Entrare in un centro trasfusionale, prima di Natale, mi ha restituito il senso reale di una atmosfera che però non si spegne quando tolgono le luminarie e scema l’invito ad essere più buoni. Non ci sarà l’abete addobbato a gennaio quando tornerò, spero con più ferro nelle vene, ma l’amore senza vessilli non cesserà di manifestare il suo volto più nascosto e sincero.
Mi ero preparata, seguendo più accortezze che durante la gravidanza: sciarpa e giacca chiusa fino al collo per evitare di raffreddarmi; rimandata la visita dal dentista; mangiato più sano e ieri sopportato il mal di testa, tutto il giorno, senza prendere nessun analgesico. Pronta per onorare la data scelta per la mia prima donazione di plasma.
La sensazione di stare per compiere un gesto di esclusivo dono senza conoscere i destinatari, mi ha fatto superare persino qualsiasi timore dell’ago. Mi sono svegliata pimpante, ho bevuto molta acqua come consigliato nella precedente visita dalla dottoressa e, dopo aver lasciato Luca a scuola, ho percorso con soddisfazione il tratto di strada fino all’ospedale.
La stanza del centro trasfusionale era già piena: ogni volta è uno spettacolo confortante sapere quante persone decidano di donare. Ho compilato con sicurezza il questionario, senza nemmeno bisogno della scrivania. Con Anne che mi è venuta a fare compagnia, visto che le è stato detto debba aspettare un anno per avere i valori in regola, abbiamo chiacchierato di recite e saggi, fingendo disinvoltura, mentre affiorava sempre di più l’emozione.
“Valeria vieni!” Dottoresse e infermiere si sono affezionate a noi due sorelle: in ogni incontro di preparazione abbiamo raccontato le nostre storie nel dettaglio, quindi manifestano una affettuosa affabilità.
“Tolgo felpa e camicia, giusto?”
Non mi sono nemmeno seduta, ansiosa di sdraiarmi sul lettino con il braccio sguainato.
“Aspetta, facciamo un controllo dell’emoglobina, un piccolo pizzico sul dito.”
Che sarà mai, un passaggio breve e poi attaccano la macchina, ho anche la borraccia di Viola per recuperare i liquidi persi!
“Valori troppo bassi, se oggi fai la donazione, poi dobbiamo farti una trasfusione.!”
In altri contesti sarebbe sembrata paradossale la mia reazione di profonda tristezza e frustrazione. Non alla dottoressa: mi ha guardato quasi tenera, sbloccando la situazione con quella che a me è sembrata una battuta: “ma sei vegana?”
“No, se serve la prossima volta faccio colazione con il filetto?” Nella foga ho esagerato, mostrando anche notevole superficialità sulla catena alimentare.
“Penso sia meglio seguire una terapia farmacologica per assumere direttamente ferro.”
Uscendo dalla stanza, sconsolata, ho provato invidia per quelle donne e uomini con l’acciaio nelle vene. Anne ha continuato a tenere alta la mia soglia di dubbio sulla ragazza magrissima che pure, evidentemente, nasconde insospettabili quantità di ferro. “Vedrai che fermeranno anche lei” E’ stata la stupida conclusione che ci ha restituito un briciolo di fiducia in noi stesse.
L’idea di offrire una parte di me che non conosco nemmeno nel dettaglio della composizione chimica, in maniera anonima, confusa tra chi lo fa da anni, senza alcuna differenza sociale, mi aveva fatto sentire parte di un mondo migliore. Una appartenenza silenziosa. La possibilità di essere utili agli altri aveva lenito il senso di solitudine e di impotenza, affioranti in maniera più acuta durante le cosiddette feste che non lo sono affatto per tutti. Tanto che mi sono anche presa cura maggiormente di me.
Non poterlo fare, non ha scalfito la mia volontà di riprovarci. E’ uno scambio che va oltre le parole per questo custodisce un inestimabile valore. Scegliere di avere come abitudine il generoso dono di una parte di sé a coloro che magari non la pensano come noi, non parlano la nostra lingua, non ci darebbero nemmeno un centesimo di attenzione. Eppure farlo, perchè si è deciso di stare tra chi, anche dopo aver saputo che non puoi ancora entrare in campo, si preoccupa per te. “Tra un mese devi tornare, perchè voglio controllare come stai?” La dottoressa si è rivolta con sincera apprensione verso di me, donatrice incoerente, perchè non in grado di donare. “Ci teniamo a voi” ha ribadito.
Entrare in un centro trasfusionale prima di Natale mi ha restituito il senso reale di una atmosfera che non si spegne quando tolgono le luminarie e scema l’invito ad essere più buoni. Non ci sarà l’abete addobbato a gennaio quando tornerò, spero con più ferro nelle vene, ma l’amore senza vessilli, non cesserà di manifestare il suo volto più nascosto e sincero.
Durante le feste mangerò molte lenticchie.
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