“Salvare vite non è reato ! Chi salva una vita, chi contribuisce anche solo con un piccolo gesto e una mano concreta, salva il mondo intero e salva se stesso. Se scendessimo tutti in campo, se ciascuno facesse ciò che può, ciò che riesce, non ci sarebbero più spazi da riempire, ci sarebbe posto per tutti e risorse sufficienti per ciascuno: non ci sarebbero più schiavi, né morti e il mare si cheterebbe.”
A ricordarlo è ancora una volta Nawal Soufi, l’attivista per i diritti umani che rende le parole fatti quotidianamente, soccorrendo e fornendo qualsiasi forma di aiuto possibile ai migranti tra Italia, Grecia e lungo la rotta balcanica. Dai campi allestiti nel fango, lungo le strade dove il freddo si fa sentire sempre più pungente, racconta la realtà, molto poco narrata, di una umanità fatta di uomini, donne e bambini, stretti in un cammino doloroso, nel quale c’è bisogno di sentirsi tutti coinvolti.
Quando non si ha più un’appartenenza, una casa, i beni personali, persi in luoghi nei quali non si comprende bene la lingua e non si conosce quali siano i diritti, troppo spesso violati, le esigenze sono diverse: solo chi le vive insieme a chi le prova, può sapere e chiedere cosa si possa fare per soddisfarle. Nawal ha attivato il progetto “Adotta un migrante” proprio per questo: utilizzare i mezzi della comunicazione e le potenzialità della rete per mettere in contatto direttamente i migranti con coloro che vogliono aiutarli. Attraverso WhatsApp si può comunicare con la famiglia o il singolo che si decide di sostenere, inviando, senza mediazione, ciò di cui sente necessità, giorno per giorno, creando un rapporto di amicizia, di affetto che è già una base fondamentale da cui acquisire forza.
Il sostegno pratico passa dalle quote per pagare un affitto alle necessità alimentari. Nawal ha rintracciato una soluzione anche per questo. Per consentire di fare una spesa direttamente online, ha trovato e indicato un sito greco https://www.e-fresh.gr/en che consegna i prodotti ad Atene, in modo da abbassare di tanto i costi di spedizione dall’Italia.
L’ultimo appello, lanciato da zone nelle quali i migranti soffrono e possono morire per la mancanza non solo di cure, ma anche della consapevolezza del proprio stato di salute, è legato all’iniziativa “Curare per amore”. Sempre utilizzando la rete e WhatsApp, si possono aiutare i feriti di guerra, coloro che hanno malattie croniche o si sono ammalati lungo il viaggio: il supporto è indirizzato a guidare nella ricerca di indicazioni e prenotazioni. E’ volto soprattutto a prendersi a cuore il percorso sanitario di chi si decide di sostenere.
E’ Nawal stessa a spiegarci quanto rendere visibili coloro che spesso dimenticano di esserlo, perdendo anche la volontà di curarsi, sia necessario per loro e un’opportunità per noi per provare a sentirsi meno inutili nell’indifferenza. La sua è una traccia preziosa che continuiamo a seguire per tenere viva l’attenzione e per dare il nostro piccolo contributo di informazione e di sostegno.
“Tante persone quando arrivano in Europa vivono la stessa situazione che può provare un italiano appena giunto in Cina: non sa una parola, non conosce come funzionino i pronto soccorso, gli ospedali e non è in grado di prenotare una visita. Così i migranti si trovano in balia della burocrazia europea, già difficile per le stesse persone che vivono in Europa, figuriamoci per chi viene da un altro paese! Questa sorta di perdita di orientamento genera uno stato di abbandono: i migranti si chiudono in loro stessi, a volte non escono più di casa, neanche dalla tenda. La reazione è quella di chi crede che non ci sia più niente da fare. Capita di chiedere loro se sono andati a fare la visita, rispondono: “sì, siamo stati all’ufficio del campo ci hanno detto di tornare domani o dopo domani e di andare nel laboratorio forse tra qualche settimana.”
“Altri rivelano che da anni nessuno li cura. L’atteggiamento del malato diventa negativo per tutto quello che ha visto davanti a sé, per tutti i no che ha ricevuto, in questo modo lo stato di abbandono può portare alla morte o a danni perenni. Ho incontrato persone che potevano essere curate, non è accaduto e la situazione è peggiorata. Tra tutti questi casi penso ai tumori mal seguiti e soprattutto alle osteomieliti, uno dei mostri che divora le persone in fuga dalle guerre. Coloro che sono stati sottoposti ad interventi in ospedali da campo in Siria, in Iraq, in Afghanistan , in Africa, spesso non attrezzati per fare operazioni chirurgiche molto delicate, si portano dietro conseguenze gravi, letali.”
“Ci sono anche diverse storie di bambini che non hanno avuto le cure necessarie. Per non parlare delle barriere architettoniche nei campi contro cui si scontrano le persone che vivono sulla sedia a rotelle e non riescono per questo ad avere una vita normale, spesso nemmeno ad uscire tranquillamente dal campo. Con l’appello “Curare per amore”, chiedo di mettersi in contatto direttamente con un malato, considerandolo un famigliare. Non c’è bisogno di essere un infermiere o un medico, basta essere, semplicemente, una persona di buona volontà che ha una madre, un fratello, un cugino che sta male e decide di aiutarlo. Cosa si fa? Si va su internet, si cerca in base alla patologia dove si possono fare gli esami, quale medico e dove possa seguirlo, si prenotano visite e controlli. In questo modo, il migrante si sente guidato. Significa indicargli e ricordargli dove e quando dovrà continuare delle terapie.”
“Dare una certezza è fondamentale: allontana dal labirinto della macchina burocratica che complica anche la salute. Tanta documentazione è scritta in inglese o in greco, è utilissimo fare uno sforzo in più per tradurre e spiegare al paziente che cosa abbia. Tante volte i migranti tornano dalle visite con un foglio, sul quale non sanno neanche cosa ci sia scritto. Ricordo di un ragazzo che aveva una infezione ai polmoni veramente pericolosa, dopo un controllo mi disse: “niente, ho un po’ di raffreddore, forse devo andare a prendere uno sciroppo, forse.” Non c’era un interprete in ospedale, il documento era stato dato in greco, come nel 90% dei casi in una lingua incomprensibile al paziente.”
“Questo è tutto. Non ci vuole molto eppure quello che si otterrà è tanto. Con un semplice gesto di fratellanza si potrà scoprire un mondo sconosciuto a tanti, di cui pochi si vogliono occupare.
Tra offrire cure mediche nell’emergenza e seguire i casi nel lungo periodo c’è una differenza enorme, sarà evidente, entrando direttamente nelle storie di cui si potrà cambiare il triste finale con il proprio contributo. ”
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