proprio impegno quotidiano. Non si sente un eroe civile, ma ha fiducia che questo sia il modo migliore di dare il proprio contributo alla società, con l’ascolto, il confronto, il colore, l’allegria, il sostegno e anche con la confusione. Le sue anticipazioni su quanto avverrà, da febbraio in poi, nei corridoi del Marco Polo, ne sono un’ulteriore conferma.
La traccia: un modello reale di scuola
“Sono in servizio come dirigente scolastico da otto anni. Nato e cresciuto in Calabria, sono venuto, come tanti, a studiare qui a Firenze e ormai mi sento anche un po’ toscano. Faccio l’insegnante da 20 anni, ma poi ho avuto voglia di mettermi in gioco e deciso di fare il concorso per provare a diventare preside: passare dall’altra parte per capire come si potessero realmente cambiare le cose.”
Ripartire insieme
“Quando sono arrivato al Marco Polo, il primo istituto tecnico per il turismo in Toscana, tra i più antichi d’Italia, non era messo benissimo. I numeri dimostrano come la situazione sia cambiata rapidamente. Otto anni fa c’erano 90 iscritti in prima, da quattro ne abbiamo 450 e dobbiamo prevedere dei sorteggi per gli accessi; erano 600 gli studenti in tutta la scuola, ora sono 1600. Non ho realizzato un miracolo, semplicemente ho invertito la rotta. Il bivio era tra la chiusura o la veloce ripresa con il supporto di tutti coloro che fossero intenzionati a dare una mano. Il primo consiglio dei docenti sono stato chiaro: “ siamo a quota 615, sotto i 600 iscritti ci accorpano, se vogliamo resistere dobbiamo darci da fare.” Allo stesso tempo, mi sono fatto indicare degli studenti con cui aprire un dialogo altrettanto franco. Li ho portati in una classe e ho chiesto loro semplicemente: perchè avessero scelto la nostra scuola, cosa si aspettavano, cosa li aveva delusi e cosa avrebbero voluto.”
“Quella è stata una delle spinte più forti: provare a ricostruire la scuola, seguendo anche le loro indicazioni. Abbiamo posto insieme le nuove basi. Prima di tutto abbiamo concordato sulla politica della porta aperta. Io non prendo appuntamenti: dovrebbe essere una prassi normale se non fosse che in alcune scuole possano passare anche mesi prima di essere ricevuti da un preside. Non solo si può parlare con me in qualsiasi momento, se si ha un problema, ma, sia studenti, sia docenti, devono sentirsi liberi di propormi idee e progetti. Si crea un clima di liberazione delle passioni e delle energie. E’ significativo quanto mi disse uno dei tecnici della scuola: “Preside, io fino a qualche anno fa, come altri, lavoravo al minimo, ora sento che c’è una gran voglia di fare e mi fa proprio piacere dare una mano.” Molte delle stesse persone che stavano vivendo la decadenza della scuola, l’hanno fatta ripartire. Qualche insegnante, come è normale che sia, ha storto la bocca, qualcuno ha chiesto di andare via, ma ne sono arrivati il doppio e la maggior parte che è rimasta, ha condiviso il segreto del successo del Marco Polo.”
Persone, innovazioni e spazi felici
“Quattro sono stati i cardini su cui si è mosso il cambiamento. Il primo ha riguardato l’accoglienza e la qualità delle relazioni. Quando devo scegliere i collaboratori guardo ad una caratteristica in particolare: devono essere gentili. Sono tutti coinvolti in un sistema che prevede anche diverse figure di aiuto: psicologi, mediatori, educatori, nutrizionisti, tutor. Coordinano sportelli dove possono andare sia gli studenti, sia i docenti che hanno bisogno di un conforto o di un consiglio. I ragazzi anche sono coinvolti: i grandi seguono quelli delle prime come fratelli maggiori. I più preparati fanno con loro i compiti due volte a settimana e ricevono un compenso per questo impegno. E’ un lavoro continuo sulla comunità scolastica. Non ci si deve occupare solo dell’impartire materie, ma soprattutto delle persone. Uno studente che ha problemi di alimentazione, di dipendenze, di droga, non può essere lasciato solo ed escluso: la scuola deve trovare il modo per sostenerlo. Il miglioramento delle sue condizioni impatterà anche sull’apprendimento e ne gioverà tutto il resto della classe. Stesso discorso vale per un docente: se sta bene, insegna meglio.”
“Dalle persone agli strumenti. Nel secondo punto del cambiamento abbiamo messo l’innovazione tecnologica. Otto anni fa non c’erano LIM e pochissimi computer. Ora, ogni aula ha la propria lavagna multimediale e sono stati acquistati molti computer. Inoltre c’è la possibilità, per chi è a casa malato, di seguire le lezioni in diretta, così non si rimane indietro e, in caso di malattie con terapie molto lunghe, non si rischia di perdere l’anno. E’ uno dei progetti per ampliare sempre più l’offerta formativa: il nostro terzo cardine. In un istituto turistico si deve garantire la possibilità di apprendere diverse lingue oltre alle tradizionali. Da due anni gli studenti possono studiare, la mattina, quindi all’interno dell’orario scolastico normale: arabo, cinese e giapponese. Non solo: si può sperimentare quanto imparato con diverse proposte di viaggi studio ed Erasmus in vari paesi del mondo. Percorsi gratuiti che si possono attivare utilizzando i fondi europei previsti.”
“La scuola può cambiare se vuole, cercando tutte le risorse disponibili anche per migliorare nel proprio aspetto, curando gli spazi dove si lavora e si studia. E’ il nostro quarto punto. Non sopporto l’idea che, alla materna ci siano aule e corridoi colorati, poi si inneschi un meccanismo per rendere i luoghi di apprendimento e condivisione sempre più anonimi e tetri. La concezione degli istituti scolastici come caserme. Ho deciso di cominciare a “sciupare” i nostri edifici attraverso i colori. Abbiamo ridipinto, in maniera creativa, tutta la facciata esterna ed ora c’è uno street artist che si sta occupando di animare quelle interne. Abbiamo messo il parquet nella sala insegnanti; scenografie originali nei corridoi e spazi comuni, dove si possono trovare anche dei comodi pouf. Quando il tempo lo consente, si può fare lezione all’aperto, seduti su pneumatici rivestiti, all’interno di una grande nave. Abbiamo tolto il clichè della cattedra al centro. Le lezioni possono cambiare stile ogni giorno. Si è imposta però la moda, che è una volontà di appartenenza, di indossare la felpa del Marco Polo.”
Prospettive non solo indirizzi
“I ragazzi sentono di essere compresi nell’idea della scuola. Se si pensa alle differenze tra varie realtà scolastiche, troppo spesso si è portati a rispondere, solo basandosi sul diverso indirizzo non certo sul modello educativo. Molte scuole lavorano sull’emergenza: non si fermano per capire quali possano essere le metodologie, i contenuti e le prospettive migliori, non per resistere, ma per dare un’impronta forte a quanto si fa quotidianamente. Eppure, se ci si prova, se ne avvertono subito i benefici: si acquisisce il piacere di stare insieme e di mettersi in discussione. Si respira la fiducia tra chi condivide gran parte della giornata negli stessi luoghi, per il medesimo scopo finale.”
“Per questo io non faccio entrare i cani antidroga. Sono venuti da me i carabinieri: ho risposto che non ero d’accordo e impedivo l’accesso. L’ho spiegato in caserma dove sono stato convocato: mi hanno confermato che si muovessero per il bene dei ragazzi, ed ho ribadito che, per lo stesso obiettivo, non avrebbero fatto ispezioni al Marco Polo. Non si fa la lotta alla droga con i cani, è una responsabilità del preside e degli insegnanti, non si può delegare. La scuola si fa carico totalmente del problema attraverso tutti gli strumenti che ha a disposizione.”
“Gli studenti devono sentire che possono parlare, confrontarsi, anche scontrarsi con noi e tra di loro, in un clima nel quale ci sono proposte di strategie per affrontare concretamente le questioni. Questo è il nostro modello di accoglienza. Sono fiero che il Marco Polo sia la seconda scuola in Italia che ha messo a disposizione i propri locali alla Penny Wirton: la scuola di italiano per migranti. Da due anni anche i nostri studenti sono coinvolti: si possono trovare nel pomeriggio seduti con l’insegnante insieme ad un coetaneo, o un adulto straniero, a costruire un discorso attraverso l’apprendimento dell’italiano. E uno dei progetti di alternanza scuola lavoro tra cui possono scegliere.
Dalla scuola deve partire un progetto di società che si propone alle famiglie.
Chi vorrebbe una istituzione severa non può sceglierci: da noi accoglienza è sinonimo di libertà e quindi anche un po’ di confusione. Non si può pensare che ci sia silenzio assoluto nei corridoi di un istituto nel quale convivono 1600 studenti, sarebbe la morte civile.”
Dalla realtà allo schermo
“Il film è l’esito di tutta questa storia. Almeno questo pensavamo fosse all’inizio, quando con il regista Duccio Chiarini abbiamo pensato di raccontare il percorso del Marco Polo, ma poi ci siamo detti: “proviamo a far vedere cosa è la scuola oggi, non solo i nostri modelli.””
“Abbiamo scelto la strada della massima naturalezza, senza alcun artificio: nessuna intervista preparata o sottofondi musicali. Il regista si è confrontato, prima, senza telecamera con studenti e professori. Bisogna ammettere che questi ultimi avevano i dubbi maggiori: c’è un esagerato senso di riservatezza nella scuola italiana. I ragazzi, invece, hanno un rapporto molto più aperto con la riproduzione della propria immagine. Alla fine si è costruito insieme il racconto. Per un anno Duccio è entrato in classe a seguire le lezioni, ma ha anche passato del tempo nella sala docenti e ad osservare e riprendere i momenti diversi della giornata scolastica. 80 ore finali di girato da cui ne ha dovuto trarre 1 ora e 20 di montato. “
“Il regista ci ha fornito una preziosa prospettiva da uno sguardo esterno. Un diverso punto di vista che lo ha portato spesso a mettersi al confronto diretto con gli insegnanti. Non è venuto fuori l’elogio del Marco Polo: ha preso il cuore della scuola, declinandolo in frammenti che potrebbero appartenere anche ad altre realtà scolastiche a Napoli, Milano, Livorno. Un quadro in grado anche di restituire, attraverso immagini e dialoghi, la dignità di un lavoro importante, spesso troppo denigrato, come quello degli insegnanti. Quando siamo andati alla Festa del Cinema di Roma, eravamo in 60, tutti emozionati e curiosi. Alla fine eravamo tutti soddisfatti e siamo felici che il film possa girare, a partire da Firenze, in altri luoghi del paese che si possano identificare: abbiamo già la data di Roma e di Milano, ma ce lo stanno chiedendo da diverse località.”
“Il cinema è un veicolo di comunicazione necessario, ma bisogna saperlo fare bene e anche imparare ad utilizzarlo come strumento di insegnamento, Per questo abbiamo pensato di aprire una scuola di cinema all’interno del Marco Polo, rivolta a ragazzi e a docenti. Mi chiamano il “Furia”, perchè non perdo tempo. Infatti i primi corsi inizieranno già nel secondo quadrimestre, a partire da febbraio. A settembre si inizierà in maniera più strutturata. Vorremmo diventasse un riferimento a livello regionale. E si va avanti, insieme, credendo che la realtà si può cambiare, proprio come nei film.”
La traccia volante: Il cambiamento è possibile. Quando si dice che nella scuola mancano risorse e ci sono troppi passaggi burocratici da superare è vero, ma ci si ponga anche la domanda: perchè con gli stessi fondi e senza nessuna scorciatoia burocratica, si riescono a realizzare tanti progetti ed ottenere risultati? La mia risposta è che il cambiamento dipende dalla volontà, quindi da noi.
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